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Sono parecchi minuti ormai che sono seduta al lungo tavolo della sala da pranzo, fissando il mio piatto quasi intatto senza un reale appetito. Evan invece, seduto al capotavola opposto, continua a mangiare con calma, lasciandomi ogni tanto qualche occhiata. Improvvisamente lascia ricadere le posate l'argento sul piatto, causando il loro fastidioso tintinnio.

- Eleanor, mangia - sbuffa spazientito.

Non rispondo. La nausea per le azioni di Evan non mi permette di farlo.

- Mi ritirerei nelle vostre stanze, con permesso - dico soltanto, deglutendo il gruppo in gola ed apprestandomi ad alzarmi, ma Evan scatta in piedi, e con passo felino mi raggiunge, ponendosi proprio davanti a me.

- No, allora saliremo insieme - dice,  offrendomi il braccio. Lo ignoro, distogliendo lo sguardo, e lui preme la mano aperta sulla mia schiena, invitandomi a camminare.
Arriviamo in camera in un silenzio tombale, spezzato solo dal rumore della porta che si chiude.
Mi avvicino al letto, iniziando a slacciarmi il corsetto, tenendo lo sguardo fisso a terra. Non oso alzarlo, dal momento che Evan si trova dalla parte opposta del letto e si sta sfilando la camicia, sistemandola poi su una poltrona.
Sento i suoi passi avvicinarsi, poi le sue mani sono sui miei fianchi e la sua voce mi arriva da dietro.

- Ti aiuto - mormora, sfilandomi l'abito senza aspettare il mio permesso. Rossa di vergogna, mi stringo le braccia al petto, nonostante sia rimasta in sottoveste.

- Domani sarò di nuovo via per delle...faccende - annuncia, dirigendosi verso il suo lato del letto. Si siede, poi mi invita a raggiungerlo con un'occhiata.
Con un calcio, si libera degli stivali e mi afferra una mano per tirarmi più vicina a sé.

- È cosa sconveniente chiedere dove andrete e di che tipo di faccende si tratta?

Solleva un angolo della bocca.

- A Londra - risponde soltanto, facendomi intendere chiaramente di non voler rivelare altro.

- Evan, devo sapere come sta
Jamie - dico dopo un po', voltandomi a guardarlo. I suoi occhi verdi vengono attraversati da un'ombra.

- Non sprecare il tuo tempo in inutili preoccupazioni - ribatte, allungando una mano per afferrarmi il mento.

- Vi supplico, non nuocetegli in alcun modo...

- Sì, sì. Lo hai già detto moltissime volte, Eleanor, ma non vorrei rischiare di darti la mia parola. Il ragazzo dipende da te, da me, dal fato e dal corso degli eventi - mi interrompe, alzando gli occhi al cielo.

- Non...

- Basta, Eleanor - esclama, ed improvvisamente i suoi occhi si tingono di rosso. Mi afferra per i polsi e mi porta sopra di lui, sporgendosi per affondare i canini nel mio collo e nutrirsi. Provo a divincolarmi, lamentandomi per il fastidioso dolore che inizio a provare.

- Mi fate male...- dico, ma non vengo ascoltata.

- Evan, fermatevi, vi prego.

Per tutta risposta, mi preme una mano sulla bocca e continua a bere indisturbato, con veemenza.
Lancio un grido soffocato, poi un altro.

- Devi calmarti. Se ti opponi fa più male. Se non lo desideri, sarà terribile - sussurra infine, sistemandomi i capelli dietro le orecchie.
Quando poi mi libera, permettendomi di allontanarmi da lui, torno nel mio lato del letto, ponendo quanta più distanza possibile fra noi.
Lo guardo sconvolta, portandomi una mano tremante al collo, ancora insanguinato.

- Mi avete aggredita - asserisco,
- vi siete comportato allo stesso modo. Avevate intenzione di farmi del male, così come è stato per tutte le altre.

- Ne avevo bisogno. Sono giorni che non mi nutro di te, nonostante il tuo sangue sia un richiamo irresistibile. Sei sconvolta, non ti sei rilassata ed è per questo che hai provato più dolore del solito, ma non era mia intenzione farti del male, lo sai perfettamente - replica, pulendosi il viso.

- E adesso prova a riposare - dice, voltandosi dalla parte opposta e soffiando per spegnere la candela posta accanto al letto.

- Perché non sei ancora fuggita? Ne potevi avere la possibilità, oggi. Evan non era in casa.

Mi volto verso la donna in rosso.

- Non...non ero in grado di pensare lucidamente. E non potrei mai fuggire...

- Invece sì, - mi interrompe con decisione, - domattina Evan sarà di nuovo a Londra. Questa è la tua occasione. Perché esiti? Hai visto tu stessa come è in realtà Evan. Lo hai provato sulla tua pelle. Ti ha appena aggredita! Non ti basta? Vuoi provare altra sofferenza? Se aspetterai, lo vedrai con i tuoi occhi. Guarda!

Una folata di vento mi investe e di colpo mi trovo davanti Jamie, legato ad una sedia nella stanza dove è rinchiuso. Evan emerge dall'oscurità, avvicinandosi a lui lentamente. Gli gira intorno, poi si ferma alle sue spalle.

- Sciocco ragazzino. Il tuo coraggio è davvero ammirabile, ma ti rende incredibilmente stolto. Mi dispiace, ma per ciò che hai fatto pagherai con la tua stessa vita! - esclama, tirando fuori un coltello dalla tasca dei pantaloni e tagliandogli la gola di netto. Urlo, ma la scena svanisce immediatamente.

- Jamie, no! - grido levandomi a sedere.

Evan si volta di scatto verso di me, emettendo un ringhio basso. Si alza dalla poltrona su cui era seduto e si china per guardarmi negli occhi.

- Era un incubo. Lui sta bene - sibila, poi va verso la porta.

- Sto andando a Londra. Se hai bisogno di qualsiasi cosa, chiama Ermine. Intesi?

Annuisco, poi distolgo lo sguardo, sollevata perché Jamie è ancora in vita. Sento Evan indugiare, poi apre la porta e se la richiude alle spalle.

- Tu pensi che era solo un sogno, ma non è così. Questo è ciò che accadrà se tu rimarrai qui.

Una voce femminile proviene dall'oscurità della stanza. Mi volto di colpo.

- Chi siete? - domando allarmata, mentre il pensiero di chiamare Evan mi attraversa la mente.

- Sono sempre io, Eleanor. E non puoi chiamare Evan, non ti sentirà: stai sognando. Ti sei addormentata dopo che lui se ne è andato. Quando ti sveglierai, vai nel labirinto. Devi prendere una decisione.

Detto ciò, svanisce, ed io precipito nel buio.

Bleeding RosesWhere stories live. Discover now