Le sue parole sono quasi sussurrate, come se temesse di farmi male mentre le dice. Io non riesco a rispondergli, riesco soltanto a continuare a guardarlo e non so neanche in che modo, ma inizio a sentire qualcosa di estraneo mentre manteniamo entrambi il contatto, qualcosa che ho sempre combattuto per riuscire a tenere fuori.

«Io ho iniziato per caso. Da quell'ordine volevo scappare» continua poi, rompendo quel sottile filo rosso e aspirando ancora una volta, lasciando che la cenere cada al di sotto di noi.

Io sorrido e lascio cadere la testa in avanti, perché se c'è qualcosa che riesco a fare bene, è scappare. Dagli altri, dalle situazioni, da me. Scappo e basta, senza sapere dove andare.

«E ci sei riuscito?» gli chiedo e lui esita, fa un altro tiro e poi espira, una nuvola di fumo gli copre il volto.

«Credevo di sì, ma probabilmente mi sbagliavo» un sorriso debole, quasi ironico accompagna la sua risposta e per stasera capisco che questo è il limite da non oltrepassare, il confine di cui abbiamo bisogno per restare in equilibrio.

Tengo un libro aperto dietro il bancone al locale perché le persone oggi sembrano essere meno del solito. Fuori c'è una bella giornata, il cielo è terso e la luce filtra dalle grandi finestre. Ogni tanto controllo il cellulare, perché aspetto una risposta da Harry e ogni volta ormai sembra essere la prima che ricevo. Mi sento quasi come una ragazzina, come quando avevo sedici anni e credevo ancora in tante cose. Non so come riesca a farmi sentire in questo modo, e non vorrei che accadesse, perché così mi sento ancora più esposta e vulnerabile di quanto già non sia.

Poi il cellulare vibra e lo schermo si illumina, ma il nome che leggo non è quello di Harry e il messaggio non dice che passerà a prendermi stasera. È un numero che avrei riconosciuto comunque, un numero che ho composto tante volte, anche se il nome è ancora salvo e è di nuovo lì, a lampeggiare davanti ai miei occhi.

Lo prendo tra le mani lentamente, come se sapessi già che questa è la risposta e la causa alla sensazione che ha continuato a perseguitarmi per giorni.

Apro il messaggio e Nina sembra essere sempre la stessa, decisa e diretta, niente giri di parole. Possiamo vederci? Ho bisogno di parlarti.

Rileggo quelle parole forse due, tre volte, o forse di più, prima di risponderle. Non le chiedo il perché, né di cosa voglia parlarmi. Lei però mi chiede di vederci subito, che non può più aspettare.

Allora passo al locale, replica quando io le dico che posso vederla alla fine del turno, prima di tornare a casa e avere del tempo per cambiarmi. Le domando se ha bisogno dell'indirizzo ma lei mi risponde che lo conosce già, ed è così che si chiude la nostra conversazione. È così che io aspetto, cercando di distrarmi tra un cliente e l'altro e chiudendo il libro, tenendo la mente occupata con qualcosa che non riguardi lei.

«Ti senti bene?» mi domanda George, e sono le prime parole che mi rivolge oggi, dopo il saluto veloce di stamattina quando entrambi siamo arrivati.

Io scuoto la testa e mi porto una mano sulla tempia, quasi a voler tentare di fermare i pensieri. «Sto bene» rispondo a George e ormai sembra essere diventato un intercalare, qualcosa di automatico a cui non riesco più a credere neanche io.

«Servo io, tu resta dietro al bancone» continua George, e credo che questa sia la conversazione più lunga che abbiamo mai avuto. Io sento di non avere la forza per obiettare, come se Nina mi avesse già consumata ancora prima di starmi davanti. Così annuisco e lo ringrazio sotto voce, lui fa lo stesso e si volta, andando verso uno dei tavoli che avrei dovuto servire io.

𝐔𝐓𝐎𝐏𝐈𝐀 [𝐇𝐚𝐫𝐫𝐲 𝐒𝐭𝐲𝐥𝐞𝐬]Where stories live. Discover now