Capitolo 4: Ultimo sguardo

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  Imponenti segni scuri marchiavano il terreno giallastro, bruciato dal continuo battere del sole.
Gli autori di quei segni riposavano ai raggi roventi del cielo, come giganteschi pachidermi di ferro: immensi vagoni corazzati e dotati di cingoli possenti, completamente in metallo grigio, da cui guizzava lo stemma dell'Autocrazia cinese: una stella gialla seguita da quattro più piccole in campo rosso, terminanti con un sole stilizzato, il tutto attorniato da un drago rampante e da una fenice, simboli del potere militare e dell'adattabilità economica.
Dalle gigantesche macchine sporgeva una rampa, dove attendeva un uomo di mezza età, abbigliato con un'uniforme blu.
Shide sospirò nel vederlo, capendo che quello era davvero il giorno della sua partenza.
La stretta che sentiva allo stomaco avrebbe sicuramente retto meglio i suoi risparmi, magrissima ricompensa per quei quattordici anni passati lì.
I passi che abbandonava sulla rampa sembravano paurosamente insicuri. Così pesanti da far vibrare il parapetto.
''Destinazione?''
Chiese l'uomo, rompendo il silenzio di quella mattina.
''Provincia del Fujian...''
Sussurrò il ragazzo, mentre sentiva una goccia di sudore scivolargli lungo la fronte.
''Quale città?''
Domandò l'uomo, mentre il suo sguardo rimaneva totalmente inflessibile.
Un attimo di interminabile silenzio avvolse la rampa.
''Così può bastare, decidi tu quando scendere''
Ammise il conducente, allungando la mano, per ricevere il suo pagamento.
Il ragazzo ricambiò il gesto lasciandogli tra le dita un sacchetto.
Non aveva una relazione così buona col denaro, sicuramente non era molto intensa.
Non aveva spesso bisogno di comprare qualcosa, potendo usufruire della mensa dei monaci.
Alle volte si limitava a prendere qualche ninnolo al negozio di Fotusao, niente di così impegnativo.
All'improvviso, qualcosa colpì la sua mente, un idea terrificante: non sapeva realmente se bastavano a andare via.
Cosa sarebbe successo in caso contrario?
Sarebbe dovuto rimanere lì, ancora, e l'evenienza era semplicemente spaventosa.
''Questi...''
Ammise l'uomo, prendendo tre monete bronzo con un buco quadrato al centro.
''Zecca di Chengdu... Ottima fattura, tra l'altro... Puoi salire in seconda classe, se ti sta bene spendere queste tre...''
Concluse il vetturino, sorprendendo il ragazzo, che annuì compostamente.
Il controllore ricambiò il gesto, mentre il ragazzo si avviava alla fine della rampa.
Shide stava lasciando il suolo natio, e una parte di lui stentava ancora a crederci.
Forse lo lasciava per sempre, forse quello era davvero un addio.
Comunque ormai non poteva far altro che continuare.
Dopo l'ingresso gli si parò davanti un corridoio, che dopo una schiera di sedili, dedicati ai viaggiatori di terza classe, si diramò in diverse cabine.
Una volta varcato l'uscio di una di queste si trovò proiettato in un ambiente dominato da una malinconica sfumatura color petrolio, che dominava la carta da parati rovinata, così come le lenzuola del letto.
Sembrava gelido, nonostante fuori ci fosse una delle temperature più estreme del mondo.
Niente acqua e praticamente nessuna ombra, offerta solo da gigantesche dune o da torrette di cemento, ormai abbandonate all'oblio, come molte delle strutture del lontano XX secolo.
Il ronzio del piccolo televisore a muro che si accendeva si confuse con il ringhiare dei cingoli che cominciavano la loro marcia.
Il ragazzo si voltò, sdraiato sul letto. Il suo sguardo non cambiò direzione finché l'ultima torre del monastero di Fotusao non venne inghiottita dall'orizzonte.
Finché l'ultima casa del circondario non lasciava il passo alle dune, a quel regno senza re che era il nulla.
''Ehy, gentile cliente!''
Domandò una voce squillante, proveniente dal muro.
Shide girò di scatto la testa, mentre nel piccolo televisore faceva capolino una ragazza in abito tradizionale, intenta a spiegare brevemente il menù della giornata, composto da polli allevati, un po' come lui, in giganteschi casermoni, e da un bel crogiolo di verdure proveniente da chi sa dove, e soprattutto da chi sa quando.
Presto la giovane smise di intessere frasi col suo linguaggio così perfetto da essere odioso, lasciando spazio a altri programmi.
Un commentatore dalla voce possente faceva da guida tra le strade di Pechino, tra colonne alte decine di metri, templi millenari e processioni in onore del figlio di qualche grande del governo, casualmente divinizzato post-mortem qualche giorno prima.
Shide era affascinato da quel mondo, dalle grandi metropoli, eppure, così come era attratto era anche intimorito.
Avrebbe tanto voluto qualcosa di molto, molto più semplice.
Una casa, in un paese dove si potesse respirare ancora dell'aria che non bruciasse come benzina.
Non sapeva a che città sarebbe sceso, e anche per questo non aveva saputo che dire al conducente.
Sentiva che se avesse visto una città capace di farsi amare sarebbe sceso, avrebbe afferrato lo zaino che gli stava accanto e sarebbe andato lì.
Nella sua mente si delineavano i contorni dei tetti spioventi e arcuati di padiglioni color lacca, che aderivano a una collina rocciosa, come gocce di rugiada su uno dei tanti rami di una foresta nelle vicinanze.
Si, quella era una città perfetta.
Niente casermoni, niente deserti.
Acqua, vita e soprattutto, persone definibili lontanamente rispettose.
Pensò a che casa avrebbe potuto abitare, già che non aveva soldi anche per quella.
Magari una vecchia sala abbandonata che nessuno voleva, un po' come lui, ma che avrebbe reso sua, fino all'ultimo millimetro.
Magari, se il tetto era forato, poteva dire ai concittadini che senza quello scomodo foro sua madre non avrebbe potuto fargli in visita.
Le sue labbra si inarcarono un un leggero sorriso, mentre le immagini obbligate dal televisore scorrevano davanti al suo volto già stanco.
Continuava e continuava, ma d'altronde non aveva di meglio da fare.
Yifo detestava quel macchinario, ma ormai, non poteva più fare molto.
Il dio della morte lo aveva portato via, lontano. Il suo allievo sperava che la sua destinazione fossero le terre pure, ma non c'era via di conferma.
Gli dei non parlano di ciò che non può essere rivelato, ne aveva avuto una prova solo qualche ora prima.
Le labbra carnose del ragazzo si aprirono, ricordando una delle massime del suo maestro.
''La morte è dannosa per chi è ossessivamente attaccato alla vita, chi saluta Yama* come si saluta un compagno ritrovato non ne deve temere il giudizio, chi cerca di sfuggire alla morte non solo fallisce, ma conferma anche di temere il Giudizio e il Castigo...''
Ripeté Shide, stringendo le mani al petto, come in una strana preghiera.
Le immagini e i suoni dello schermo continuavano imperterriti a scorrere, come un fiume in piena, un fiume tutt'altro che incontaminato, tra antichi film di arti marziali nazionalisti e documentari su quanto il regime fosse assolutissimamente inattaccabile.
Imbattibile sia dialetticamente, già che permetteva la pace e la sopravvivenza del popolo, sia dal punto di vista militare, visti i giganteschi arsenali che venivano mostrati a ogni occasione.
Gli occhi del ragazzo stavano per socchiudersi al sopraggiungere della sera.
Le stelle cominciavano a fare capolino dai fianchi del cielo, formato da blu diversi, stratificati come nel disegno di un'agata.
Un attimo di profondo silenzio.
Un ruggito metallico spezzò l'aria, completamente immobile fino a quegli attimi.
L'intero mezzo si inclinò, mentre veniva stravinto da una forza inspiegabile quanto angosciante.
Un cigolio violento e acutissimo riecheggiò nel silenzio, ormai frammentato da grida e sbotti del motore.
Due ringhi meccanici. Il motore cercava di trattenere i cingoli dall'arresto totale, di rimetterli in moto.
Un grido, lanciato da più bocche, ma unito in una nota terrorizzata risuonò per ogni cabina, per ogni sedile, per tutto il mezzo.
Non ci fu niente da fare.
Le ruote del macchinario non si mossero, qualcosa stava tenendo fermo il mezzo con una potenza assurda.
Il giovane sobbalzò, guardando fuori dal finestrino.
L'unica cosa che vide fu una scia di sabbia all'orizzonte.
Nera.
Come una notte senz'anima.
*Yama: dio della morte nella religione Buddhista  

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