Capitolo 3

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È successa una cosa.
Brutta, ma bella.
Strana ma così familiare.
Stavo cantando, ma poi ho sbagliato delle cose davanti ai miei genitori, davanti a mio padre.
Sono scoppiata a piangere per la vergogna, per lo schifo che provo verso di me.
Ho cominciato a urlare e piangere, sgolarmi e singhiozzare, mentre il vuoto nel petto mi logorava, mentre il respiro non reggeva la velocità con cui uscivano le parole.
Sono scappata piangendo, urlando.
Correndo veloce come mai ero riuscita a fare, ero piena di adrenalina, il corpo pieno di scariche di energia, e correvo, correvo veloce lontano dai problemi, dagli sguardi dei miei genitori, dal dolore e dalle lacrime.
Uscendo dal cancello del residence vedevo le macchine sfrecciare davanti ad i miei occhi, e in quel momento non so descrivere quanto mi sentissi viva, morta.
Invincibile ma devastata.
Sono rimasta seduta su un albero tagliato per una decina di minuti, lì a fissare le macchine passarmi davanti, ma il batticuore, il vuoto, il respiro affannoso c'erano. Non se ne erano andati. Il mio problema sono io, non gli altri, non casa.
Io.
Vedere quelle macchine mi ha fatta sentire libera, come se potessi fare della mia vita, o della mia morte, ciò che voglio.
Come se per una volta potessi essere io a decidere per me.
Vivere o morire.
Volevo mollare tutto per una volta, per una vita.
La voglia di andare dritta davanti a me e trovarmi in mezzo alla strada, in mezzo alle macchine, in mezzo alla morte.
Le persone vedono solo il male, non vedono quel poco di bene che c'è in me, e io mi fossi buttata lì, a terra, sotto una macchina, avrebbero visto solo l'unica, e dico L'unica volta in cui ho mollato, in cui mi sono lasciata andare e ho lasciato che il mio dolore prendesse il sopravvento.
Ma così non è stato, ed io ne sono fiera.
Tornata a casa, costretta da mio padre, ho iniziato a piangere e a vomitare.
Troppe emozioni tutte insieme, troppo caos, troppi paradossi e incomprensioni fra me e me.

Montagne russe, una vita borderline.Where stories live. Discover now