Mi copro subito la bocca e mi mordo la lingua.

"Vedi? È di questo che parlavo".

Scoppiamo a ridere. È proprio bello sentirsi bene dopo quasi tre settimane di permanenza a Wheatley.
Mi manca ancora la mia vecchia casa di Londra, dopotutto ci sono cresciuta e lì ho tutti i miei ricordi d'infanzia. Avevo la mia migliore amica e qualche conoscente che mi stava vicino, ed erano abbastanza per distrarmi da quello che mi dava tanto da ricordare a scuola. Era sia la mia ancora, che il mio carcere: allo stesso tempo mi aiutava e mi buttava giù. Non la scuola in sè, in cui me la cavavo, ma le persone che la frequentavano. Forse ero io che ci davo troppo peso, o forse venire spinta addosso agli armadietti era normale, scherzoso. Da fare tra amici. Però quando mi ricordavo che non erano miei amici, le illusioni finivano e realizzavo che non avrebbero preferito ridere con me, ma di me.

I miei pensieri vengono interrotti dall'arrivo del cameriere dal sorriso stanco dopo una giornata di lavoro, che ci porta i piatti pieni di cibo.
Mi mette davanti l'hamburger di verdure con patatine fritte e osservo la pietanza rigirando il piatto tra le mie mani come se fosse andata a male.

"Dammi qui" consiglia Wes scambiando i panini, passandomi quello che avevo ordinato per lui.
"Buon appetito".

"Anche a te" rispondo prima di soddisfare finalmente il mio stomaco. Già al primo morso, sento i cori di voci bianche che cantano nelle mie orecchie l'alleluia, mentre mugugno qualcosa  di incomprensibile sulla bontà di ciò che mangio.
Il moro sorride a bocca piena e si gusta la mia ordinazione. È stata una fortuna che gli piacesse, altrimenti sarebbe stato un vero spreco.

Solo ora mi rendo conto del fatto che siamo soli; effettivamente chi andrebbe in un ristorante all'una e mezzo del mattino, per evadere da un locale rumoroso, con un ragazzo che nemmeno conosce fino in fondo? Ecco, io.

"Allora, possiamo dire di aver passato una bella serata?" Domanda Wes riponendo il panino sul piatto per pulirsi le dita col tovagliolo di carta.

Finito il boccone, ripeto il suo gesto.

"Oh, sei sporca".

Prendo di nuovo il fazzoletto e cerco di togliere il cibo sulla mia bocca, ma Wes mi pulisce senza esitazioni. Passa il tovagliolo a lato delle mie labbra strofinandolo con delicatezza sulla mia pelle chiara.
Si trattiene qualche secondo in più in quel punto e vedo il suo sguardo farsi più intenso, fissato su di esse.

"Oh... grazie" spezzo quel momento, appoggiando la schiena allo schienale della sedia.

Dovrei detestarmi, ma non posso farmi coinvolgere così.
Sembra deluso, ma si ricompone subito e torna a mangiare.
Faccio finta di nulla e dò ancora qualche morso al panino, terminandolo dopo alcuni minuti.

"Comunque sì, ma non siamo nemmeno a metà" gli sorrido "vedremo come va".

Mi fa l'occhiolino, e sento il mio cuore battere più velocemente.

"Quindi... dove abitavi un mese fa?".

"Londra".

"E com'è? Ti manca?" S'incuriosisce.
Si appoggia al tavolo sui gomiti e posa il mento sui pugni, sporgendosi verso di me.

Una volta ho letto un articolo sul linguaggio del corpo. Insomma, avete presente? Se una persona incrocia le gambe, bisogna guardare se con la punta del piede vieni indicato - e significa che è attratta da te -, se tiene le braccia conserte non si vuole rendere disponibile, e così via. Infine, se qualcuno si sporge, credo sia chiaro: c'è un minimo di attrazione.
Ma non è possibile. Mi ha incontrata tre ore fa, a malapena sa il mio cognome, perciò scaccio i miei ragionamenti idioti. Credo farei meglio a smettere di leggere i giornalini da donna mentre aspetto il mio turno dall'oculista.

Il Figlio Dei Miei Vicini Where stories live. Discover now