Mi svegliai, portandomi le mani allo stomaco e serrando di scatto la bocca. Scivolai giù dal letto, arrivai in bagno un attimo prima che le labbra si spalancassero contro la mia volontà.
Appena in tempo. 
I conati smisero in fretta, ma rimasi per un po' in ginocchio sulle piastrelle fredde, gli occhi pieni di lacrime e il respiro affannato. 
Avevo imparato a gestire i ricordi in quei giorni, legandoli con un guinzaglio che tenevo saldamente in mano. Purtroppo però, quando l'inconscio prendeva il sopravvento, le mie dita si allentavano, la mia presa si faceva debole, e quelli si liberavano come cani rabbiosi pronti a divorarmi.

Mi sollevai sospirando, poggiai la fronte al muro per godere della liscia freschezza delle mattonelle quando "Lou" sentii chiamare. 
Lottie era sulla porta, pigiama azzurro, capelli scompigliati, piedi scalzi. 
Le sorrisi debolmente, prima di avvicinarmi al lavandino e ficcare la testa sotto il getto dell'acqua. 
Lei non accennò ad andarsene, mi osservò in silenzio. Non un silenzio teso o carico di rancore, ma piacevole, necessario, in qualche modo confortante. 
"Stai meglio" constatai, affondando il viso nell'asciugamano. 
"E tu invece no" mi rimproverò, lanciando uno sguardo eloquente al gabinetto. 
"Non dirlo ad El, per favore." 
"Non lo farò. E' fin troppo petulante quella tipa." Scendemmo le scale insieme. "Le bambine credono sia la tua ragazza. E mamma forse sperava che avessero ragione."
Le rivolsi un sorriso stiracchiato, mentre entravamo nella cucina vuota, il sole a sfiorare il marmo grigio e gli stipetti neri, il foro apertosi nella porta vetrata ormai ripulito di tutte le schegge, a far da finestra sul corridoio. 
"Tu invece? Non lo speravi?"
Lei aggrottò la fronte gettandosi su una sedia e "No" ammise stringendo le spalle. "Harry è più simpatico e più carino di lei."
Quelle parole mi lusingarono, come se i complimenti fossero rivolti a me. E forse anche perché ripulite da ogni traccia di ipocrisia o disgusto. Erano sincere.
"Peccato che non lo pensassi quando lui era qui."
Lottie non parve intimorita da quell'affermazione. Anzi prese un bel respiro, sollevò il capo e "Allora dovresti andare a cercarlo" decretò con un sorriso. "Per potargli le mie scuse quanto meno."
Se possibile, mi sentii ancora più compiaciuto di qualche secondo prima. Ed anche più sorpreso. La stessa persona che aveva lottato con le unghie e con i denti per eliminare Harry dalle nostre vite, adesso si dichiarava dispiaciuta, mi sorrideva parlando di lui, biasimava mia madre per le sue speranze riguardo Eleanor.
Possibile che fosse la stessa ragazzina che, quel pomeriggio di qualche mese prima, aveva ammesso di provar ribrezzo nei confronti di suo fratello? 
Possibile che avesse davvero cambiato idea?
Non lo sapevo. Di una cosa però ero certo: lei era sicuramente cambiata. E non solo per i cinque centimetri di altezza acquistati, per i capelli più scuri e il viso più affilato, da donna; c'era qualcosa nel suo modo di porsi, di parlare, di guardarmi, qualcosa di estremamente maturo, una sorta di pacata consapevolezza che sembrava essere stata costretta ad acquisire troppo in fretta. 
Per questo alla sua frase gentile: "E tu dovresti ricominciare ad andare a scuola" risposi, stupendomi del tono preoccupato della mia voce. 
"Nostra madre non sa proprio tenere la bocca chiusa, eh?"
"Qualunque sia il problema, ti assicuro che venire a Chicago non lo risolverà."
"Non ne sarei così sicura..."
La fiacchezza della sua voce mi convinse a sederle accanto, a cercare i suoi occhi oltre la frangetta bionda.
"E' per colpa mia?" chiesi a bruciapelo. "Parlano ancora di me? Ti prendono di mira perché sei mia sorella?"
"Mi prendono di mira perché sono una matricola, perché sono stata scartata alla selezione delle cheerleaders, perché sono brava in chimica ed ho pochi amici. E sì, qualcuno parla ancora di te. E di Harry, anche. Mi chiedono come state, quando vi sposerete, se farò da damigella" sorrise tristemente, mi afferrò saldamente la mano. "Ma non è colpa tua. Non lo è mai stata, Tommo. La colpa è loro, non riescono a capire gli altri, oppure sono troppo annoiati per farlo. Ed io mi sono resa conto di aver fatto lo stesso errore" la presa sulla mia mano si fece ferrea. "Di non averti capito, di essermi chiusa nel mio egoismo senza voler ascoltare niente che non rientrasse nella mia visione delle cose. Ma ascoltando solo la propria voce non si può crescere.  Forse è anche per questo che volevo venire a Chicago: per ascoltarti e chiederti scusa."
La piccola prese un respiro profondo ed io la imitai. Quel mare di parole si agitava ancora nella mia testa, incapace di placarlo o anche solo di comprenderlo. 
Così, esattamente come avevo fatto con Eleanor qualche giorno prima, lasciai che fosse l'istinto a rispondere; cinsi le spalle di mia sorella e l'abbracciai. 
Lei si irrigidì a quel contatto, ma non si ritrasse. 
"Questo vuol dire che sono perdonata?" 
"Soltanto se tu hai già perdonato me."
Ridacchiò, un po' a disagio. "Diciamo che ho scoperto di non aver nulla da perdonarti."
Mi staccai da lei, il cuore infinitamente più leggero, il respiro calmo, le labbra arcuate in un sorriso difficile da contrastare. 
Ero felice. 
Per la prima volta da quando lui non c'era, mi sentivo davvero felice. 
E ciò che Lottie disse, una volta alzatasi, non poté che migliorare le cose.
"Adesso esigo che tu vada cercare Harry, altrimenti non mi sentirei apposto con la coscienza!"




A Kind Of Brothers? (AKOB?) by NowKissMeYouFoolWhere stories live. Discover now