Tornò in soggiorno dopo aver messo sterline a sufficienza nel proprio portafoglio e quando entrò nella stanza trovò Sherlock nella stessa posizione in cui era fermo da ore: sdraiato sul divano, gli occhi celesti fissi al soffitto, le mani congiunte adagiate alle labbra. Proprio per via della sua alta figura distesa Emily si era vista costretta a studiare in cucina, in mezzo al caos, anziché poter stare accoccolata comodamente sul divano come faceva ogni giorno.

Rimase a guardare il detective a lungo, in silenzio, mentre i suoni di Londra entravano ovattati dalle finestre, unendosi al rumore di stoviglie nell'appartamento di Mrs. Hudson. Rimuginò sul da farsi per altri secondi, finché non si rianimò, decidendo di invitare Sherlock a mangiare qualcosa insieme a lei. Per quanto lui fosse sociopatico non poteva continuare in quel modo, ignorando lei e ciò che c'era al di fuori di quel soggiorno. Per via del lavoro e della vita genitoriale John non riusciva a passare spesso al 221B ed Emily sentiva che avrebbe fatto bene a tentare di risollevare da sola il morale di Sherlock in qualche modo. Sapeva non sarebbe stato semplice - si trattava pur sempre di un personaggio unico nel suo genere - ma determinazione e cocciutaggine erano sufficientemente radicati nel suo DNA da farla provare ugualmente.

«Sherlock» lo chiamò. Attese una risposta, ma l'uomo pareva non averla sentita.

Emily gli diede tempo per riflettere, andò a infilarsi il cappotto e, dall'attaccapanni, prese anche quello del detective, dopodiché tornò da lui.

«Sherlock che ne diresti di andare a mangiare qualcosa?» tentò nuovamente, alzando anche il tono della voce.

Di nuovo l'uomo non si scompose, continuando a fissare il soffitto anche mentre rispondeva: «Non ho fame» in modo asciutto.

«Oh andiamo. Non tocchi cibo da ieri a pranzo. Devi mangiare qualcosa.»

«Non hai altro di meglio da fare che disturbarmi? Sto pensando» la bacchettò, allontanando le mani dalle labbra e allargandole in un gesto di stizza.

«Non sei nel tuo Palazzo mentale. Ormai capisco quando ci sei» sottolineò di tutta risposta la ragazza, servendosi dello stesso tono ovvio spesso usato da Sherlock.

«Il mio cervello pensa in continuazione.»

«D'accordo. Fatto sta che quando non sei nel tuo Palazzo mentale posso disturbarti.»

A quelle ultime parole il detective si voltò a guardarla, infastidito. Si trovò davanti Emily che gli tendeva il cappotto, mentre lei era già ben fasciata nel suo.

«Scendiamo a prendere un sandwich. Prometto che non ti costringerò a interagire con le persone e che ascolterò ogni tua possibile frecciatina.»

Lui continuò a guardarla senza dire nulla.

«Ti prego, Sherlock. Sono giorni che non facciamo qualcosa insieme.»

«É stato John a dirti di farlo, vero? A dirti di insistere tanto.»

Di tutta risposta la ragazza scosse la testa. «No. Lui mi ha detto che quando fai così devo mandati al diavolo. Ma prima di farlo voglio almeno provare a vedere se riesco a farti muovere da quel divano.»

A quelle parole il detective aggrottò ulteriormente la fronte, senza replicare.

I due rimasero a guardarsi ancora, in silenzio. Sherlock analizzò a lungo Emily, facendo ragionare la sua mente come sempre, osservando anche i dettagli più insignificanti, forse sconosciuti perfino a Emily stessa. Alla fine, però, con sorpresa della ragazza l'uomo si alzò dal divano, sbuffando sonoramente nel compiere quel gesto. Raggiunse Emily e afferrò il cappotto che continuava a tendergli.

A lei parve ancora contrariato per l'iniziativa che aveva avuto il coraggio di prendere, tuttavia le importò poco, sentendo di aver ottenuto - per quanto insignificante - una nuova vittoria sul detective.

The young redheadWhere stories live. Discover now