otto

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The light behind your eyes, My Chemical Romance

George è andato via ed è troppo tardi perché qualcun altro entri da quella porta e si sieda a questo bancone. Alzo lo sguardo e lui però è ancora lì, dall'altra parte con il suo bicchiere ancora mezzo pieno al suo fianco e una biro tra le mani che scivola velocemente e con sicurezza sulle pagine di quel taccuino.
Non so cosa faccia, non so cosa scriva o cosa costruisca lì dentro, se ci siano delle linee o delle parole a riempire quelle pagine. Io però non ho bisogno di saperlo adesso, e non ho neanche bisogno che lui sia qui ora.

«Devo chiudere» dico con diffidenza, con un tono di voce che vorrei non mi appartenesse ma che fa parte di me da troppo anche se ci provo a cambiarlo.

Lui non si ferma quando mi risponde. «Aspetto te.»

E lo dice come se fosse la cosa più scontata da dire in una circostanza del genere. Peccato che non lo sia.
Mi slego il grembiule scuro e lo sfilo dalla vita, faccio lo stesso con l'elastico tra i miei capelli e subito me ne pento, ma ho davvero bisogno di fare questa cosa da sola. So che lui mi ha sentita, so che ha percepito ogni mio movimento e me ne rendo conto quando sorride debolmente e i suoi occhi sono su di me.

«Tu non te ne stai andando.»

«E tu devi andartene» gli ripeto senza troppi giri di parole, con lo stesso tono. Non so a che gioco stia giocando, ma non è serata.

«E tu hai bisogno di questo» dice spingendo con le dita verso di me il suo bicchiere.

Io mi volto e sospiro, prima di tornare a guardare lui.
«Tu non sai proprio niente di ciò di cui ho bisogno.» Non lo so nemmeno io.

Ma lui continua a non fare niente. Continua a stare seduto a quel bancone con il taccuino aperto sotto le mani. Mi avvicino ancora e non so quanto potrò reggere.

«Senti, io non so cosa tu voglia. Ma devo davvero chiudere il locale adesso.»

È a quel punto che mi guarda senza nessun sorriso, con i suoi occhi nei miei che tentano di farmi capire qualcosa che io non sono pronta ad accettare.

«Fammi solo provare a fare una cosa» dice dopo qualche istante, senza smettere di guardarmi.

Questa volta sono io a non dire niente e lui prende il mio silenzio come una possibilità, così velocemente chiude il taccuino e mi sorpassa, facendo il giro del bancone e trovandosi poi dietro di esso.
Sto per chiedergli quali siano le sue intenzioni, ma poi le comprendo quando recupera un bicchiere dalla mensola e inizia a riempirlo dandomi le spalle. Indossa una camicia e le maniche sono debolmente sollevate verso i gomiti.

Si volta con il bicchiere adesso pieno tra le mani e lo poggia sul bancone spingendolo ancora una volta verso di me allo stesso modo in cui l'aveva fatto con il suo, prima di sollevare di nuovo il suo sguardo e guardarmi. Non c'è bisogno che mi dica cosa fare, e io sono troppo stanca per chiedergli una conferma. Allora mi avvicino di più al bancone e mi siedo come le altre volte, poi prendo il bicchiere tra le dita. È freddo al contatto e quasi sorrido quando vedo l'unico cubetto di ghiaccio al suo interno. Lo porto alle labbra e so che mi sta guardando, perché in qualche modo è come se il suo sguardo mi pesasse addosso, come se lo sentissi a prescindere da tutto.

L'alcol che scivola nella mia gola ne brucia le pareti, ma il primo pensiero è già annebbiato. Non lo finisco, lo riporto sul bancone quando è a malapena pieno per metà.

«Perché sei qui?» gli domando non guardandolo, poggiandomi sul legno. Lui ha rifatto il giro del bancone ed è tornato al suo taccuino e al suo bicchiere.

Entrambi sappiamo che la mia domanda non è casuale, che ha un significato ed è inutile nasconderlo. Sappiamo che qui ci viene soltanto il venerdì, poi basta. Non l'ho mai visto durante gli altri giorni, neanche una volta.

«Ti ho vista oggi» risponde poi, sempre con quella naturalezza che contrasta così tanto con i miei toni e il modo in cui gli parlo io. Il modo in cui parlo a tutti.

Prima che possa chiedergli dove, è lui a dirmelo e a continuare. «Fuori l'università. Sembrava che ti ostentassi a portare un peso addosso anche se sapevi che per te era troppo.»

Io scuoto la testa e quasi sorrido per le sue parole. Parole che sono soltanto quelle e nient'altro, che sono vuote perché noi non ci conosciamo neanche.

«Vattene» mormoro soltanto, voltandomi di nuovo e prendendo il bicchiere tra le mani.

Lui non sembra capire. O forse non vuole farlo, perché resta ancora lì, fermo e con quel taccuino rilegato in una mano.

«Mia» dice, ed è la prima volta che pronuncia il mio nome. Non ero sicura neanche lo sapesse.

«Non mi conosci, non sai niente di me» continuo, questa volta voltandomi ma per guardarlo. Questo sembra capirlo, perché recupera la sua giacca e si avvia verso l'uscita, ma prima di lasciare il locale mi guarda un'ultima volta e mi trova, perché io non ho più spostato lo sguardo da lui.

«Sembrava avessi bisogno di qualcosa di più del solito» dice ed esce, lasciandomi da sola con i suoi bicchieri. Lasciandomi da sola, esattamente come volevo facesse. Lasciandomi sola, esattamente nel modo in cui mi sento ogni singolo giorno.

Quando arrivo e lancio le chiavi nel posacenere mi rendo conto di essermi dimenticata di che ore siano. La casa è buia e le pareti che mi si alzano intorno le conosco per abitudine, e ci cammino nel mezzo prima di svoltare e chiudermi la porta della mia stanza alle spalle. Non sono ubriaca, non lo sono nemmeno il minimo che vorrei, perché dopo che quel ragazzo è uscito dal locale non ho neanche finito il mio bicchiere. Sono semplicemente rimasta lì a fissare il vuoto, un punto indefinito che non limitava niente.

Mi prendo la testa tra le mani e lascio andare la borsa con i libri sul letto, ancora nel buio più cupo e scuro che possa mai avvolgermi. Vado verso la finestra e chiudo completamente le tende, mi sfilo il parka e senza neanche togliermi gli anfibi mi lascio andare anch'io sui libri troppo sottolineati dell'università.

Chiudo gli occhi con ancora le mani a coprirmi il volto e sospiro, pensando alle singole e impercettibili cose che sono successe oggi.

Prima mia madre, poi Nina. Poi lui. E non riesco a non pensare a niente che non sia almeno uno di loro. Sono così stanca che non riesco neanche a sentirmici stanca, sono arrivata al punto in cui dormire è diventata soltanto un'altra abitudine. Una cosa che fai perché si deve fare.

Mi chiedo se Nina ci pensi anche lei in questo momento, se il nostro incontro le abbia condizionato la giornata nel modo in cui l'ha fatto con me. Mi chiedo se anche lei abbia così tante domande a cui forse non avrà mai una risposta, se anche lei abbia sentito quello che ho sentito io. Mi chiedo se qualche volta io le sia mancata nel modo in cui lei è mancata a me. Lei a volte mi manca ancora.

Poi mi chiedo se quel ragazzo mi abbia vista soltanto oggi. Se mi abbia vista nel modo in cui vede lui le cose soltanto oggi al di fuori del locale. Se abbia notato quel peso ancora prima di oggi, e se sia accorto che ogni giorno diventa sempre più opprimente. Mi chiedo che cosa l'abbia spinto a venire al locale stasera e cosa l'abbia spinto a restare, e mi chiedo se tornerà. Poi mi chiedo perché. Perché io mi stia chiedendo tutto questo.

E poi c'è un'altra cosa. Stasera neanche mia madre ce l'ha fatta ad aspettarmi sveglia.

𝐔𝐓𝐎𝐏𝐈𝐀 [𝐇𝐚𝐫𝐫𝐲 𝐒𝐭𝐲𝐥𝐞𝐬]On viuen les histories. Descobreix ara