13: in cui forse ci stanno facendo uno scherzo di cattivo gusto. O forse no

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Nella mensa, invece, si trovavano solo Kim e Jozefien.

Quest'ultima lanciò uno sguardo alla collega, che le rispose con la stessa confusione.

"C'è qualche riunione del personale di cui non ricordo?".

"No. Non si fanno riunioni tutti assieme, di solito".

"Sicura?".

"Mai successo da quando sono qui". Jo si avvicinò al bancone e lo controllò. "Qui non c'è niente. È come se non fosse stato preparato nulla".

Fece un passo indietro e con la grazia di una pescivendola esclamò: "Rex! Hey, Rex! Ci sei?".

Nessuno rispose.

"Strano" commentò, visibilmente più preoccupata di prima. "Forse ci stiamo davvero perdendo una riunione importante".

"Andiamo di sopra" propose Kim. "Magari qualcuno che lavora saprà dirci".

Salirono al ponte dell'Atrio in silenzio, entrambe pervase dalla stessa sottile angoscia e quando le porte si spalancarono, ebbero la conferma che c'era qualcosa che non andava sulla nave.

Nell'Atrio degli Smeraldi si trovavano una decina di persone: alcune erano in piedi, altre sedute sulle poltroncine attorno al pianoforte, altre ancora appollaiate sugli sgabelli del bar, dietro cui un barista filippino sembrava in procinto di terminare la preparazione di un caffè. Non era una scena fuori luogo: l'Atrio ospitava spesso e volentieri mattinieri passeggeri che passavano di lì per godersi la tranquillità del mattino e un buon espresso.

Ciò che era totalmente sbagliato era il fatto che tutti i presenti fossero immobili. Kim era sufficientemente vicina a uno degli uomini in piedi, un giapponese di circa cinquant'anni, per vedere la sua espressione: aveva gli occhi aperti, ma spenti. Non esprimeva alcuna emozione, neanche un briciolo di coscienza di sé, e la sensazione era accresciuta dalla bocca leggermente aperta e dall'espressione completamente ebete. Era fermo sul posto, i piedi vicini tra loro, le spalle flosce e lo sguardo perso nel vuoto. La prima spiegazione, istintiva e sciocca, che sorse nella mente della ragazza fu: Stanno facendo un gioco. Un gioco in cui bisogna star fermi e far finta di essere statue.

Jo non doveva aver pensato una cosa molto diversa, perché sussurrò, con la voce venata di inquietudine: "Sembrano tutte belle statuine".

"Ma cosa è successo?" ribatté Kim, indecisa se fare un passo avanti e scoprirlo. Jozefien sfruttò la loro principale differenza – l'impulsività - e la lasciò lì, avvicinandosi a grandi passi al signore giapponese che avevano adocchiato prima. Dopo un secondo di imbarazzo, alzò una mano e la posò sulla sua spalla.

"Signore? Si sente bene?" domandò con la sua voce più gentile. L'uomo non diede segno di aver inteso. Rimase semplicemente a fissare un punto davanti a sé, come se fosse caduto in profonda contemplazione di qualcosa. Jo lo scrollò leggermente ripetendo la domanda e quando non ricevette risposta, gli agitò l'altra mano davanti al viso. Niente.

"Non funziona" comunicò a Kim, facendo un passo indietro e staccandosi da lui. Kim decise che la situazione cominciava a essere troppo surreale per essere vera, così lasciò perdere i passeggeri e si avviò verso il bancone del bar. Forse quelli stavano facendo un gioco scemo indetto a sorpresa, ma sicuramente lo staff non avrebbe dovuto partecipare per forza. Si avvicinò quindi al barista e lo riconobbe: si chiamava Anthony e il giorno precedente aveva cantato in tagalog prima del turno di lavoro notturno.

"Anthony?" lo chiamò a bassa voce. "Hey, Anthony? Tutto bene? Non sappiamo cosa stia succedendo, ci puoi aiutare?".

Il ragazzo, voltato verso la grande macchina del caffè, rimase dov'era, senza intendere d'aver udito. Kim gli si rivolse di nuovo, ma non rimase ferma al bancone: ci girò attorno, aprì lo sportellino che permetteva l'accesso alla pedana rialzata posta dietro e gli si fece incontro. Gli agitò un braccio come aveva fatto Jo con il signore giapponese e quando non ottenne alcuna reazione, cercò di costringerlo a voltarsi verso di lei. Normalmente non avrebbe toccato in maniera così diretta uno sconosciuto, ma la paura stava avendo la meglio sulla propria coscienza. Anthony seguì il movimento, ma il suo sguardo era identico a quello degli altri presenti: non riconosceva la persona che aveva davanti e non reagì nemmeno quando Kim gli prese il viso tra le mani e lo chiamò quasi urlando.

Uno schiocco improvviso la fece trasalire. Si voltò, abbandonando il barista incosciente e vide Jozefien davanti a uno degli altri passeggeri in piedi, un giovane uomo in maglietta sportiva e capelli legati in uno chignon. Gli aveva appena tirato uno schiaffo ma l'unica reazione di lui era stata accusare il colpo piegando leggermente il viso verso destra.

"Sembrano fatti di plastilina!" esclamò Jo, con rabbiosa disperazione. "Non capisco se è uno scherzo o cosa, ma non mi sto affatto divertendo!".

"Non è uno scherzo".

La voce di Kerli risuonò per tutto l'Atrio come il tuonare di una divinità. Le due ragazze sobbalzarono per lo spavento e alzarono il viso contemporaneamente: l'estone le stava fissando dalla balaustra del ponte superiore, più pallida e contratta del solito.

"Come non è uno scherzo?" rispose Jo. "E allora cos'è?".

"Se lo sapessimo sarebbe fantastico".

Jo tornò a guardare Kim, che ora non riusciva più a nascondere la sua preoccupazione. Kim si rivolse direttamente a Kerli, domandando: "Hai visto altri che non siano...".

"In trance? Sì. Sto cercando gente come voi, che stia bene. Siamo tutti al ponte Shelley".

"Al buffet" commentò Jozefien. "Quanti siamo?".

"Per il momento in otto, contando voi".

"Non è granché per una nave con cinquemila persone".

Kerli fece un gesto impaziente, picchiettando le sue lunghe dita ossute sul bordo del balcone.

"Salite. Non è sicuro stare qui fin quando non avremo capito cosa sta succedendo".

Kim e Jo non se lo fecero ripetere due volte: abbandonarono di corsa l'Atrio, decidendo saggiamente di prendere le scale, e raggiunsero Kerli. Kim si accorse subito che il suo colorito era proprio quello di una persona sul punto di rimettere la colazione e almeno tre pasti dei giorni precedenti. Fece loro cenno di seguirla e tutte e tre assieme arrivarono trafelate al ponte Nove dove, a detta della fotografa, si stavano riunendo i pochi coscienti della nave. 

La nave dei sogniOnde as histórias ganham vida. Descobre agora