Capitolo 4 - Scontro verbale.

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Sulle prime ignorò completamente la mia presenza, concentrandosi su di lui e stampandogli un bacio sulle labbra. Poi si voltò verso di me, come se si fosse accorta solo adesso che c'ero anch'io.

-Sono Jessica- si presentò tendendomi una mano pallida come il latte. Notai subito le unghie rosicchiate prive di qualunque traccia di smalto. Le strinsi la mano con diffidenza, mentre lei mi scrutava con attenzione dalla testa ai piedi. Avevo paura di quello che avrebbe detto non appena avesse finito di esaminarmi, ma in fondo che cosa mi sarebbe dovuto importare del pensiero di una sconosciuta?

-Uhm- commentò prima di rivolgermi un sorriso tirato.

-Dove l'hai trovata, Shane?- rise, scuotendo la testa scura. -In autostrada mentre cercava di abbordare un cliente?-

-Scusami? - ribattei alzando la voce e avvicinandomi di un passo. Sui miei tacchi dieci la superavo di appena un paio di centimetri, ma lei non sembrò affatto intimorita.
Vidi Shane rifilarle un'occhiata severa, afferrarla per le spalle e tirarla al suo fianco.

-Jessie- la ammonì senza pensarci due volte, come avrebbe fatto un padre con suo figlio.  -Evita queste battutine da ragazzina di dodici anni, ti prego. È un ospite, e ha bisogno di una mano per ambientarsi. Ti pregherei di portarle un minimo di rispetto.-

Jessica sollevò la testa verso di lui con uno scatto improvviso, sogghignando.

-Un ospite? E da quando? E poi chi diavolo sei, tu?- urlò voltandosi verso di me con una smorfia. -Perdonami se non riesco a prenderti sul serio, visto il modo in cui sei vestita. -
Sorrise ancora, in modo tagliente, e io dovetti frenare l'impulso di tirarle uno schiaffo in pieno viso.

Se avessi avuto quindici anni l'avrei già buttata a terra e presa per i capelli, ma ero un'adulta, responsabile, e per quanto mia madre non lo credesse, avevo ancora un contegno. Perciò rimasi immobile, incrociolai le braccia sul petto e la fissai con sufficienza.

-Vogliamo andare a pranzo, o no?- dissi rivolgendo un'occhiata a Shane.

-Sì, credo sia una buona idea- concordò lui.

Fece per aprire lo sportello dell'auto, ma la mano di Jessica si chiuse repentinamente intorno al suo avambraccio.

-Vuoi davvero pranzare con un'estranea che sembra appena uscita da Pretty Woman? Ti sei bevuto il cervello, Shane?

-Jessica.

Il tono di Shane era incredibilmente duro, come quello di un genitore. Mi scappò un risolino, ma riiuscii a trattenerlo. Sollevai il mento.

-Shane, lascia stare-  dissi con sincera rassegnazione.
-Me la caverò da sola. Spero solo di abbordare qualcuno di più disponibile del tuo fidanzato, tesoro.

Lanciai uno sguardo di sfida a Jessica, facendo schioccare la lingua.
Gli occhi verdi della ragazza si spalancarono, mentre schiudeva le labbra rosee e mi piantava addosso uno sguardo di fuoco.

-Sarei io la maleducata, vero?

Shane si intromise, frapponendosi tra noi.

-Adesso basta- dichiarò con decisione. -Jessie, stavo solo cercando di essere ospitale con lei, ma se la cosa ti crea tanto fastidio non lo farò. Katherine - quando pronunciò il mio nome mi corse un fremito in tutto il corpo, -mi dispiace tanto, ma temo che il pranzo salterà. Puoi chiedere alla signora Jenna se possiede qualche vestito consono ai nostri usi, se ti fa piacere. Sono sicuro che ti inviterà anche a pranzo, è una donna molto gentile.-

-Certo- replicai con un sorriso, mentre indietreggiavo muovendomi con maestria lungo il marciapiede.

-Scusate il disturbo, comunque. Di solito non mi comporto in questo modo.-

-È stato un piacere conoscerti! - mi urlò dietro Jessica, mentre percorrevo a testa alta il vialetto. Sentivo la rabbia ribollirmi nel petto, raschiarmi la gola con prepotenza, nel tentativo di fuoriuscire dalle mie labbra. Eppure, in qualche modo, riuscii a mantenere il controllo e a non perdere le staffe.

Mi ero comportata in maniera infantile, e riconoscerlo mi provocava una fitta di commiserazione verso me stessa. Questo era uno dei comportamenti che mia madre aveva sempre criticato, e adesso non potevo far altro che darle ragione. Le vipere come Jessica esistevano anche a New York, per questo ero preparata a sfoderare i denti, ma per rispetto verso Shane avevo preferito evitare di rendermi ulteriormente ridicola.

Per la prima volta in vita mia, cominciai a disprezzare gli abiti che indossavo. Mi fecero provare imbarazzo, mi fecero arrivare al punto di vergognarmi di me stessa, perché avevo più pelle scoperta che coperta e non. Non potevo pretendere che la gente non mi considerasse una prostituta non appena mi vedeva. Nonostante questo pensiero fosse totalmente lontano dalla realtà. Ero casta dalla punta dei capelli a quella dei piedi.

Le persone si fanno un'opinione di un'altra nel primo momento in cui la vedono, ed è quello che avevano fatto tutti, eccetto per Shane. Lui mi aveva guardata in modo diverso,  quel tipo di sguardo che va oltre le apparenze, aveva cercato di scavarsi una strada all'interno dei miei muscoli e delle mie ossa ed era arrivato al cuore del mio essere. E ci era riuscito nel giro di qualche minuto. La cosa mi spaventava, lo ammettevo, ma mi rendeva anche estremamente felice.

Non avrei dovuto.
Non ero il tipo di ragazza che si lasciava abbindolare da uno sguardo un po' più penetrante del dovuto, ma Shane era diverso, e ormai lo avevo capito.
Invidiavo Jessica più di quanto avrei dovuto, ed ero convinta che non lo apprezzasse come lui avrebbe meritato. Me ne ero accorta dal modo in cui gli si era rivolta solo pochi minuti prima, come se non sopportasse repliche da parte sua, come se la sua gentilezza fosse del tutto inappropriata. Forse era stata la gelosia a guidare le parole di quella ragazza, ma non mi era sembrato si trattasse solo di quella. No, c'era stato qualcos'altro anche se io non sapevo dargli un nome.

Scossi la testa, inspirando l'aria calda, e afferrai il cellulare per controllare l'ora.
14.10 e nessuna chiamata persa.
Me lo aspettavo, naturalmente. Approssimativamente sarebbe dovuta arrivare la prima chiamata da parte di mia madre solo il giorno dopo, quando fosse andata a casa di Roxi per portarmi il caffè e non mi avrebbe trovata. Ci avrebbe pensato lei a spiegarle il motivo della mia assenza, e sicuramente mia madre non l'avrebbe considerata una tragedia, e a me andava bene così. Finalmente riuscivo a respirare un po'; più lontano le fossi stata, meglio sarebbe stato per me.
La stessa cosa valeva per Jessica.

Spostandomi i capelli (che dovevano essere in uno stato pietoso) dietro le spalle, mi apprestai a suonare al campanello, sperando che fosse proprio quello della signora Jenna.
Con mia sorpresa, indovinai.
Con un sospiro di sollievo le sorrisi, non appena aprì la porta. Quando mi vide i suoi occhi si illuminarono, e io tornai a chiedermi come potesse, una sconosciuta, essere tanto gentile nei miei confronti.

-Mi scusi... - tentennai sporgendomi oltre la recinzione. -Shane mi ha consigliato di rivolgermi a lei, se ne avessi avuto bisogno...- Mi bloccai, gettandomi un'occhiata alle spalle per controllare che non ci fosse più nessuno nei paraggi.
-Ci siamo conosciute prima, ricorda?- continuai con un sorriso speranzoso.
-Ma certo.- Jenna sorrise cordiale, facendomi un cenno con la testa.
-Entra pure, bambina- mi invitò mentre oltrepassavo la recinzione e percorrevo a passi incerti il piccolo viale di pietra.

-Sarà un piacere esserti d'aiuto.
Allungò una mano e mi accarezzò una guancia, mentre spostava con la spalla la porta dietro di sé, inducendomi a seguirla all'interno. Osservai i suoi capelli, di un biondo sbiadito, raccolti in una crocchia arrangiata sulla sommità del capo e sorrisi. Dovevanaver avuto Will in età piuttosto avanzata.

-La ringrazio- sussurrai mentre richiudevo la porta alle mie spalle.
Lei sorrise e un paio di rughe si formarono agli angoli della sua bocca sottile.
-Non c'è bisogno che mi ringrazi- replicò con dolcezza.
-Mi creda- la contraddii, sospirando. -C'è bisogno. E tanto.-

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