64 - Tradire

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Affermare d'essere convinta sarebbe stato come bestemmiare contro ogni mio discutibile ideale.
Arricciai il naso leggermente e scrutai la montatura nera poggiata sul naso sollevarsi appena.
No, non mi piaceva per niente questa scomoda novità.

<<Avresti potuto scegliere un occhiale colorato, tanto per cambiare un po' le solite tonalità che ti ritrovi addosso>>.
Dallo specchio spostai lo sguardo sul riflesso di Serena, mi guardava sdraiata dal mio letto. Indossava una maglietta tre volte la sua taglia, diceva che sguazzarci dentro la faceva sentire meno sensuale; meno sensuale significava meno scopabile; meno scopabile significava che si sarebbe volentieri risparmiata un lavoro di seduzione inutile verso chiunque.

Mi lasciai scappare un sorriso e tornai a fissare la mia espressione perplessa.

Era dall'incidente con il test di gravidanza che aveva deciso di invertire rotta, cambiare, farsi aiutare. Doveva essersi spaventata davvero tanto per cedere di fronte ai medici. Aveva vuotato il sacco, circa: era andata piangendo dalla dottoressa Zanetti e le aveva spiegato come non avesse fatto altro che fingere fino ad allora, di come non avesse mai smesso d'avere certe pulsioni, tentazioni, pensieri. Aveva omesso qualsiasi dettaglio sulle sue scappatelle sempre più rade e controllate: una confessione del genere le avrebbe provocato molti più problemi di quanti ne aveva già.
Il suo ipotetico rilascio previsto per l'anno a venire non fu ovviamente più menzionato. La sua psichiatra si dichiarò, anzi, perfettamente consapevole della situazione, giustificandosi imbambolando una pessima scusa: avrebbe, infatti, solamente finto di crederla guarita, sperando che Serena si sciogliesse e decidesse finalmente di confidarsi sinceramente.
Erano ovviamente sciocchezze tirate su al momento da un medico troppo poco furbo per la ninfomane.
Mi chiedevo come se la sarebbe cavata con Gaeli.

<<Di questo passo diventerai una darkettona>>.
La ignorai e mi sistemai meglio gli occhiali sul naso. Mi infastidivano davvero tanto, ma dovevo ammettere che, tornare a vederci qualcosa, non era affatto male.

Ci avevamo impiegato mesi per andare alle sedute previste dall'ottico, scegliere una giusta ed economica montatura e aspettare che il lavoro fosse completato.

Probabilmente non avevo dato man forte al mio medico, che almeno un paio di volte era arrivato a prendermi per un braccio e a trascinarmi per i corridoi.

Era Gaeli -seguito da una guardia di sicurezza e da un'infermiera- ad accompagnarmi dall'ottico ogni volta. Una scorta del genere non l'avevo mai avuta, neppure durante le ore di servizio sociale passate a lavare i muri della REMS.

Quando mi ero trovata di fronte alla scelta della montatura, lo psichiatra aveva espresso lo stesso commento di Serena: "Perché non prendi qualcosa di colorato?".
Mi aveva poi posato sul naso un paio di occhiali verdi e tondeggianti.
Avevo scosso la testa, li avevo tolti e ne avevo afferrato un paio squadrati e neri.
Ero rimasta a fissarlo dal basso in cerca di conferme in uno sguardo accigliato.
"Sei monocromatica".
"Mi piace il nero".
"Lo so".
Si era così conclusa la trattativa.

Seppur non mi fossi ancora arresa all'idea d'aver quei cosi spiaccicati sul muso, dovevo ammettere che la scelta del modello mi aggradava.
Non c'era un briciolo di pigmento colorato su di me: gli scialbi capelli neri erano privi di sfumature, risultando piatti e come intrisi da intensa china; la mia pelle -impallidita dagli anni passati da prigioniera nella casa famiglia, nel monolocale e nella REMS- aveva ben poco di salutare e roseo; e, per finire, le mie iridi grigie si rendevano smunte in quell'accozzaglia di bianco e di nero, ergendosi ad interprete di un'unione scandalosa.

Su di me il colore era stato lavato via fin dalla nascita, perché avrei dovuto aggiungerlo in quel momento a forza, se il destino aveva già deciso per me da troppo tempo?

Aurora - Silenzio e Voce [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora