12: nel quale si vive l'ultima grande gioia

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"Perché?".

"Perché hai delle reazioni bizzarre. Era un attacco di panico, quello?".

Kim si lanciò uno sguardo attorno: erano completamente sole lungo tutta la camminata. Non c'era neanche un cameriere o uno steward intento a fumarsi una sigaretta. Con prudenza fece qualche passo e appoggiò le mani sulla balaustra. L'acqua sotto di loro era nera e bianca, petrolio spruzzato di schiuma da barba. Kim ebbe un brivido, sia per l'angoscia sia per il freddo. L'aria dell'oceano non era quella che tirava sul Mediterraneo. Non trasalì quando Jo fece quello che faceva sempre, ovverosia stringersela contro. Era piacevolmente calda.

"Non era un attacco di panico. Ero solo un po' imbarazzata".

"Beh, mi hai fatto spaventare".

"Scusa".

Jozefien piegò la testa nella sua direzione per guardarla. Kim contraccambiò lo sguardo e alla fine, con un sorriso, aggiunse: "Aruba".

"Eh, già. Aruba".

"Forse avrei dovuto immaginare che eri troppo vivace per essere una semplice europea".

"Lo prendo come un complimento".

Rimasero in silenzio per un po', ognuna persa nei propri brividi e nelle proprie riflessioni su quello spettacolo così bello eppure tanto angosciante. Kim tentò subito di trovare dei limiti a tutto quell'inchiostro, ma non c'era alcuna luce all'orizzonte che tradisse la presenza della terraferma: l'oceano li aveva appena inghiottiti nella sua gargantuesca mole d'acqua e nessun altro elemento sarebbe stato loro compagno in quel viaggio. Per una frazione di secondo quello che la assalì fu vero e proprio panico, probabilmente la stessa emozione che prova un moscerino caduto in un secchio colmo d'acqua. Avrebbe voluto gridare per la paura, avrebbe voluto scendere dalla nave come si fa con una giostra, quando la musica comincia a far girare la testa. Ma non c'era alcuna signora Phan a cui fare appello e neanche un modo per tornare indietro.

"Kim?".

"Eh?".

"Tutto bene?".

Kim lanciò un nuovo sguardo alle onde scure e annuì. Non doveva pensarci. Più ci pensava, più sarebbe stato spaventoso. In fondo era solo un mare troppo cresciuto, no? Non aveva mai avuto paura del mare.

"Sì. Solo che... non avevo mai visto l'oceano. Dico... così da vicino".

"Fa paura, vero?".

La ragazza annuì frettolosamente.

"È proprio così che deve essere. Tutte le cose grandi fanno paura. A volte io ci penso, sai? Penso: Jo, sei su una delle navi più grandi al mondo che pesa non so quale fantastiliardo di tonnellate... eppure non è che una barchetta di carta rispetto a tutta quest'acqua. Dovresti avere una dannata paura, una paura davvero nera di tutto questo".

"E ce l'hai?".

"Io sono una che porta molto rispetto alla paura. La paura è sacrosanta".

Kim aggrottò la fronte e si voltò a guardarla. "In che senso?".

"Nel senso che se ne provi davvero tanta nella tua vita, poi cominci a portarle rispetto. Capito?".

"No".

"La paura non è una cosa negativa. È un campanello d'allarme per le cose che non vanno. Quando cominci a provarla, dovresti domandarti: perché? Cosa c'è che non va?".

Questa volta Kim aveva capito, ma il discorso aveva preso una piega strana. Jozefien non le aveva mai detto nulla sul suo passato, tanto che solo quella sera aveva scoperto di aver a che fare con una caraibica, non con una olandese europea. Sapeva solo che non aveva avuto una vita facile. Forse era quello che intendeva.

La nave dei sogniWhere stories live. Discover now