12: nel quale si vive l'ultima grande gioia

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Kim deglutì a fatica, odiando profondamente il fatto che lo sguardo di tutti fosse posato su di lei. Jo le diede un amichevole colpetto sulla schiena e lei, nonostante le gambe molli, fu costretta ad avvicinarsi allo schermo tenendo con entrambe le mani il gelato. Sid le strizzò l'occhio e scelse per lei una canzone.

"È famosa. Dovresti conoscerla".

Sullo schermo comparve il viso di una famosa cantante vietnamita. Kim la riconobbe subito: Tóc Tiên era stata una dei suoi sogni proibiti da ragazzina. Aveva avuto un'immensa crush per lei, molto più che per altri cantanti. Arrossì e quasi non si rese conto che le parole avevano iniziato a pulsare di rosso. Attaccò a cantare la prima strofa di Vũ Điệu Cồng Chiêng con la voce tremante, ma fissare lo schermo senza considerare le altre persone sembrò calmarle i nervi e all'inizio della seconda era già più sicura. Leggeva le parole solo per sicurezza, perché quella canzone era stata la suoneria della sua sveglia per un intero mese, l'anno prima. Imbarazzante? Forse un pochino.

Cercò di non sorridere quando udì Jo ululare il suo nome come una groupie di prim'ordine, ma non poté fare a meno di compiacersi quando qualcuno, in piedi vicino al bancone del bar, accennò un passo di danza. Come se quella canzone fosse davvero ballabile, per giunta!

Quando terminò, aveva le ginocchia molli e il cuore in gola. Tutti applaudirono e lei si profuse in un inchino carico di imbarazzo. Subito dopo tornò di corsa da Jozefien, si sedette sulla propria sedia e affondò il viso tra le mani.

"Hey! Sei stata fantastica! Perché fai così?" le chiese subito Jo mentre, dietro di lei, Kerli sospirava soddisfatta: "Non solo hai parlato vero vietnamita, ma cantavi anche bene. Questa registrazione vale oro".

"Kerli! Smettila! La metti in imbarazzo!".

"Ma ho fatto un complimento!".

Kim si sentiva il viso in fiamme. Era la sensazione che la coglieva impreparata da quando aveva memoria dopo aver fatto qualcosa davanti a un pubblico; era un imbarazzo talmente cocente da paralizzarla, dettato soprattutto da un pensiero sciocco, ma totalizzante: quanto sciocca l'avevano trovata le altre persone? Quanto buffa? Quanto... ridicola?

Era la parola che spaventava la gente come lei, la gente che aveva grande rispetto per la propria dignità. Vero, lei non era cresciuta nell'ambiente in cui l'aveva fatto sua nonna, ma la coscienza era ben radicata nel suo popolo. E lei, giovane donna nubile, aveva appena dato spettacolo di sé davanti a un sacco di sconosciuti. Era più di quanto il suo superego vietnamita riuscisse ad accettare.

"Kim". Questa volta la voce di Jo non aveva niente di scherzoso. "Andiamo fuori a prendere un po' d'aria".

Prima che la ragazza potesse prendere una decisione autonomamente, fu tirata in piedi e trascinata via dal calore, dalla musica e dall'inebriante profumo dell'alcol. Cercò di opporsi debolmente solo quando le porte del bar si chiusero alle sue spalle, ma la presa di Jozefien era ferrea e nel giro di pochi minuti si ritrovarono sul primo dei ponti di passeggiata, deserto e solo debolmente illuminato da fari dalla luce calda. L'improvviso mancanza di voci umane e il solo rumore bianco dell'acqua contro la struttura metallica della nave in movimento distrassero Kim dal proprio momento di vergogna. L'aria frizzante dell'oceano le investì il volto e lei immediatamente provò la solita, strana sensazione di sale incollato alla pelle. Al suo fianco Jozefien respirò a pieni polmoni e dopo un secondo si avvicinò alla balaustra, vi posò le braccia e si mise a osservare le onde e la bianca schiuma generata dall'imbarcazione, che disegnava un velo da sposa al suo passaggio, perdendosi poi per chilometri dietro di essa, nella totale oscurità dell'Atlantico.

"A volte mi fai spaventare" le disse, mentre Kim si teneva nel cerchio di luce dei fari, a fianco della porta che avevano superato per uscire sul ponte.

La nave dei sogniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora