PROLOGO ✔

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Birmingham, Regno Unito

Quella sera stavo guardando la TV mentre mamma preparava la cena. L'olezzo della carne bruciacchiata, a causa di una padella troppo vecchia per poter essere ancora utilizzata, arrivava fino al piccolo salottino dove mi trovavo seduta sulla poltrona sgangherata di velluto rosso a costine, rattoppata alla bell'e meglio con pezze riprese da abiti che ormai mi andavano stretti.

Avevo inserito nel videoregistratore il VHS di Tom e Jerry, approfittandone per vedere il mio cartone animato preferito non avendo trovato nessuno davanti all'unico televisore presente in casa.

Sobbalzai quando sentii il tonfo della porta dell'ingresso colpire il muro, ormai rovinato all'altezza della maniglia. «Dove, cazzo, sei?» La voce impastata dall'alcool arrivò subito al mio udito attento.

Sembrava come se tutto si fosse fermato, non sentivo più lo sfrigolio della carne sul fuoco né la musica di sottofondo provenire dalla televisione; nelle mie orecchie, il rintocco dei suoi passi rimbombava come tuoni che presagiscono un potente temporale, avvertii il cuore battermi all'impazzata stringendomi la gola e impedendomi di respirare in maniera regolare mentre volgevo lo sguardo verso la porta che affacciava la sala-cucina sul corridoio.

Mia madre si avvicinò veloce e silenziosa come ormai aveva imparato ad essere in sua presenza, pulendosi le mani con un canavaccio che teneva a penzoloni sul lato del fianco, stretto alla vita dal grembiule da cucina che le fasciava le forme, aveva una stampa natalizia, lo usava ugualmente malgrado fossimo in piena estate. «Mia, tesoro, sai cosa devi fare, vero?» Sorrise accarezzandomi il volto ma era evidente, anche per una bambina di quasi sei anni come me, la paura che faceva tremare le sue iridi buone come le nocciole da cui aveva ripreso il colore.

Annuii saltando giù dalla poltrona e scattai impaurita quando il rumore di vetri infranti si propagò al di là del muro divisorio. Afferrai la mano della donna che era sempre stata il mio punto di riferimento e tirai il suo braccio per farmi seguire. Nell'armadio non c'era posto per tutte e due ma io le avrei concesso il mio spazio rannicchiandomi in un angolino, pur di tenerla con me.

Restò immobile però, come ogni volta. «Andrà tutto bene, honey. Ce la caviamo sempre io e te, no!?» disse accarezzandomi i capelli, facendomi accennare un sì con la testa. «Allora vai, stai buona e non uscire fin quando non ti chiamo...» La sua voce si fece più sicura ma non mi sfuggì il suo stringere le labbra e il deglutire il fiotto di saliva creatosi nella sua bocca. Con un colpetto sul sedere, mi spinse a raggiungere nella mia stanza e li sentivo i suoi occhi osservarmi percorrere il corridoio.

Entrai nella cameretta quando la sua voce si era già alzata di qualche tono. Chiusi la porta e vi poggiai la schiena contro, sopirai con il cuore che martellava veloce e a un ennesimo grido raggiunsi il mio armadio senza neanche accendere la luce. Conoscevo a memoria ogni angolo di quella piccola camera la quale in precedenza aveva le pareti colorate di rosa, ma il tempo le aveva fatte ingiallire, e i fiorellini adesivi erano ormai ridotti a brandelli, fungevano più da cerotti alle crepe delle pareti che da abbellimento per la stanza.

M'infilai nella cabina ad angolo e mi sedetti su di alcune scatole di scarpe, chiusi le mani a coppa sulle orecchie, tremavano e non riuscivo a placarle, accadeva sempre in quei momenti e non smettevano fin quando non venivano nascoste dai palmi caldi di mia madre.

Sentii delle urla ancora e il rumore di cocci rotti. Immaginai un piatto, forse anche a più di uno. Solitamente distruggeva tutto quello che trovava sottomano senza cura per niente e nessuno. Avvertivo la voce di mia madre chiedere un perdono che non avrebbe dovuto, visto che non aveva fatto nulla che avesse potuto disturbarlo, eravamo rimaste in casa per tutto il giorno.

Hug Me - Siamo Chi Siamo #1 (Conclusa)Where stories live. Discover now