Chapter Five.

18 0 0
                                    

Sangue caldo e ramato gli scorreva giù per la gola sporgente, costringendolo ad arrossire di piacere a causa della sua vellutata bontà. Una volta che ebbe terminato il pasto, sigillò la ferita con la punta della lingua e lasciò andare con delicatezza il Servo, che si rimise in piedi vacillante. Ora che si era nutrito, Hunter si sentiva di nuovo carico.

Era mattino, poteva percepire intorno a se l'aria frizzante e acida delle giornate invernali. Entrava dalla serratura della porta, rinfrescando il buio intorno a se.

Mancava ancora molto alla notte, a quando sarebbe dovuto andare in missione di nuovo. Per il momento, preferì dedicare la giornata a perlustrare l'enorme complesso sotterraneo in cui si trovava.

Sentiva di dover familiarizzare con i muri, con le stanze. Per non perdersi. Capire dove si trovava, almeno. Si vestì, indossando nuovamente i pantaloni troppo larghi e la felpa verde troppo stretta, e uscì, scalzo e rigenerato dalla deliziosa colazione.

Questa volta imboccò la seconda a sinistra, mentre una piccola mappa mentale gli si andava creando in testa. Il primo impulso era stato quello di correre in biblioteca, ma no, non poteva proprio permetterselo.

I guerrieri erano costretti a vivere in una vuota, agonizzante ignoranza. Era assolutamente vietato per loro anche solo provare a farsi una cultura.

Procedette e oltrepassò una lunga vetrata oltre la quale un Servo stava allenando un Gen Uno. Ricordava anche lui i suoi allenamenti, ne riportava ancora i traumi. Quello attaccato alle catene, quello sulle braci roventi, quello corpo a corpo.

Ripensò al primo combattimento contro un suo pari. Dio, quanto sangue era stato sparso. Quante urla avevano dominato l'aria satura di sudore. La lotta era andata avanti ore, un tempo infinito che lo aveva portato alla nausea isterica, una volta terminata. A vincere era stato lui, spaccando il cranio del soggetto rivale e rovesciandolo contro il muro della fattoria.

Morto.

Ancora oggi, non riusciva a provare nient'altro che una lieve soddisfazione di se.

Ma non era colpa sua.

Non era colpa sua se a dieci anni aveva sfondato di mazzate un suo simile. Non vi era stata pietà nel suo sguardo assassino, ne dolore per quelle barbarie assurde.

Solo vuoto.

Un infinito, desolante vuoto.

Ed era quello che stava provando anche in quel momento, mentre fissava una porta di ferro controllata da due piccoli Gen Uno impettiti fino al midollo.

Ad un certo punto la serratura si sbloccò, e un Servo uscì trascinando per i capelli una giovane donna bloccata ai suoi giovani trent'anni. Le due guardie faticarono per non guardare il corpo nudo della ragazza che veniva sballottato da una parte all'altra del corridoio, con una violenza immane.

Sapevano che non dovevano lasciarsi andare a certe cose, ma fu più forte di loro.

Non avevano mai visto il corpo di una femmina, come non lo aveva mai visto Hunter. Ma il ragazzo aveva occhi solo per la porta, e non per i piccoli seni della giovane vittima.

Il Servo aveva dimenticato di chiuderla.

Aspettò che se ne andasse, le iridi fisse sul buio che proveniva da quella stanza misteriosa. Poi, quando questo sparì oltre l'angolo, s'incamminò verso la porta.

Era aperta.

Ciò significava che poteva entrare, stando alla logica delle parole di Dragos. Altrimenti il servo, nel vederlo, l'avrebbe subito serrata. Ignorò i due Gen Uno che lo scrutavano come si ammira un leone dalla fulgida criniera, ed entrò.

Cristo santo.

Celle. Un sacco di fetide celle contenenti donne scosse dal pianto.

Si sentì in imbarazzo, a disagio in mezzo a tutti quei corpi macchiati di sudore, sangue e dio solo sa che altro. Faceva fatica a riconoscerle, tanto erano mutilate di dolore.

Non che gliene importasse chiaramente.

Fece vagare lo sguardo sulle numerose teste tenute imprigionate all'interno della stanza, quando i suoi occhi dorati toccarono qualcosa di ancora più luminoso.

Due iridi identiche alle sue si posarono disperate sul suo volto confuso, aggrottato. Erano umide di lacrime, gonfie di sangue, ma brillarono di sorpresa non appena lo videro.

Di... di gioia.

Hunter non capiva perché quella donna lo fissasse con tanta ansia, e mentre ipotizzava una possibile giustificazione posò le grosse mani sul vetro che lo divideva dalla sala.

<< Oddio! >> sentì urlare.

Era stata la ragazza a gridare. A gridargli, anzi. I lunghi capelli biondi ondeggiarono debolmente quando questa si aggrappò come un'ossessa alle sbarre di ferro. Le scosse forte, fortissimo, provocando un baccano micidiale che Hunter percepì appena, grazie al vetro insonorizzato. Le altre si voltarono a guardarla, sconvolte quanto lei. << Io...! >>

La vide accasciarsi, gonfia di gioia. Per poi riguardarlo.

La vide sorridere, una chiostra di denti bianchi le attraversò il volto tumefatto e macchiato di nero.

<< Sei tu... >> gemette di dolore e tese una mano in sua direzione.

Era lui, ok. Ma lui chi? Perché quella donna lo voleva in modo tanto disperato?

Indietreggiò, confuso, e lei ritrasse la mano con aria preoccupata.

La sentì maledirsi in modo colorito, per averlo spinto a prendere ancora più distanza di quanto già ci fosse. Non riusciva a non smettere di guardarla, di perdersi in quell'oro disperato, traboccante di amore e dolcezza.

Tutte cose che non conosceva. Per la prima volta Hunter provò paura, sconcerto. Confusione, per quelle ondate d'affetto a cui stava cercando di resistere. Gli tremavano le mani. Sigillò la bocca, piantò gli occhi bassi.

La donna non smetteva di fissarlo, il volto rigato di lacrime insicure. E lui, dannazione, lui non sapeva come reggerne l'intesa. Era spaventato, terrorizzato da quei penetranti occhi così simili ai suoi, così micidiali e determinati.

Sembrava quasi la sua copia femminile. Deglutì. Che fosse uno dei numerosi esperimenti ben riusciti di Dragos?

A passo incerto si diresse verso la porta. La sentì imprecare, urlare.

La sentì pregarlo di non sparire, non di nuovo.

Di nuovo.

Che voleva dire "di nuovo?"

Troppe domande. Si chiuse la porta alle spalle, e si ritrovò ad ansimare dall'angoscia.

Scappò via, corse più veloce che poté. Sapeva che c'era qualcosa di strano in quella somiglianza, sapeva che la donna lo conosceva. Era grossa come lui, mascolina come lui, con i suoi stessi occhi, le sue stesse labbra carnose. Lo stesso colore di capelli, addirittura.

E perciò, sapeva di esserne terrorizzato a morte. E che non avrebbe mai più dovuto mettere piede in quella stanza, per principio alla poca sanità mentale che gli era rimasta in piedi.


______________________________________________

ciao a tutti! Spero che la storia possa essere di vostro gradimento, ora si entra nel cuore della trama. Vi invito a lasciare un commento se per caso avete piacere di dirmi che ne pensate, intanto ringrazio coloro che hanno visualizzato i capitoli. <3

Lou

Hunter programWhere stories live. Discover now