77 [II Parte] - Terminare

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Sono passati dieci anni da quando sono stata rilasciata, da quando ho ripreso a vivere. È stata una vita messa in pausa il tempo necessario per smettere d'essere pazza, ma poi è passato, poi è passato quasi tutto.
È stato un decennio relativamente tranquillo: le difficoltà che abbiamo dovuto sono state innumerevoli, ma sono stata felice, tremendamente felice.

Poi qualcosa si è rotto in me una seconda volta.

Ho iniziato a tossire sangue, a vomitare l'anima, a non avere più lacrime da piangere, mentre il mio schizofrenico mi teneva con gentilezza il volto sopra ad un lavandino.

Ho sospirato di fronte alle analisi, alle diagnosi dei medici, all'ennesimo infido sgambetto del destino.

Mi sono ammalata, ma, contro ogni aspettativa, contro alla mia sfortuna perpetua, abbiamo scoperto che guarire è possibile.
Mi hanno sottoposta ad una terapia complessa, lunga, difficoltosa e spossante, ma che col tempo mi darà la possibilità, in qualche modo, di liberarmi dal sangue, dall'aria che manca sempre troppo spesso e dai continui conati di vomito.

Ecco.
Un problema ancora c'è, però.

Io sono stanca.

Ho finto entusiasmo, di fronte alla notizia, mentre Daniele quasi piangeva dalla gioia, sapendo che sarei sopravvissuta, che sarei rimasta con lui.
Ma è da tanto che l'egoismo ha fatto breccia nel mio petto: mi ci hanno resa loro così, piegata dal bisogno e dalla necessità, dall'orticante urgenza di pensare a me stessa.

Sono stanca, sono distrutta, non voglio più sforzarmi. Non voglio più sopportare anni di malattia, anni di cure, di medicine inghiottite con un sorso d'acqua e lo stordimento che solo loro riescono a portare.

Mi sono arresa ancor prima d'iniziare.

Ho vissuto per Daniele, ma ora un impellente istinto di autodistruzione mi richiama. L'amore non basta più, non di fronte a questa belva.

Non ho voluto dire la verità a nessuno, accettando la terapia e costringendomi nella stanza di ospedale nella quale mi trovo al momento. 
Come avrei potuto spiegare di voler morire?
Quale presunzione mi avrebbe resa capace di una cosa del genere?
Rinchiusa in questo luogo, circondata da persone in continua lotta per la sopravvivenza, come avrei potuto innalzarmi a dio di me stessa, decidendo di interrompere tutto, di lasciare che la malattia facesse il suo corso?

Sono passati quasi sette mesi da quando ho iniziato le cure e solamente sei da quando mi si è presentata finalmente la possibilità di scegliere: Gaeli è entrato da quella porta, seguito da uno stormo di specializzandi più simili a moscerini.

Ero sola, il sole era appena sceso e lo stavo osservando con occhi vitrei, da dietro la finestra, concentrata piuttosto ad elaborare la sua serratura sigillata.

Dei passi avevano preceduto lo psichiatra, lo avevo riconosciuto ancor prima di vederlo, abbassandomi da sola al livello di un cane con il suo padrone.
Dieci anni non erano bastati a seppellirlo.

Quel goffo tamburellare apparteneva a lui soltanto e il suono –immerso tra altri passi più flebili e incerti- mi aveva sconvolta nella sua familiarità.

Non indossava il suo sorriso smagliante, ma solo uno sguardo vecchio, sporcato lievemente da una curiosità che aveva avuto in passato.

Cosa voleva da me?

Avevo finto di non averlo visto, cosa impossibile, visto che come uno squadrone della morte, lui e il suo esercito di specializzandi, avevano invaso la mia quiete.

<<Vuoi ricominciare a lottare?>>.
Gli era bastata questa frase per attirare la mia attenzione.

Mi limitai ad osservarlo in silenzio, nel mutismo che ha continuato ad essere una mia brillante prerogativa.
Gli feci cenno di sedersi sulla poltrona accostata al mio letto. Si accomodò e riuscì a convincermi con le sue parole, come sempre aveva fatto.

Aurora - Silenzio e Voce [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora