2.

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Siles scattò a sedere, improvvisamente sveglio, con un urlo bloccato in gola e il petto che si sollevava e si abbassava frenetico per il disperato bisogno d'aria.

Per i primi, interminabili minuti non riuscì a fare altro che cercare di respirare, stritolando le lenzuola con le mani come se fosse ancora alla ricerca di una via di fuga. La sensazione di quelle dita non era scomparsa, al suo risveglio, ma era impressa sulla sua pelle come se le  stesse dita fossero ancora avvolte attorno alla sua caviglia. Strette.

Il suo corpo cedette a quel sovraccarico di sensazioni ed emozioni e Stiles si afflosciò sul letto come uno straccio usato. Una piccola parte del suo cervello riuscì a comprendere la realtà delle cose: i polmoni non collaboravano, e nemmeno la sua mente. Non ci si abitua mai a un attacco di panico. Cercò disperatamente di recuperare un po' di lucidità, ripetendosi che si trovava nella sua camera, nel suo letto, niente acqua, niente dita che lo tiravano verso il buio. Ma non funzionò. Raggomitolarsi in posizione fetale e abbandonarsi a quel terrore in attesa che passasse fu come distruggere sé stesso, lui che gli attacchi li aveva sempre affrontati.

Spalancò la bocca e annaspò, stringendosi un pugno al petto. Sarebbe passato, passava sempre. Anche quell'attacco sarebbe passato e Stiles non avrebbe lasciato solo suo padre. O Scott. O quell'idiota di Derek Hale.

Per quelle che sembrarono delle ore, Stiles si impegnò a cercare di respirare. Fu uno sforzo titanico non lasciare che quel terrore lo distraesse da un compito tanto semplice, e quando finalmente il respiro si calmò tutto ciò che il ragazzo riuscì a fare fu liberare un sospiro tremante.

Non si accorse delle membra congelate, dei polmoni in fiamme, dei muscoli che dolevano come se fossero rimasti per giorni sotto sforzo. Né si accorse dei singhiozzi che scuotevano il suo corpo esausto e delle lacrime che gli rigavano il volto. Crollò addormentato in un sonno senza sogni, infreddolito e stanco, e perfettamente inconsapevole dell'acqua che gli inzuppava i pantaloncini e il letto.

 
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«Non dirlo.»

Stavano camminando verso gli spogliatoi a passo di marcia quando Stiles si fermò e puntò un dito contro il petto di Scott in quella che sperava vivamente fosse una minaccia vera e propria, e non soltanto un pallido tentativo.

«Non osare dirlo.»

«Ultimamente sei strano.»

Stiles gli ringhiò contro e cambiò immediatamente direzione, prendendo a marciare dalla parte opposta.

«Stiles, fermati!»

Tutto il suo impegno, anni di allenamenti, muscoli rinforzati e pronti a partecipare a maratone, triathlon e corse nudenei boschi durante le notti di luna piena non servirono a nulla. Chi voleva prendere in giro? In due secondi netti Scott lo affiancò di nuovo come se niente fosse, con quella sua aria preoccupata e al momento decisamente poco gradita.

Non che non se lo apprezzasse, davvero. Stiles aveva sempre saputo dare un valore alla preoccupazione che gli altri provavano per lui in quanto dimostrazione del bene che gli volevano, ma a volte qualcunoavrebbe dovuto imparare a farsi gli affari suoi. O a capire quando lasciarlo in pace. Non che accadesse spesso, ma quella era una di quelle volte.

Una mano gli si piantò sul petto e interruppe la sua corsa, non solo fisica ma anche mentale, così che Stiles finì quasi col sedere per terra.

«Dannazione Scott!» imprecò barcollando un passo indietro.

Scott lo fissava con quegli occhi così profondi da scavargli dentro, e Stiles si sentì a disagio, come se un attimo di troppo di quello sguardo su di sé potesse riportare a galla ogni suo maledettissimo timore. Usò ogni dote che aveva per incrociare le braccia e assumere quella che sperava fosse la migliore delle espressioni indifferenti.

AcquaTempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang