18.

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Angolino-pre!
E così, siamo arrivati alla fine. Prima di lasciarvi alla lettura dell'ultimo capitolo vorrei ringraziarvi tutti, per aver amato con me questa piccola creaturina, per averle voluto bene, per i commenti che mi avete lasciato e le stelline che le avete regalato. Grazie perché apprezzando lei avete regalato un po' di affetto a un personaggio (Stiles) che è parte di me e al quale io vorrò sempre un bene dell'anima. E che ha tanto bisogno di amore 💚
Grazie per avermi accompagnata fino qui, e spero che avrete la follia di seguirmi anche nelle altre mie storie.
A presto, spero, e buona lettura!
Ceciud 💚

Stiles aprì gli occhi e ciò che vide prima di richiuderli per il bruciore fu il soffitto del bagno. Il suo bagno. Cercò di capire come diavolo ci era finito, ma il cervello non sembrava essere in vena di collaborare, anzi. La seconda cosa di cui si rese conto fu il mal di testa lancinante e il senso di nausea che l’avevano improvvisamente  assalito.

Non c’erano molte ipotesi che potesse fare, con quegli indizi e nello stato confusionale in cui si trovava al momento: o si era preso una bella sbronza, o era l’uomo più incinto della storia. Optò per la prima ipotesi – perché la seconda fosse vera avrebbe dovuto almeno perdere la verginità e l’unica cosa a dolere sembrava la sua testa – finché non sentì un mugugno provenire dalla sua destra. Si voltò e incontrò il viso di Derek.

 Sbronza con Derek Hale? Improbabile, se non impossibile. Se non altro, la seconda ipotesi era appena diventata pura fantascienza: anche ridotto male com’era dubitava fortemente che Derek-sbrano-a-vista-chi-attenta-alla-virtù-di-Malia avrebbe mai attentato alla sua. Quel pensiero improvviso, per quanto fugace nella sua mente annebbiata, fu accompagnato da una fitta di dolore che Stiles non comprese appieno.

Fece per alzarsi ma l’altro lo afferrò e lo trattenne sul pavimento appoggiando un braccio molto, molto pesante sul suo fianco. Stiles si immobilizzò all’istante.

«Ehi, ma cosa -»

«Non parlare. Mi scoppia la testa.»

Stiles si zittì e si limitò ad arrossire, schiacciato contro il petto dell’altro.

A mano a mano i ricordi cominciarono a riaffiorare: aveva provato nuovamente la mantica, ma era stato tutto diverso, tutto reale. Aveva rivissuto il dolore del passato, della perdita della madre, il rimpianto di non averla avuta negli anni più importanti della sua vita, così come aveva avuto un assaggio del futuro. Un futuro molto, molto dolorosamente improbabile. L’Agana lo aveva messo davanti a una scelta: recuperare ciò di cui sentiva la mancanza, riempiendo quel vuoto del suo cuore con quella porzione di amore di cui ogni bambino necessita e che a lui era stata negata, o vivere il futuro nel dolore di un’incertezza che conosceva troppo bene.

Aveva scelto sua madre.

Eppure più si allontanava da casa, più sentiva che qualcosa non andava, che qualcosa stonava in quel piano. L’Agana gli aveva detto di non voltarsi, sussurrandogli rassicurazioni all’orecchio. A malapena si era girato, quando aveva sentito Derek. Dopotutto, perché avrebbe dovuto? Si stava lasciando tutto alle spalle, sarebbe stato bene.

Ma quando Derek aveva cominciato a punzecchiarlo, a provocarlo, a cercare di farlo reagire in quel modo tutto suo, con ringhi, musi e verità sbattute in faccia… all’improvviso tutto era sembrato giusto e sbagliato allo stesso tempo. Stiles non era certo che avrebbe fatto la scelta giusta, se Derek non l’avesse afferrato e non l’avesse fatta per lui.

«Erano le tue paure» si sentì dire.

«Cosa?» sussurrò.

«Quello che stavi vivendo,» spiegò Derek. «Non c’era niente di soprannaturale. Ti sei solo buttato a capofitto in cose che non dovresti neanche toccare. Quando mi sono svegliato eri con la testa in quel vaso. Devi avermi trascinato con te.»

Stiles ignorò il sottointeso di quella frase – se Derek non fosse arrivato in tempo… - e si concentrò sul resto. Rabbrividì. «E come avrei fatto?» Poteva accettare che si trattasse delle sue paure, ne era consapevole anche se non voleva ammetterlo, ma che non fosse nulla di soprannaturale?

«L’acqua è sacra, in determinate circostanze. Dipende da che uso ne fai. È molto potente» fu la risposta di Derek.

Stiles si fece un appunto mentale per ricordarsi di chiedergli cosa ne sapesse lui, e come.

«Io non credo che sia così.»

Derek si alzò su un gomito e lo fissò dritto negli occhi come non aveva mai fatto prima. Stiles arrossì. Erano sul pavimento del suo bagno, dopo che avevano vissuto il cielo sapeva cosa, e Derek lo guardava in quel modo. Per la prima volta si sentì esposto ai suoi occhi, più vulnerabile che mai.

«Allora adesso spiegamelo. Cos’è che ti fa tanta paura del futuro, così tanta da decidere di scegliere il passato?»

Stiles arrossì e scivolò indietro nel tentativo di alzarsi e fuggire dalla stanza. Se quello che diceva Derek era vero, significava che il suo subconscio gli aveva mostrato che non era stato in grado di superare la morte di sua madre, e questo avrebbe influenzato tutte le sue scelte future. Il che, a quanto pareva, comprendeva quella di rinunciare a un futuro evidentemente felice, ma incerto. E quell’incertezza era alimentata dalle sue stesse paure.

«Allora te lo spiego io,» riprese Derek. Stiles lo fissò, muto, trattenendo il fiato per l’attesa. «Hai paura di scegliere quello che potrebbe farti felice, perché ti porti ancora dentro un dolore talmente grande da farti dubitare di te stesso, del fatto che ti meriti qualcosa di più

Stiles non respirava. Non osava. «Ma la vita ci può riservare grandi sorprese, Stilinski,» continuò Derek. «Io l’ho appena imparato. Permettimi di fartelo vedere.»

Derek tese una mano, e sul viso aveva un sorriso così bello, così luminoso, come Stiles non l’aveva mai visto. Questa volta, Stiles la prese.

💧

Derek aprì il pensile sopra ai fornelli, ne estrasse una scatoletta di tonno e lo richiuse, il tutto con deliberata lentezza. Stiles era seduto al tavolo dietro di lui, Derek sentiva il suo piede picchiettare contro la sedia allo stesso modo in cui sentiva i suoi occhi puntati su di sé. Trattenne un sorriso e si spostò sul lavandino per aprire la scatoletta.

Non avevano ancora finito di parlare di ciò che era successo, era una discussione che avrebbe richiesto giorni e giorni di chiarimenti, ma avevano pensato entrambi che una pausa da tutte quelle emozioni fosse doverosamente d’obbligo, perciò Derek si era offerto di preparare uno spuntino per entrambi.

Derek ripensò alla scena a cui aveva assistito solo poche ore prima: per un attimo, quando aveva guardato dritto in faccia uno Stiles troppo simile al Nogitsune, gli era parso di intravedere una figura spettrale subito alle sue spalle, ed era stato sicuro di perdere Stiles. Non gli aveva ancora chiesto che aspetto avesse avuto quella creatura ai suoi occhi, era però certo che non fosse nulla di simile a ciò che aveva visto lui.

Derek aprì e sgocciolò il tonno. Qualsiasi cosa avessero visto non contava molto, si era trattato semplicemente di una serie di visioni. Sua madre gli aveva spiegato, anni addietro, di quanto tutto fosse potente, attorno al Nemeton, soprattutto l’acqua: l’acqua, che assorbiva ricordi, emozioni, poteri. E scorrendo li rilasciava. Il dolore che Stiles aveva coltivato per anni era stato sia carnefice che salvatore, l’aveva reso vittima solo per dargli la spinta per guarire. Per una volta non c’era stata di mezzo chissà quale creatura demoniaca: la mente di Stiles era stata il suo più temibile nemico.

Derek alzò lo sguardo dal lavandino per prendere uno strofinaccio e asciugarsi le mani appena lavate e si bloccò con lo sguardo fisso sulla finestra. Fu solo un istante: dall’altra parte della strada una donna vecchia e cadaverica, la stessa che aveva visto dietro a Stiles, guardava verso la casa. Bastò un battito di ciglia.

Quando Derek focalizzò di nuovo lo sguardo, nello stesso punto non c’era nessuno. 

Sicuramente, l’aveva solo immaginato.

Fine

 

O forse no.

AcquaWhere stories live. Discover now