Capitolo 2 - Dottore.

416 41 22
                                    

Katherine.

—Quindi ce l'ha, un nome? — mi chiese l'uomo per la seconda volta.
Ero rimasta in silenzio per tutto il tempo, guardando fuori dal finestrino semiaperto per non dovermi concentrare sul suo viso. Sia chiaro, avrei preferito di gran lunga dedicarmi ad osservare quello, ma la parte razionale di me mi diceva apertamente di lasciar perdere. Quando fossi scesa da quell'auto, con molta probabilità, non lo avrei più rivisto. Forse era meglio così. 
Meglio per la mia sanità mentale, soprattutto.

—Katherine— gli risposi distrattamente, torturandomi un'unghia smaltata di rosa pastello.
—E tu? Lei?— mi corressi subito dopo, mordendomi la lingua.
Sentii ancora la sua risata, mentre l'auto macinava metri su metri d'asfalto.

—Sta' tranquilla— mi rassicurò ridendo. —Dopotutto tu sei una prostituta e io un serial killer, possiamo darci del tu.—

Per un attimo rimasi allibita, voltai la testa verso di lui e lo inchiodai con lo sguardo.
—Come, scusa?—
—Mi chiamo Shane— mi interruppe con un sorriso. —E stavo solo cercando di ironizzare. Scusami.—
Sembrava sinceramente dispiaciuto. Rilassai le spalle, scrutando minuziosamente il suo profilo. Mi resi conto solo in quel momento che il naso era probabilmente il dettaglio più comune che possedesse: dritto, perfetto, scendeva sopra l'arco delle labbra quasi con eleganza.

Mi trovai, mio malgrado, a registrare con lo sguardo ogni dettaglio di quel volto. Osservai la piega ondulata dei capelli castani —un castano scuro tendente al nero— che terminava alla base del collo; risalii lentamente con lo sguardo e mi concentrai sul ciuffo leggermente spostato di lato sulla tempia.
Era indubbiamente un bell'uomo. Questa opinione appena formatasi nella mia testa venne subito incentivata dall'emergere dei muscoli tesi sotto la camicia grigia che indossava.
Maledizione, sono fregata.
Però, anche se ero fregata, avevo ancora una dignità.

—Di dove sei?— buttai lì per rompere quel silenzio imbarazzante.
—Adisob— rispose. —Dove stiamo andando adesso.—
—Oh, quindi mi stai portando nella tua città— commentai più verso me stessa che a lui.
Shane mi rivolse uno sguardo di  sfuggita. —Dove altro pensavi ti stessi portando?—
Appoggiai la testa contro il vetro, perdendomi ad osservare distrattamente le file di alberi che scorrevano velocizzate sotto i miei occhi.

—Scusa— sospirai scuotendo la testa. —È solo che sono talmente confusa da non capire cosa sta succedendo.—
Shane sogghignò appena.
—Che ti è successo? Come mai te ne stavi tutta sola in quella stazione di servizio? E per di più... — si interruppe, schiarendosi la gola.
Sapevo già cosa avesse inteso con quella netta interruzione.

—Vengo da New York. Lì la gente non si stupisce più di tanto se vede una ragazza vestita come sono vestita io oggi.—
Ammetto che la mia risposta fu piuttosto tagliente, ma l'impulsività era una caratteristica fondamentale del mio carattere.
—Ah, sei di New York— ribatté lui apparentemente ignorante della mia saccenza.
—Anche la mia fidanzata lo è.—

Mi sfuggì immediatamente una risatina nervosa per la quale avrei voluto prendermi a schiaffi seduta stante.

Avrei dovuto fingere che la notizia improvvisa non mi avesse minimamente turbata, in fondo era un completo sconosciuto che si era solo offerto di darmi un passaggio, eppure sentivo inspiegabilmente qualcosa lacerarsi nella mia testa. Probabilmente mi ero fatta pensieri troppo assurdi perché potessero trovare concretezza. C'era da aspettarselo, dopotutto. Questo dimostrava che ero, sono, incredibilmente e perdutamente fuori di testa.

Raddrizzai le spalle, senza guardarlo. Continuai ad osservare il territorio che mi scorreva sotto agli occhi con aria assente, sperando che lui non se ne accorgesse. Perché avrebbe dovuto accorgersene, poi?
Riprenditi, Kathie, mi schiaffeggiò la mia voce interiore.

Heart By Heart Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora