60. Rendering

391 28 8
                                    

La testata ha colpito Jason Mann in mezzo agli occhi.

Devo avergli fracassato il setto nasale, e a giudicare dal crepitio dev'essere stato doloroso. Ripenserò a lui così, ululante e sporco di sangue, vagamente scomposto, un Picasso da rigattiere.

Il ricordo più bello di sempre.

Ma procediamo con ordine, ripartiamo dall'inizio. Sono sicura che ne viene fuori una storia avvincente, devo solo scegliere l'incipit.

Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, quella stronza di Gillian Price si sarebbe ricordata di quel remoto pomeriggio in cui Emilia Wright le era parsa turbata.

Come sarebbe a dire che somiglia a Cent'anni di solitudine? Beh, magari questa storia si chiamerà Cent'anni di galera nella prigione federale del Kentucky, perciò può andare. Dunque non siate troppo pignoli, proseguiamo.

Alle dieci e tre minuti di un martedì mattina crudo e appiccicoso, le autorità federali e la polizia di New York sono piombate negli uffici della Credit Américain brandendo un mandato d'arresto per quindici dipendenti della società incluso lo Chief Auditor - che sarei io, nel caso ve ne foste dimenticati.

Dagli atti è emerso che nessuno ha opposto resistenza eccetto quel coglione di Jason Mann, ma lui non fa testo perché, suvvia, è solo quel coglione di Jason Mann. Insomma, siamo stati educati, e questo è sempre degno di nota.

Al marciare compatto dei federali, Gillian non si è scomposta.

Si è affacciata alla porta del suo ufficio, una tazza di caffè bollente tra le mani. Poi, con la grazia di un ofide, è scivolata nel blazer greige e ha inforcato gli occhiali scuri. Sapeva che sarebbero arrivati, prima o poi. Arrivano sempre.
Oltre la porta era uno sciabolare di manette e imprecazioni, diritti sciorinati come litanie, ma Gillian Price ha atteso il suo turno come alla corte del re Sole e ha mandato giù il caffè, mentre metà del suo corpo dirigente tremava come un canneto nel vento.

Il commissario Foreman ha finto di non conoscermi. Immagino volesse tutelarmi, ma il mio entusiasmo apparentemente ingiustificato ha smascherato le sue buone intenzioni. L'ho salutato come un vecchio zio al cenone di Capodanno, con tanto di pacca sulla spalla.

È stato allora che Jason ha provato a mordermi la faccia. All'imbarazzo del commissario ha iniziato a ragliare e a scalciare, grigio e ottuso come un mulo.

«Sei stata tu! Lo sapevo che di te non ci si poteva fidare. Mediocre, santarellina del cazzo!».

E fin qui, ho incassato. Dopotutto, stavo facendo arrestare mezzo ufficio, certamente non mi aspettavo una festa di commiato. Ma Jason ha continuato, fastidioso come una colonia di zanzare.

«Che lurida puttana!».

Ecco, io sono tante cose, alcune anche piuttosto brutte, ma puttana no di certo e meno che mai lurida.
Così l'ho colpito.
A dirla tutta, l'ho colpito anche perché mi andava, perché ho sempre sognato di farlo, da prima di John. Insomma, Jason Mann ha una fronte perfetta per planarci con una craniata. Mi sono detta, se non oggi allora quando? Oggi, che domande. Il contraccolpo mi ha rintronato ma è stato meraviglioso, delirante, gli agenti hanno dovuto sorreggerlo mentre il mio adorato collega si chiedeva se davvero l'Inferno potesse avere il mio volto.

Il commissario Foreman mi ha ripulita dal sangue prima che mi si attaccasse alle sopracciglia - che non è mai bello da vedere in foto, tantomeno in prima pagina - ed eccoci qui. A porte aperte. Fuori.

Per strada, New York si è inceppata.

È un fondale di gesti incompiuti, uccelli fermi a mezz'aria. È gente che smette di andare a lavoro, di svoltare a destra, pedali sospesi nel vuoto.
Tutt'attorno a noi è una platea di bocche spalancate, gelati sciolti e cellulari lesti come pistole fumanti. Lo credo bene, oggi si festeggia. Siamo quelli che tutti gli altri vogliono spezzare, quelli detestati; le iene, gli sciacalli, i lupi. E se ogni mattina, a Manhattan, un risparmiatore si sveglia e sa che dovrà correre più veloce di un broker di Wall Street, oggi può prendere fiato.

Tra la folla dei giornalisti, Francine indossa i suoi zaffiri. È così bella oggi, con in testa un cielo terso e placido ad illuminarne la commozione. Anche questo sarà un bel ricordo, anche questo vale il viaggio.

Tutto il resto è una cascata di stupore cristallino e volti che mi bucano gli occhi; disprezzo, meraviglia, pietà. E per la prima volta riesco a distinguerli, a sentirli, tutti loro; sotto la pelle come coriandoli di fuoco.

Sono viva e ho paura, e questo è il mio giro di boa, questo è quello che so.

Quello che non so è che tempo dopo, di ritorno da una giornata meno crudele del solito, avrei raccolto una copia spiegazzata del Times scivolata nel cespuglio delle peonie. Avrei preparato il caffè e sfilato le scarpe, e con un paio di forbici gentili avrei ritagliato la mia faccia in bianco e nero dalla pagina prima. Un'altra cosa che non so è che mi piacerà quella foto. Ho i capelli in disordine e l'esuberanza inappropriata di chi ha appena rivisto l'unica persona al mondo capace di dare un senso ai pezzi scomposti del proprio animo. Sì, perché quello che non so e che scoprirò tra pochi istanti, è che lui è qui. Da tutta la vita.

Ora mi portano via, il sole mi ghermisce le braccia, e tutto scivola ad una lentezza epica, come nel trailer di un film, il mio cazzo di film, e spero che, ovunque lui si trovi, possa essere fiero di me.

Sono tempi difficili Eric, ma finalmente capisco. Vedo tutto per la prima volta. Un giorno ti inconterò di nuovo. Sarò diversa, forse, ma finalmente, è ancora tutto da scriv-.

«Em!».

Non posso crederci.

È lui, tra la folla, biondo come una mimosa e con quegli occhi che divorano il mondo. Ed è bello come l'alba dopo la Notte Polare, come la superficie quando credi di affogare. Come gli ammaraggi, come la guarigione. Ed io so che non dovrei, ma, ancora una volta, quanto ho pregato che arrivasse.

«Che cazzo stai facendo qui? Dovresti essere in Norvegia!» urlo, per sovrastare il baccano.

«Invece sono esattamente dove vorrei essere!».

«Guarda che sei hai rinunciato al servizio ti ammazzo!».

«Sei la solita ingrata!».

«E tu il solito idiota, cocciuto e poco professionale!».

L'improbabilità della nostra conversazione attira non pochi curiosi. Persino Francine, precedentemente impegnata a riprendere Gillian col suo algido incedere, decide di avvicinarsi.

«Quindi, sei tu l'uomo a cui dobbiamo questa mangifica riunione?» domanda ad Eric, unendo le mani per simulare un megafono. Lui sorride, amareggiato.

«In realtà, signora Cook, è grazie a suo marito se siamo qui».

Lei china il capo per scusarsi, poi scoppia a ridere. Sgomitando per trascinare con me i due agenti che mi mozzano il fiato, li raggiungo quanto basta per smettere di gridare.

Quanto basta per guardarlo, respirare il suo odore, imprimermelo negli occhi.

«Che cazzo, me lo avevi promesso» piagnucolo, e lui si allunga per scompigliarmi i capelli sotto lo sguardo perplesso dei due federali. Si staranno chiedendo se fermarlo, ma ci scommetto che anche loro sono curiosi di sapere come va a finire.

«Ho incrociato le dita dietro la schiena».

«Eric...».

«Amore mio. Mi sei mancata da impazzire».

Kamu telah mencapai bab terakhir yang dipublikasikan.

⏰ Terakhir diperbarui: Jul 06, 2021 ⏰

Tambahkan cerita ini ke Perpustakaan untuk mendapatkan notifikasi saat ada bab baru!

Quel che resta della città [Em & Eric]Tempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang