dieci

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The Scientist, Coldplay

Quando siamo seduti a questo tavolo mi chiedo la gente cosa pensi di noi guardandoci. Se ci guarda, cosa pensa. Se vedendoci creda che siamo una perfetta famiglia senza nessuna singola crepa, se creda davvero che i sorrisi siano sinceri e che non nascondano niente dietro. Forse alcuni lo sono, ma questo non basta più. Perché anche dietro ogni sorriso sincero ci sono troppe cicatrici che non verranno mai risanate.

Non ci sarei neanche voluta venire qui stasera, ma avevo promesso che l'avrei fatto e quindi sono qui, con di fianco a me Evan e mia madre, e con mio padre di fronte che tiene le mani incrociate sopra la superficie del tavolo.

Il locale non è grande, e non è la prima volta che ci veniamo. Credo che facendolo loro pensino che per una sera si possa continuare a fingere di tutte le porte che sbattono e di tutte le urla che le pareti di quella casa racchiudono.

Prima ci credevo anch'io, adesso penso che sia soltanto l'ennesima cazzata. Ma è il compleanno di mia madre, e allora va bene così. Per una sera posso continuare a fingere anch'io.

Non dico quasi neanche una parola, mio fratello parla con mio padre e mia madre si aggiunge occasionalmente alla conversazione, ma niente di più. Anche loro hanno imparato a non aspettarsi più niente da me.

«Era buono?» mi domanda mia madre quando finisco quello che c'era nel mio piatto e prendo il bicchiere davanti a me tra le mani, portandolo alle labbra.

Annuisco, poi lo dico anche. «Sì, era buono.»

A volte le cose devi sentirtele dire per riuscire ad aggrappartici. Devono uscire dalla bocca, devono essere pronunciate, non basta una promessa muta, in silenzio e basata sulla fiducia e sugli sguardi di chi è in grado di capirsi. Noi non riusciamo più a capirci, e allora le parole vanno dette. I silenzi ci sono perché non abbiamo niente da dire, perché siamo stanchi di non essere capiti.

Mi appoggio con i gomiti sul tavolo e ravvivo i capelli raccolti nella coda dietro le orecchie, poi mi passo distrattamente una mano sul volto. Quando usciamo dal locale non è tardi, e non fa così freddo come la settimana scorsa. Addosso ho la giacca di pelle e non il parka, ma sto bene, con solo me stessa e una famiglia fatta di parti scollegate a tenermi insieme. Siamo ancora fuori il locale quando mi volto e lo vedo.

È dall'altra parte della strada ma lo riconosco, è come se niente fosse cambiato. Come se il tempo si fosse fermato e come se non fossero passati tre anni dall'ultima volta che l'ho visto.

«Mia» mi richiama Evan, con le mani nelle tasche della sua giacca. Io mi volto un istante verso di lui, poi quando riprende a camminare mi volto di nuovo. Non riesco a non farlo.

Lo so che lui adesso è con lei, lo sapevo anche prima di vedere il suo braccio intorno alle sue spalle, le sue mani tra i capelli biondi di lei, il modo in cui la guarda.
Anche io ci credevo quando lui mi guardava in quel modo. E io non ero innamorata di lui, però amavo quel modo in cui mi guardava. Era come se mi dicesse che ne valessi la pena. Come se me lo promettesse mentre eravamo l'una di fronte all'altro, persi nell'altro.

Io ero persa quando mi ha lasciata. Credevo di non riuscire più a ritrovarmi, e invece l'ho fatto. Ho ritrovato i miei pezzi e mi sono ricomposta da sola, perché non avevo nessuno che lo facesse per me. Non avevo nessuno che lo facesse con me. E mi sono resa conto che io ero solo persa per lui, non ero persa in lui come pensavo.

Ed è nonostante tutto l'ennesima cicatrice a riaprirsi, una di quelle per cui ho faticato di più, una di quelle che non avrei mai voluto risanare, perché convivere con il dolore mi stava bene se non doverlo fare significava dimenticare.

Vedo il suo sorriso da lontano, vedo che è felice di quello che tiene tra le mani. E allora va bene anche questo, va sempre bene perché deve andare.
Non mi prendo più tempo per guardarlo, non mi prendo più tempo per ricordare quella che ero quando lui c'era. Perché se lo faccio, se ricordo, allora la cicatrice da risanare non sarà soltanto una, e non posso permettermi di farlo. Ho imparato a non guardami indietro, grazie a Eve ho imparato a non restare sul fondo, ché restare sul fondo non serve a niente.

Non torno a casa con i miei, mi fermo da Darlene perché non posso tornare a casa adesso. E Darlene adesso è quella che c'è, che mi porta in un locale e che mi chiede perché abbia acconsentito così presto a venire con lei in questo posto. Non ci sono mai stata, ma non m'importa.

«Non mi andava di tornare a casa» le rispondo senza guardarla e con le dita intorno al bicchiere poggiato sul tavolo.

«Non ti va mai» replica e io non dico niente, perché sappiamo entrambe che ha ragione. E allora restiamo entrambe lì senza neanche auto commiserarci, perché non c'è più niente da commiserare per entrambe.

«Vieni, voglio farti conoscere una persona» dice poi, prendendo la mia mano e portandomi con lei. Non tiro via la mano dalla sua, ma poi è lei a lasciarmela quando ci avviciniamo al bancone.

«Lei è Lola» mi dice ancora Darlene quando lo raggiungiamo, indicando la ragazza che allo stesso tempo tende la mano verso di me. Io sollevo la mia e provo a ricambiare il suo sorriso, ma quello che ne esce è soltanto un tentativo fallito miseramente a cui però lei non sembra dare peso.

Lola lavora insieme a Darlene, sostiene che voleva farmela conoscere da tempo, ma non ne ha mai avuto modo.

«Per me è un po' come te con Eve» dice quando Lola si allontana. «Non ci conosciamo da tanto, ma entrambe sappiamo che c'è un motivo se riusciamo a fidarci di qualcuno in questo modo dopo tutto quanto.»

Ascolto le parole di Darlene, e anche se non la interrompo, se nel mentre non le dico nulla, sa che sono consapevole di ogni parola che lascia la sua bocca. Sa che la sto ascoltando davvero anche se non sembra, perché ormai conosce i miei modi, i miei tempi.

«È la tua persona» sussurro alla fine, soltanto quando mi volto verso di lei e ricambio il suo sorriso quando annuisce. Mi sembra un po' più felice quando lo dico, e allora lo sono anch'io.

A/N

Prima di ogni cosa voglio scusarmi per essere stata così assente. È stato un mese pesante in ogni senso e non avevo né la voglia né il tempo per riuscire anche solo a pensare alla scrittura.

So che questo capitolo non è tanto, ma è qualcosa, e spero di riuscire a portare avanti questa storia nel modo in cui merita. Spero anche di non avervi deluse, e ancora grazie per essere sempre qui.

Un abbraccio,
september199six.

𝐔𝐓𝐎𝐏𝐈𝐀 [𝐇𝐚𝐫𝐫𝐲 𝐒𝐭𝐲𝐥𝐞𝐬]Where stories live. Discover now