58 - Concludere

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Mi rinfilai velocemente le scarpe, infilando giusto due dita dietro al tallone per evitare di doverle slacciare.
Balzai in piedi e mi catapultai fuori dalla porta.

La REMS era essenzialmente bianca.
Le sue pareti, i suoi pavimenti, i camici dei medici, tutto era intriso di quell'assenza di colore.

Percorrevo il largo corridoio che mi avrebbe portata nello studio con il tavolo di ciliegio.

Il silenzio era tale che l'avrei potuto affettare con una mano.
 Alle 10.00 erano solite avviarsi le attività di gruppo per "iniziare al meglio la giornata!".
Sì, quella stessa giornata con un 75% di probabilità d'essere di merda per la gran parte dei pazienti, scossi da crisi di risa o pianto.

Camminavo con lentezza, muovendo falcate sempre più piccole, sempre più insicure.
Il dottor Gaeli mi superò presto, tagliando con i suoi passi pesanti quella specie di coltre impenetrabile che era diventato lo spazio che ci divideva da quella stanza.

Ti prego, fa in modo che vada tutto bene.

Una preghiera che rivolsi più a me stessa che ad un qualche dio in ascolto.

Le mie allucinazioni mi avevano dimostrato come la visione di bene, male ed aldilà, nella mia testa, fosse giusto un po' contorta e macabra.

Svoltammo in un altro corridoio e vidi sul fondo, tra le altre porte, anche quella bianca –più bianca- nella quale sarei dovuta entrare, magari a testa alta, con tranquillità, smettendo di far tremare le mie mani nascoste nel maglione nero.
Ero una macchia scura, uno sputo di tabacco sul terreno appena lucidato, una sbavatura di inchiostro su un foglio pulito.
Ero una goccia di china caduta in una ciotola di vernice immacolata.

Provai a concentrarmi su qualche altra cosa, distrarmi disperatamente.

Quello seduto nella sala creativa che avevamo appena superato non era Lorenzo? Non vorrà mica rubare di nuovo tutti i pennarelli della REMS. Forse avrei dovuto avvertire il dottor Gaeli, forse avrebbe potuto fare qualcosa per impedirlo. Non che fosse importante la refurtiva in sé e per sé, ma insomma, povero Lorenzo, preda in questo modo della sua cleptomania. E non starà mica saltando ancora la terapia di gruppo? Non migliorerà di certo in questo modo.
Dovevo fermare il dottore, dovevamo intervenire assolutamente. Gli avvocati avrebbero potuto aspettare, Lorenzo era sicuramente più importante.

Arrivammo di fronte alla porta ed io smisi di torturarmi con pensieri inutili.

Dovevo affrontare la situazione un'altra volta ed ultima volta, nessuna scusa, nessuna giustificazione.
E poi, sinceramente parlando, 'sti cazzi di Lorenzo.

Erano già tutti dentro?

Mi resi conto d'essermi imbambolata di fronte alla soglia, il mio medico si era fatto da parte, voleva che fossi io ad abbassare la maniglia.

Forse mancavamo solo noi all'appello.
Forse sarei entrata ed avrei sentito lo sguardo di tutti seguirmi.
Forse alcuni di loro avrebbero immaginato cose orrende guardandomi, forse il padre di Zeno avrebbe replicato nella sua mente più e più volte l'immagine illusoria del mio collo preda tra le sue mani, il mio viso sempre più rosso, gli occhi sempre più grandi ma al contempo più lontani.
Insomma, il solito e letale pensiero che sentivo da lui dedicarmi con tanto affetto ad ogni nostro incontro.

Dovevo aprire quella fottuta porta.

<<Aurora, non dovrai più tornare in quella stanza, ma per far avvenire ciò devi entrare un'ultima volta>>.
Deglutii e poggiai la mano sulla maniglia.
<<Ancora una e poi sarà tutto finito>>.

Soffocai inutilmente il pensiero che spesso mi aveva tormentata.

Una volta terminato il supplizio degli avvocati avrei avuto la possibilità di pensare ad un altro grande dilemma che soleva massacrarmi nel tempo libero: quanti anni sarei rimasta rinchiusa nella REMS?
Ora che la fine del tunnel della giurisdizione era vicina, non vedevo la luce, vedevo una curva ed un buco ancor più buio nel quale mi stavo andando ad ingolfare.

Aurora - Silenzio e Voce [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora