Una fragile realtà

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Passarono altre svariate settimane. A Silva risultò difficile per i primi tempi anche solo scendere dal letto, così caldo e soffice, per scontrarsi col gelo dell'inverno. Lo tollerava solo per i pomeriggi con il professore, che iniziarono a trascorrere non solo all'aperto, ma anche in altri punti ben nascosti (e caldi) della scuola. Sopportava ai primi tempi. Poi divenne solo piacevole. La compagnia del professore non era cambiata. Era ancora bello parlare con lui, ridere (inverosimilmente) e soprattutto, aveva molto più tempo per guardarlo negli occhi quando si parlavano, visto che il quaderno non c'era più.

Parlando del quaderno, ci fu un piccolo fatto che Severus si sentì in dovere di raccontare. Quando tornò nella sua stanza, quella sera dove tutto finì, si accorse che il ritratto che gli aveva donato Silva era diventato anch'esso cenere bianca come la neve. La ragazza non ci pensò su due volte a rifarlo, quasi migliore dell'originale, e stavolta su della carta normale che sarebbe durata di più.

Ah, e Silente chiese solo la metà del prezzo per la porta buttata giù e la statua in frantumi. Quell'uomo è troppo buono - si ripeteva Severus. Non che volesse pagare il prezzo pieno, ci mancherebbe!

La situazione si era fatta finalmente tranquilla e una sera, la piccola Silva si decise a parlare col professore di quella frase che le disse mesi addietro. Non sapeva bene come iniziare l'argomento, ma si diresse ugualmente nello studio del professore senza che nessuno la notasse. Entrò, e lo sguardo sottile di Severus si puntò sulla ragazza.

"Buonasera" - disse lei avvicinandosi. Non un sorriso, non un accenno di espressione. Intuì subito di cosa si trattasse ma fece finta di nulla, rispondendo con un pacato - "Sera". La piccola Serpeverde si avvicinò alla cattedra per sbirciare cosa stesse facendo: era chino su di un libro, ben aperto sulla pagina di una pozione la cui ricetta era a lei sconosciuta. Controllava la pagina, controllava le fiale a destra e dopo averne presa una, ne dispensava accuratamente il contenuto nel calderone a sinistra per poi rimetterla a posto.

"Che cos'é?" - fu la domanda che fece nuovamente alzare lo sguardo del professore.

"Nulla di particolare" - la risposta arrivò subito. Tanto che Silva non volle crederci. Provò a leggere il nome della ricetta ma era scritta con caratteri così piccolo, oltre ad essere capovolti, che non né lesse una lettera.

Non si sarebbe mai immaginata che quell'intruglio servisse a curare una certa mutazione di un certo professore in un certo periodo del mese.

Silva non trovava il coraggio di parlare. Era lì, in piedi, a guardarlo in ogni suo movimento sicuro e perfetto.

"Dimmi pure" - la incoraggiò Piton.

Perché non sei più giovane?
Perchè non sono più grande?
Perchè ogni volta che
penso di amarti sento
un nodo alla gola,
lo stomaco raggelarsi
e le mani che tremano?
Perché non posso amarti
senza la consapevolezza di
essere una ragazzina che
per quanto innamorata,
dovrà vedere la vita
abbandonarti lentamente?

Non era facile, potete immaginarlo se proprio credete di farcela. Ma per Silva era doloroso ammetterlò a sé stessa, figuriamoci alla persona che amava.

Non sapeva da dove cominciare, così tentò di risalire al fatto partendo dalla data - "Ricordi cosa mi hai detto quella sera?".

Il professor Piton capì subito e ripose la fiala che stringeva tra le dita al suo posto. "Sì. Non posso dimenticarlo con tanta leggerezza...". Severus, dal canto suo, non sapeva se fosse meglio un rifiuto o l'accettazione. Nel primo caso si sarebbe sentito peggio, nel secondo invece avrebbe avuto almeno un motivo per non soffrirne. Anche lui pensava le stesse cose di Silva.

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