38. Eric

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«Ce ne andiamo, cazzo».

È una dichiarazione di guerra, e Morgan lo sa. Sorride, scuote la testa, sospira.
Che c'è? domando, e lei mi rifila quella smorfia - la divertita rassegnazione di chi mi conosce bene, di chi mi conosce tutto.

Em se l'è mangiata il buio, l'ha inghiottita la pancia gialla di un taxi vagabondo; sfumata, un incubo sgualcito in una notte di mezza estate. Io sono rimasto qui fuori a rattopparmi, ad ansimare nell'odore spregevole dei suoi passi fuggiaschi, tra macerie di baci spezzati, nati morti; finché Morgan mi ha raggiunto. Siamo rimasti soli, io e lei, in questo vicolo imbrattato di piscio e marmitta, a farci scorticare la pelle dal sudore della Città. In silenzio.

Fa un casino, la notte di New York; fa bollire l'asfalto, picchia sui muri, si scopa la vita, e a me piace da matti questo teatro degli errori, ma è lei - Em - a divorarmi i timpani, a straziarmi le orecchie con parole spaccate, morte nella carne come dardi troppo pigri.
Morgan mi spaccia una dose di pace, una quiete che non voglio ma da cui dipendo. Si è chiusa l'inferno alle spalle, mi ha dato una birra e una spalla in cui sparire. Mi guarda poco, ha paura di vedermi piangere per una tequila di troppo, lei che ha raccolto tutte le mie lacrime e ne ha fatto una fontana che non accende mai.
È triste, è bellissima. Una sposa dimenticata all'altare. C'è qualcosa di prezioso, di solenne nel modo in cui si porta dietro quello strascico di dolore, cucito tra le scapole come ad un angelo, una martire, una vedova.

«Sei sicuro?».

«Cazzo, sì».

«Come vuoi».

Morgan si arrende, leva dalla strada quel suo corpo che troppe volte ho leccato, baciato, spolpato.
Sei uno stronzo, Eric.
Come se non sapessi che mente, quando giura di non soffrire.
Come se non sapessi che stai mentendo, quando giuri di crederle.

Lo Swatch di Guerre Stellari che mi ha regalato Phil a Natale è pericolosamente vicino alla mezzanotte.

«Dobbiamo muoverci. La Morte Nera sta arrivando».

Morgan ride forte, troppo, la birra le sfugge dalle labbra, le macchia la pancia scura, scoperta senza pudore. Potrei asciugargliela, darle un amore gentile, di quelli che non rompono piatti né dormono sul divano, di quelli che si mettono in una cornice d'argento, in salotto, ad invecchiare. Potrei.

«Sei una merda, hai appena paragonato tua sorella ad un'arma di distruzione di massa».

«Tu non conosci Em, potrebbe ordire un genocidio senza troppe difficoltà - sopratutto durante l'ovulazione».

«Non dovrebbe essere più felice, durante l'ovulazione? Avere capelli lucenti, una gran voglia di vivere?».

«L'unica cosa lucente che possiede è il premio stagista dell'anno appeso al muro in camera da letto, quindi no. Della voglia di vivere parleremo in un altro capitolo, adesso vuoi gentilmente seguirmi? Ti porto in salvo».

O almeno ci provo.

«Aspetta un attimo!».
Il cipiglio di Morgan tradisce sospetto, i conti non le tornano. Improvvisamente mi guarda come se avessi pugnalato sua nonna nel sonno.
«Sai che tornerà e nonostante questo vuoi andare via. Tu non la stavi aspettando. Tu vuoi farla incazzare!»

«Sei sveglia, ragazzina».

La sua è una risata incredula, di pancia, rimbalza sulle sudicie pareti di mattone di questa piaga da decubito urbana in cui siamo nascosti; Morgan scuote la testa, mi spintona, ma finalmente abbandoniamo la torre di guardia. Il battito della Città riprende a ronzarmi nelle viscere.

Quel che resta della città [Em & Eric]Where stories live. Discover now