Sherlock si sistemò il cappotto con un paio di gesti decisi, infine guardò Emily con superiorità «Però paghi tu.»

Lei sorrise, acconsentendo con il capo e avviandosi lungo le scale seguita dall'uomo.

La tavola calda sotto il 221B era piuttosto piena, come spesso capitava durante l'ora di punta. I due coinquilini entrarono, prendendo posto in fila per poter effettuare l'ordine. Mentre aspettava il suo turno Emily lanciava di tanto in tanto brevi sguardi di sottecchi a Sherlock, tentando di interpretarlo. Era serio, imperscrutabile; i suoi occhi chiari scrutavano severi e impassibili le persone nel locale, mentre la sua mente lavorava come sempre a gran velocità, elaborando più volte tutto ciò che captava. La ragazza non avrebbe potuto sapere cosa c'era nella testa del detective in quel preciso momento, né che ciò che lo circondava lo stava, in realtà, coinvolgendo molto più di quanto dava a vedere.

Sherlock era ancora perfettamente ricettivo quando lo speaker radiofonico della stazione che tenevano sempre accesa come sottofondo nel locale annunciò il titolo della canzone che stava per lanciare. Fra il chiacchiericcio continuo e il disinteresse generale dei presenti probabilmente nessun altro oltre al detective sentì le note incalzanti di Stayin' Alive levarsi. Sentendo quella canzone Sherlock si irrigidì ancor più di quanto già non fosse, affondando le mani nelle tasche del cappotto e tendendo i muscoli come in attesa di un imminente attacco a sorpresa.

Era irrequieto; non c'era solo la canzone a rimescolargli i pensieri nella mente in quel momento, ma anche altro. Alla sua destra, inconsapevoli di quello che stavano scatenando nelle profondità di Sherlock Holmes, due giovani ragazzi, la divisa della tavola calda indosso, erano chini su un grosso borsone nero, incerti.

«Pensi che dovremmo chiamare la polizia?» chiese uno dei due, probabilmente da poco assunto, notò istintivamente Sherlock guardando il suo atteggiamento.

«No, non penso. Forse qualcuno l'ha semplicemente dimenticata. Proviamo ad aprirla» replicò l'altro, chiaramente più affascinante che intelligente.

Mentre la canzone continuava a risuonare silenziosa ai più, ma non al detective, i due aprirono titubanti il borsone, lanciando uno sguardo preoccupato al suo interno. Subito dopo, uno di loro ne estrasse una bomboletta di vernice spray.

«Non capisco,» lo sentì dire Sherlock, «è piena di bombolette gialle.»

A quelle parole l'uomo si voltò verso di loro, ma venne subito ricondotto alla realtà da Emily, che posò una mano sul suo braccio per ottenere la sua attenzione.

Era arrivato il loro turno. Dietro il bancone un giovane un po' allampanato era in attesa, sorridente.

«Tu cosa prendi?» gli chiese lei.

Teneva gli occhi fissi sul menù, senza guardare in volto il proprio coinquilino. Se invece lo avesse fatto, con tutta probabilità, si sarebbe accorta di quanto Sherlock fosse teso in quel momento. Quel posto gli stava andando stretto, lo rendeva nervoso e stava portando la sua mente al limite.

Guardò Emily, che non rispose al suo sguardo, infine puntò gli occhi sul ragazzo di servizio, facendoli scorrere rapidamente sul volto, la divisa, le mani, guardando infine il cartellino con il suo nome: James.

Prima ancora che il collegamento potesse scattare nella testa dell'uomo, la porta d'ingresso nel locale si aprì; non sapeva chi l'aveva varcata, ma lo sentì bene mentre, chiaramente rivolgendosi a qualcun altro, esclamò: «Ti sono mancato?»

Quella fu la molla che fece scattare irrimediabilmente Sherlock. Sentì ogni muscolo del proprio corpo, anche il più infinitesimale, irrigidirsi per la tensione. Serrò la mascella, ispirando forte l'aria dal naso, dopodiché, con voce ferma e severa, in grado di camuffare il suo stato d'animo attuale, sentenziò: «Dobbiamo andarcene.»

The young redheadOù les histoires vivent. Découvrez maintenant