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Cold Water, Major Lazer ft. Justin Bieber

Sono seduta su questo sgabello di legno con la schiena curva e i gomiti poggiati sul bancone consumato. A volte è bello essere da questa parte, ma a volte è più semplice essere dall'altra.

Sto aspettando Darlene, e nel mentre ho già finito il mio primo bicchiere. Quando riusciamo ci fermiamo sempre qui dopo il lavoro, io aspetto lei e poi andiamo via. A volte ne abbiamo bisogno entrambe.

Darlene è istintiva, è irrequieta e sincera ed è così simile a me che a volte ne sono spaventata. Darlene c'è. L'ho conosciuta quando eravamo entrambe su questa stessa strada, in questo stesso locale. Quella sera io trovai questo lavoro. All'inizio non eravamo ciò che siamo ora, io non sono stata capace di esserci quando avrei dovuto. E avrei voluto essere di più per lei, avrei voluto poter fare di più quando ne aveva bisogno, ma ci siamo adesso e ce lo facciamo bastare.

Darlene ha perso tanto ma non lo da a vedere. Lotta, combatte e si rialza, anche se nel mentre ammette le sue debolezze e pensa di lasciarsi sopraffare. Alla fine non lo fa mai però, vince sempre lei. Vince e continua a combattere, nonostante abbia perso più di quanto meriti.

«Allora, a cosa brindiamo?» eccola, con quegli occhi per cui sarei tentata di vedere l'anima al diavolo.

Mi volto verso di lei e sollevo il bicchiere già quasi vuoto tra le mie mani nella sua direzione. «Al non punteggio massimo di Paula e al mio minimo.»

Darlene sorride e si siede al mio fianco, prendendo il bicchiere pieno davanti a sé tra le mani e allungandolo verso il mio facendoli tentennare. «Sempre qui.»

Quello che mi piace di Darlene è che posso contare su di lei in ogni momento. Se la chiamassi anche per una cazzata e la terra si stesse sgretolando sotto i nostri piedi, lei ci sarebbe comunque.

«Ha pianto quando l'ha scoperto?» mi domanda dopo aver svuotato il suo bicchiere e aver chiesto a Matt di riempirlo ancora. Io scuoto la testa. «È passata direttamente al suicidio?»

Quasi rido, per quanto lei sembri seria mentre le parole lasciano la sua bocca. «Una via di mezzo, non l'ho mai vista così indecisa.»

Guardo dentro il mio bicchiere e faccio scorrere le dita sull'orlo, come un'abitudine. «Mi ha anche chiesto come fosse andata a me.»

«Non so se voglio sentire la risposta», mi risponde Darlene chiudendo gli occhi melodrammaticamente.

«Le ho detto che era andata di merda», le dico «e sai, tu potresti dirmi come tutte le volte che i risultati si vedranno dopo, che lei probabilmente non ha una vera vita e che forse non ha nient'altro oltre a questo. Solo che non è così. Ha così tanto che a volte la invidio, anche se non me ne frega un cazzo dei suoi punteggi e di quello che pensa di me.»

Darlene non mi guarda quando mi risponde. «Sei molto meglio di lei, Mia. Lo sai.»

Non è vero, forse lo sa anche lei, ma non glielo dico. Io non sono migliore proprio di nessuno, e non lo sto ammettendo solo per auto commiserazione. È per presa di coscienza.

«Mia, io ho finito.» È Matt a rispondere per me e gliene sono grata. «Chiudi tu?»

Gli rivolgo la mia attenzione e scuoto piano la testa. «No, andiamo anche noi. Grazie, Matt.»

Matt mi sorride soltanto, gli occhi azzurri sono sinceri e luminosi quando annuisce prima di togliersi il grembiule. Vengo qui anche quando non ci lavoro, a volte ci resto dopo il mio turno perché ne ho bisogno e perché non saprei dove altro andare. È come un rifugio, e per adesso sono felice di averlo.

Io e Darlene ci alziamo e salutiamo Matt prima di lasciare il locale già poco illuminato. Darlene si volta verso di me.

«Vuoi venire da me?» mi domanda mentre recupera una sigaretta dal pacchetto e se la porta alle labbra. Darlene non fuma tanto, solo quando ne ha bisogno e quando vuole rilassarsi, come se per un attimo si aggrappasse a quel filtro che si consuma tra le sue labbra.

Io ho iniziato a fumare quando ho dovuto ammettere a me stessa che tutti hanno bisogno di dipendere da qualcosa, e che spesso non si può semplicemente dipendere da se stessi. Quando io non ci riesco dipendo dal fumo, da quella stessa sigaretta che Darlene mi porge.

Scuoto ancora la testa. «Non posso, devo tornare.»

«Tua madre come sta?» replica, non aggiungendo nulla alla mia risposta e non insistendo sulle mie parole. Sa quando deve farlo e quando non ce n'è bisogno, ed è l'unica che riesce a rendersene conto.

«Se la cava», rispondo buttando fuori il fumo dalla bocca. «Domani devi lavorare?»

«Tutto il giorno», dice sconfitta e io le ripasso la sigaretta.

Darlene lavora come cameriera in un ristorante all'angolo, non siamo tanto lontane. Era di suo padre, e anche se adesso è sotto un'altra gestione, lei continua a stare lì e a sfinirsi per portare qualcosa a casa e aiutare sua madre.

«Vuoi un passaggio?» mi domanda, e io accetto la sua offerta perché sono troppo stanca per prendere la metro adesso. Raggiungiamo la sua auto e la musica risuona bassa tra di noi, poche parole ci scambiamo ancora prima che io debba già andare via. Non vorrei mai dover tornare.

«Fammi sapere quando arrivi a casa», dico dopo averla ringraziata e salutata con un rapido abbraccio. Neanche lei ama il contatto fisico, ma a volte ne abbiamo bisogno anche se lo neghiamo. Così cerchiamo di riempire i buchi tra di noi, con mezzi abbracci e la testa sulla spalla dell'altra.

Darlene annuisce e io la guardo mentre si allontana, poi sono ancora soltanto io.
Mi volto, svolto l'angolo e recupero le chiavi dalla borsa, salgo a piedi perché ormai temporeggiare è inutile e stare in ascensore mi opprime, mi sento soffocare e mi fa pensare. Infilo le chiavi nella serratura e apro la porta con movimenti automatici, prima di lanciarle poi sul mobile all'ingresso. Le luci sono accese, la voce di mia madre riecheggia tra le poche mura della casa.

«Sì, mamma», le rispondo, sfilandomi le scarpe e abbassandomi a riprenderle. «Sono io.»

Con gli stessi movimenti automatici recupero qualcosa per dormire e mi richiudo la porta del bagno alle spalle, lontana dai rumori sussurrati e avvolta soltanto dall'eco del mio respiro.

𝐔𝐓𝐎𝐏𝐈𝐀 [𝐇𝐚𝐫𝐫𝐲 𝐒𝐭𝐲𝐥𝐞𝐬]Tahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon