Capitolo 2~Welcome To The Jungle

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Essere sveglia fu la prima cosa che stupì Luna appena aprì gli occhi… cioè: lo sapeva che si sarebbe svegliata prima o poi, perché sapeva che svegliarsi normalmente era la diretta conseguenza dell’aver dormito, ma la cosa non mancava comunque di darle una sensazione di vaga sorpresa.
La seconda cosa, fu l’essere sveglia su un letto e perfettamente in salute: era abbastanza sicura di essere svenuta nel bosco dietro il suo villaggio, e gli unici letti che potevano esserci lì erano quelli dei ruscelli… e poi l’ultima volta che era stata cosciente era piuttosto sicura di aver avuto una spalla ridotta in pappa e una pallottola piantata in un fianco…  per non contare le ustioni.
Il letto in cui si trovava era coperto da un lenzuolo grigio ed era un po’ duro, ma comunque abbastanza comodo… e di sicuro non era il letto di un ruscello e per quanto i suoi vestiti fossero ancora strappati, bruciacchiati e sporchi di sangue la spalla era a posto, e non aveva male da nessuna parte.
La terza cosa, fu vedere che attorno al letto c’erano anche delle pareti. Quella più vicina era a neanche dieci centimetri dal suo naso, e in un punto poco sopra la sua testa c’era una scritta incisa nell’intonaco che diceva OSCAR WAS HERE – 2210.
La quarta cosa fu rendersi conto che sentiva il battito cardiaco di una persona giovane e in piena salute di sesso femminile a poco più di un metro da lei, e svariati altri sparsi nel raggio qualche chilometro. C’erano altre persone vive attorno a lei… e non erano umane. Non del tutto almeno.
Si prese un secondo per analizzare la situazione: si trovava in un luogo Dio solo sapeva dove, estraneo e magari anche ostile, non sapeva che ora o che giorno fosse ed era totalmente, schifosamente disarmata, se non per… be’, meglio di no.
Passò dieci minuti buoni a chiedersi cosa fare se la ragazza l’avesse attaccata, ma poi convinse se stessa del fatto che se avesse voluto farle del male, lo avrebbe fatto prima che si svegliasse.
Alla fine si girò lentamente verso di lei, e la guardò: poteva avere un paio d’anni più di lei, era alta circa un metro e settanta e aveva una corporatura ben strutturata. La sua pelle era color caffellatte ed era di lineamenti gradevoli: aveva un viso dolce e disteso in un’espressione distratta, su cui spiccavano due occhi viola ciclamino fissi sul muro dietro di lei, e ciuffi di capelli corti e lilla sfidavano la gravità e si alzavano di qualche centimetro verso l’alto, mettendole in risalto la fronte. Indossava una divisa mimetica grigia con i gradi di caporale cuciti sulla spalla che la faceva sembrare un soldato… avrebbe potuto esserlo, un soldato, se non fosse stata così giovane e se non avesse avuto i capelli tinti di quel colore assurdo -sempre che fossero tinti…-: il fisico lo aveva di certo.
C’era una specie di strap attaccato sul davanti della giacca della divisa che recitava B. Morrison. Luna si chiese per cosa stesse quella B.
-Oh, da quanto sei sveglia?- chiese poco dopo interrompendo i suoi ragionamenti.
Luna la guardò un attimo ancora, cercando di capire se potesse arrischiarsi a muoversi oppure no. Alla fine decise di mettersi seduta, ma di evitare di rispondere: ovviamente non poteva fingere di non capire la sua lingua, perché tutti parlavano la stessa lingua da dopo la Terza Guerra Mondiale, ma forse poteva fingere di essere sorda, o qualcosa del genere.
-Non essere spaventata: non voglio farti niente.- aggiunse la ragazza.
Il suo cuore continuò a battere come se niente fosse: non stava mentendo.
-È un piacere conoscerti: sono il caporale Brooklyn Morrison, ma mi chiamano Brooke.- disse con un sorriso –Tu ti chiami Luna, giusto?-
Parlava la lingua comune con un accento che Luna non aveva mai sentito: era strano… maledettamente strano, e lei non riusciva a riconoscerlo.
-Ti senti bene?-
-All’incirca.- borbottò alla fine, mandando a farsi friggere la copertura che aveva appena inventato: in fondo se sapeva il suo nome probabilmente sapeva anche che non era sorda… e poi perché sapeva il suo nome?
-Come diavolo fai a sapere come mi chiamo?- chiese –E dove sono? Cosa ci faccio qui?-
Brooke ridacchiò e scosse piano la testa.
-Siamo curiose, eh?- disse –Non sono autorizzata a dirti dove sei o perché ci sei, però posso dirti che il tuo nome l’ho letto sul tuo fascicolo.-
-Il mio… fascicolo?-
-Sì. Quando ti danno un nuovo compagno di stanza ti danno sempre il suo fascicolo, così puoi metterlo a suo agio.-
Luna prese un respiro profondo, e provò a riordinare le idee. Non sapeva dove fosse o come ci fosse arrivata o perché fosse lì, non sapeva chi fosse la ragazza di fronte a lei, non aveva idea di quanto diavolo esattamente sapesse di lei e… be’, quello poteva essere un problema serio. Quanto e cosa sapeva di lei? Poteva fidarsi?
-Posso… vedere questo fascicolo?-
Brooke puntò i suoi occhi viola su di lei per qualche secondo, studiandola. Una certa sorpresa traspariva dai suoi lineamenti.
-Certo…- disse –È una richiesta un po’ insolita, ma non c'è alcun problema.-
Si alzò dalla sedia su cui era seduta e si girò verso la scrivania addossata al muro che c’era dietro di lei. In tutto la stanza era larga forse poco più di due metri e mezzo.
Tornò a volgersi verso Luna qualche secondo dopo, porgendole una cartellina di cartoncino rosso con stampato sopra il suo nome.
Dentro c’erano una serie di sue fotografie. Occhi rossi (i suoi occhi rossi) la fissavano da dietro la carta lucida, mezzi coperti da un ciuffo di capelli biondi e spettinati.
C’erano fogli di informazioni di vario tipo… c’era una lista di cose che le piacevano o che non le piacevano, e un elenco di dati clinici che non finiva più… il che non aveva molto senso: lei non si era mai ammalata in vita sua. Sul fatto che a volte ammazzasse gente con il pensiero, però, non c’era niente, così come non c’era niente sulla storia della sua famiglia. Nemmeno un accenno.
Per fortuna… si disse mentre chiudeva il fascicolo e lo restituiva a Brooke.
-C’è talmente tanta roba qui dentro che è quasi inquietante.- borbottò mentre la ragazza riponeva la cartellina rossa in un cassetto della scrivania –Come fate a sapere tutta questa roba di me?-
-Ti hanno tenuta d’occhio.- rispose lei come se dire una cosa del genere fosse perfettamente normale  –Lo fanno con tutti quelli che sono fuori, in modo da poter dare una mano in caso di bisogno.-
-Vuoi dire che lo fanno con… tutti?-
-Tutti gli Strani, sì.-
Luna aprì la bocca per chiedere cosa diavolo volesse dire tutti gli Strani, ma prima che potesse dire qualunque cosa ci fu una specie di schianto e una delle mensole piene di libri inchiodate sopra alla scrivania cedette. Brooke si mosse così in fretta che la sua figura diventò sfocata: si girò di scatto e alzò la mano verso la mensola, sbottando qualcosa che assomigliava molto a Non ci provare neanche!
I libri e la mensola smisero improvvisamente di cadere. Rimasero semplicemente lì, fermi a mezz’aria come se la gravità all’improvviso si fosse rotta, e Luna rimase a fissarli a bocca aperta mentre il ripiano della mensola tornava in posizione, le viti tornavano a infilarsi nei supporti che la tenevano su e i libri tornavano ai loro posti.
-Come cazzo…- borbottò –Quella era telecinesi?-
-Veramente io sono inglese…- precisò Brooke ridacchiando alla sua stessa battuta.
Luna restò ferma a guardarla come una stupida.
-Scusa…- la ragazza abbassò lo sguardo, quasi a disagio –Lo so che è una battuta tremenda… e poi non sono nemmeno inglese in senso stretto, ma…-
-No, no… non era quello… è solo che… wow…-
-Oh, figurati… non è niente.- disse.
Fece un gesto con la mano, come per allontanare la cosa, ma Luna non aveva alcuna intenzione di passarci sopra.
-Come sarebbe a dire che non è niente? È fantastico!- esclamò –Come lo hai imparato?-
-L’ho sempre saputo fare… è una specie di superpotere, hai presente? Tutti qui dentro ne hanno uno… è questo che vuol dire Strani.-
Per un attimo o giù di lì calò il silenzio: Luna cercava di capire, e Brooke… Brooke sembrava vagamente distratta, come lo era stata prima che cominciassero a parlare. Forse stava pensando a qualcosa.
-Cosa vuol dire Qui dentro?- chiese alla fine Luna –Dove sono?-
-Come ti ho accennato prima, purtroppo non sono autorizzata a parlartene… ma qualcuno ti spiegherà tutto fra poco.- disse Brooke –Ora immagino che avrai voglia di farti una doccia. Lì c’è il bagno: dentro troverai asciugamani e vestiti di ricambio.-
Indicò una porta che prima Luna non aveva notato, e le fece cenno di andare.
Non seppe neanche se stupirsi o meno, quando si accorse del fatto che i vestiti di ricambio di cui Brooke parlava erano una mimetica grigia.
Si tolse i suoi vestiti strappati e si infilò sotto la doccia evitando con tutte le sue forze di guardarsi allo specchio. La sua pelle era ancora sporca di sangue e aveva della terra in mezzo ai capelli e si prese qualche minuto per cercare di levarsi tutto lo schifo che aveva addosso, poi uscì, si rivestì e tornò in camera.
Sulla divisa c’era uno strap con scritto sopra il suo nome.
-Per fortuna ti sta bene…- disse Brooke fra sé e sé vedendola uscire dal bagno –Avevo paura che ti fosse piccola, ma a quanto pare il fascicolo non scherzava sul metro e cinquantadue…-
-Lo so, lo so…- borbottò Luna –Sono uno sputo e se fossi un po’ più piccola dovrebbero guardarmi con il microscopio… grazie tante, non me n’ero accorta.-
Le persone facevano spesso battute sulla sua altezza, se non la conoscevano. Poi, dopo averla conosciuta, cominciavano ad avere paura di restarci secchi e la smettevano, però all’inizio le facevano sempre tutti.
-Non volevo offenderti…-
-Tranquilla, me ne hanno fatte talmente tante di queste battute che ormai…-
-Ok… adesso se vuoi seguirmi, ti porto da chi, a differenza mia, non è costretto a tenere la bocca chiusa su questo posto.-
Luna per la prima volta cominciò a pensare che la risposta alla domanda Dove cazzo sono finita? potesse essere qualcosa di seriamente preoccupante, ma Brooke non sembrò notarlo per niente, anzi.
Prese un giaccone da un appendiabiti dietro la porta d’ingresso della stanza e uscì.
Quando Luna la seguì, fuori dalla porta c’era un lungo corridoio grigio illuminato a malapena da qualche rara lampada al neon che si srotolava per parecchi metri da entrambe le parti… sembrava infinito.
-Questo posto dev’essere enorme…- borbottò guardandosi attorno.
Brooke scoppiò a ridere.
-Aspetta di vedere il resto…- disse –Non vuoi metterti qualcosa addosso? Fa un freddo dannato là fuori.-
-Oh, io… no, il freddo non è un problema.-
-Ok… allora vieni.-
Fece spallucce e imboccò il corridoio verso sinistra. Guidò Luna attraverso una serie di svolte e un paio di scalinate che andavano verso il basso… il che era strano, perché tutto di quel posto dava l’idea di essere sottoterra: le pareti sembravano scavate nella pietra, non c’erano finestre ed era così umido che c’era da stupirsi che non ci fossero né muschio né muffa.
Invece non erano sotto terra: per tutto il tempo non avevano fatto altro che scendere, quindi quando uscirono non potevano decisamente essere arrivate da sotto.
L’esterno, per la verità, assomigliava parecchio ai corridoi da cui erano appena uscite: il cielo era color acciaio chiaro e nevicava leggermente. L’edificio alle loro spalle era un fabbricato enorme, grigio, con un 2 enorme e rosso dipinto sul davanti. Luna si tolse una ciocca di capelli dagli occhi e si guardò attorno: ce n’erano altri tre esattamente uguali disposti in una fila dritta e l’unica cosa che cambiava dall’uno all’altro era il numero che avevano dipinto sulla facciata.
Tutto quello che si vedeva dietro i casermoni era un enorme muro nero e oltre quello, per qualche oscura ragione, il mondo sembrava viola: una sfumatura di viola simile a quella degli occhi di Brooke, che andava schiarendosi fino a sparire man mano che saliva verso l’alto. Sembrava che vibrasse: persino il cielo sembrava vibrare, ma Luna decise di non indagare. Tutto quello che sapeva e che aveva bisogno di sapere era che di sicuro non era da nessuna parte vicino a casa sua: le nuvole avevano la sfumatura sbagliata, l’aria aveva un odore diverso… e tutto, in generale, sembrava così lontano dal villaggio da cui veniva lei che faceva quasi paura.
Davanti a loro c’era una specie di campo enorme ricoperto di fango, e alcuni ragazzi con la mimetica grigia correvano in cerchio lungo un percorso di reti, copertoni e barricate.
Brooke ne salutò un paio mentre lo costeggiavano, e ottenne una digrignata di denti e un vago cenno con la mano come unica risposta. Subito dopo passarono accanto a un edificio ancora più gigantesco di quello da cui erano uscite.
-Ricordatelo questo.- disse Brooke indicandolo –È la Mensa… vedi? Enorme e in mezzo al niente: a prova di idiota. Così nessuno rischia di morire di fame.-
-Comodo.- borbottò Luna, ma non lo pensava davvero: era troppo impegnata a guardare ovunque con gli occhi spalancati per pensare veramente a qualcosa.
Era abituata alle case minuscole e fatiscenti del villaggio: non aveva mai visto niente di più grande o… che avesse anche solo mura del tutto di cemento: di solito era più che altro un miscuglio di legno, qualche lastra di vetro graffiato, lamiera arrugginita e, quando andava bene, una decina di mattoni recuperati dalle rovine della città che prima della guerra sorgeva una trentina di chilometri verso sud. E poi la strada… Cristo, anche solo la strada su cui camminava era qualcosa di assurdo: era asfalto, dannazione. Asfalto vero, integro e scuro.
Stavano passando di fianco un altro edificio un po' più piccolo, quando notò la torre. Si fermò in mezzo alla strada, a bocca aperta, lo sguardo fisso verso l’alto. Era un torrione di pietra scura, così gigantesco che Luna per un attimo pensò che tenesse su il cielo. Poi, circa tre secondi dopo, si rese conto di quanto ridicolo fosse come pensiero, ma intanto aveva passato tre fottuti secondi abbondanti a crederci come i vecchi credevano al Vangelo. Imbarazzante.
A occhio sembrava avere sette o otto lati, e non aveva molte finestre, ma almeno, a differenza degli enormi casermoni quadrati che aveva visto fino a quel momento, le aveva, le finestre.
-Questa è la Torre Centrale.- disse Brooke quando ci arrivarono sotto –Tutta la roba noiosa e burocratica succede qui dentro.-
L’interno della Torre, come tutto il resto, era grigio e poco luminoso: aveva giusto un paio di piante e di neon in più rispetto al posto in cui Luna si era svegliata. La verità era che quel posto nel complesso era maledettamente inquietante, ma lei era troppo impegnata ad essere strabiliata per accorgersene.
Iniziarono a salire scale. Parecchie scale: abbastanza da stancare una povera quindicenne alta un metro e un tappo, soprattutto perché i gradini erano più alti del normale… per quanto la sua esperienza in fatto di gradini potesse definire il normale.
Sembrò passare una vita prima che finalmente le scale finissero: l’ultimo piano, sempre che fosse veramente l’ultimo, era più luminoso degli altri: c’era un finestrone gigantesco in fondo al corridoio che lasciava entrare la luce grigia che veniva da fuori, persino i muri sembravano un pochino più colorati.
C’era addirittura una porta di legno blu con la maniglia d’argento, che risaltava sul grigio slavato di tutto come un papavero risaltava su un campo di grano. C’era anche una panca grigiastra abbandonata in un angolo: Luna ci si buttò sopra praticamente a pesce.
-Stanca, eh? I rompipalle che lavorano qui litigano per l’ascensore da anni, ma io sono dell’idea che un po’ di scale non facciano male a nessuno.- rise Brooke guardandola.
-Vuoi dire che c’era un ascensore e noi non l’abbiamo preso?- borbottò Luna dalla panca –Perché potrei non perdonarti mai.-
-L’ascensore c’é.- ammise Brooke –Ma non arriva qui in cima, e poi so che non ti piace stare in mezzo a troppa gente, quindi ho preferito evitare…-
-Oh… ok.-
Luna si mise a sedere più composta e la guardò.
-E adesso?- chiese.
-Adesso aspetti che il direttore abbia finito di fare qualunque cosa stia facendo e ti riceva.-
-Tu non rimani qui?-
Brooke scosse la testa.
-Mi spiace.- disse –Ma ho delle cose da fare. Passerò a riprenderti quando avrai finito, ok?-
-Ok…-
Brooke se ne andò, e Luna rimase sola, nel silenzio… per circa ventisette secondi.
Poi un paio di figure bionde e decisamente troppo alte invasero il suo spazio visivo.
-Piantala di starmi addosso, Claude. Non sono un bambino.- sbottò uno dei due mentre finivano le scale.
I loro passi risuonarono contro il pavimento di linoleum scuro mentre si avvicinavano a lei… non sembrava che l’avessero notata.
Loro invece… be’, sarebbe stato difficile non notarli: erano entrambi schifosamente alti, tanto per cominciare. Talmente alti che Luna dovette reprimere l’impulso di controllare che non avessero il soffio al cuore: quando lei e i suoi fratelli erano piccoli, suo padre ripeteva spesso che era meglio essere bassi, perché le persone alte tendevano ad avere problemi di cuore. Lei aveva sempre sospettato che fosse almeno un po’ una cazzata, ma non era facile battere con la conoscenza di una bambina il blocco mentale di un secolo di tentativi di auto consolazione in una famiglia in cui difficilmente si trovava qualcuno più alto di un metro e sessantacinque.
Avevano entrambi un viso angelico, ma non si assomigliavano per niente: il più basso aveva i capelli biondo miele, gli occhi di un azzurro pallido, ma luminoso e le guance spruzzate di lentiggini abbastanza chiare da essere quasi invisibili. Aveva lineamenti più morbidi dell’altro ragazzo, che doveva essere più grande di un paio d’anni. Il biondo dei suoi capelli era più sul cenere che sul miele, e i suoi occhi erano grigio acciaio come il cielo che si intravvedeva fuori dalla finestra.
C’era qualcosa di veramente assurdo in loro, ma Luna non riusciva a capire cosa.
-No, però ti comporti come se lo fossi a volte. Forse è meglio se resto qui con te.- disse Claude.
-Lasciami in pace.-
Il ragazzo più basso non sembrava contento: sembrava incazzato, frustrato e anche un po’ stanco. Camminò con stizza verso Luna e si sedette accanto a lei.
-Visto? Non sono da solo.- dichiarò indicandola –Ora levati dai piedi.-
-Uffa…- bofonchiò Claude con aria contrariata –Ai suoi ordini, Lord Valentyn.-
Si girò e riprese le scale. Luna rimase a fissarlo per un paio di secondi, prima di mettere a fuoco le ali bianco-grigiastre che gli spuntavano dalla schiena. Dovette metterci tutta la sua buona volontà per non gridare. Si voltò verso l’altro ragazzo (Valentyn?) e lo guardò meglio. Indossava anche lui la mimetica grigia, e anche dalla sua schiena spuntavano un paio di ali bianche.
Ok. si disse Luna In fondo nemmeno io sono quel che si dice “normale”. Che vuoi che siano le ali a confronto…
-Ciao.- borbottò Valentyn dopo quasi un minuto di religioso silenzio.
-Ciao.- rispose lei.
-Piacere, mi chiamo Valentyn.-
-Luna.-
Valentyn le porse una mano dalle dita affusolate e pallide, e lei la strinse dopo un attimo di esitazione. Quanto meno sembrava un tipo amichevole.
-Nuova?- domandò.
-Già… mi sono svegliata qui nemmeno un’ora fa.-
-Si sente da come parli… loro hanno un accento strano. Il tuo è diverso.-
Luna rimase in silenzio per un secondo o due.
-Anche tu non sei di qui, vero?- chiese alla fine.
Valentyn scosse la testa.
-Nato e cresciuto in Svezia.- disse –Sono arrivato qualche giorno fa.-
-Oh… capisco.- borbottò Luna, ma in realtà non capiva: il villaggio in cui viveva lei era in quello che restava del Nord Italia, Brooke prima aveva parlato di essere inglese, e ora quel ragazzo biondo le stava dicendo che era svedese. Non aveva granché senso: dove diavolo erano?
-Io invece sono italiana.- si risolse alla fine.
-Davvero? E l’Italia com’è?-
-Soltanto un mucchio di vecchie macerie abitato da un branco di bastardi bigotti.- sospirò –La Svezia? Calda, immagino.-
Valentyn ridacchiò.
-Non proprio, no.- borbottò –Ho rischiato di morire assiderato prima di finire qui.-
-Mi spiace.-
-Na’, nulla di cui dispiacersi: ordinaria amministrazione.-
Dopo quello, rimasero in silenzio per un po’. Luna pensò che Valentyn sembrava simpatico.
-Come mai qui?- gli chiese dopo un minuto o due.
-Devo fare un esame di non so nemmeno cosa…- rispose Valentyn –Tu? Discorso di orientamento?-
-Sospetto di sì. La mia compagna di stanza ha menzionato un… direttore?-
-Sì, certo. Vedrai che tipo: è tutto un programma quello là.-
Fantastico…
-Ma giusto in caso ti venisse il dubbio: tranquilla, non morde… di solito.-
Luna si ritrovò a dover trattenere una risatina: quello era il genere di battuta che avrebbe fatto suo fratello… se solo fosse stato ancora vivo.
-Buono a sapersi…- disse con una mano sulla bocca per non ridere.
-Però ho paura che finirai anche tu nell’Esercito.-
Per un attimo lo fissò come se gli fosse spuntata un’altra testa.
-Finirò nel cosa?- chiese.
-Nell’Esercito… sai, la mimetica e tutto…-
-Credevo che qui dentro la portassero tutti…-
-No, non la portano tutti…- chiarì Valentyn –In che Dormitorio sei?-
-Be’, sono uscita da un casermone con sopra un 2.-
-Oh… peccato, io sono nel…-
Prima che potesse dire il numero del suo dormitorio, però, la porta blu si aprì. Scricchiolò di brutto, e dallo spiraglio che si era creato spuntò una testa ricoperta di capelli bianchi.
-Luna de Angelis?- chiamò.
Luna si alzò dalla panca e chinò appena la testa.
-Vieni pure dentro, carissima.-
La porta si spalancò del tutto, lasciando intravvedere un breve corridoio con le pareti color panna e un paio di quadri appesi. Luna lanciò un ultimo sguardo a Valentyn e al suo sorriso incoraggiante, prima di entrare.

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