Capitolo 3 - Un'occasione per rinascere.

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Katherine.

Avevo sempre pensato che i medici fossero attraenti. Probabilmente guardare tutti i giorni gli episodi di Grey's Anatomy aveva incentivato quest'opinione. Ma Shane… Lui era totalmente lontano dall'idea di dottore che avevo avuto fino a pochi minuti prima. Eppure, mentre lo osservavo da lontano, con la schiena appoggiata nell'angolo di quella stanzetta dalle pareti in mogano che ospitavano vari quadri e dipinti di paesaggi (che immaginai essere il suo studio personale) capii che non sempre l'abito fa il monaco. Avevo visto poche persone, nella mia vita, prendersi cura di altre nella maniera minuziosa e delicata che Shane stava dimostrando. E su poche persone, nella mia vita, ero rimasta concentrata tanto a lungo come in quel momento.

Il ragazzo steso sul tavolo al centro dello studio doveva essere all'incirca sui diciassette anni, ma le sue urla da ragazzina lo rendevano molto più infantile.
—Fai piano!— gemette digrignando i denti mentre sua madre, la signora Jenna, si portava le mani al viso e scuoteva la testa affranta. È solo una caduta, pensai tra me e me. Perché si disperano così tanto?
Shane doveva pensarla come me, perché, dopo aver applicato un bendaggio sulla caviglia del ragazzo, sospirò sorridendo e io rimasi incantata da quel sorriso. Dentatura perfetta, bianca, sembrava risplendere nella penombra di quella piccola stanza. Mi ripresi non appena lui posò lo sguardo su di me. Durò solo un istante, talmente breve che sarebbe facilmente potuto essere uno scherzo della mia immaginazione, eppure io mi sentivo messa inevitabilmente a nudo. Tornò a rivolgersi al giovane. 
Per fortuna, pensai.

—Va tutto bene, Will, è una semplice slogatura. Guarirà completamente in un paio di giorni.—
Il suo tono di voce era caldo, rassicurante; la quiete dopo la tempesta. All'improvviso la signora Jenna si voltò verso di me, piantandomi addosso un paio di occhi angosciati.

—Perdonami — ansimò, e io vidi il senso di colpa trasparire dal suo sguardo nocciola.

—Con tutto questo trambusto mi è completamente passato di mente. Lei chi è?—
Sfoggiai la mia migliore espressione cordiale.

—Katherine Stevenson, piacere di conoscerla.—
Allungai una mano verso di lei e, quando Jenna me la strinse, mi stupii di quanto la sua pelle fosse consumata e callosa. Doveva essere una casalinga che lavorava troppo. Mi sorrise a metà tra la preoccupazione e la gentilezza.

— Si è appena trasferita?— mi chiese lanciando uno sguardo da sopra la spalla a suo figlio, che Shane stava aiutando a scendere dal tavolo.

— Oh, no. — Scossi la testa. —Ho avuto un imprevisto e sono rimasta a piedi, così Shane è stato tanto gentile da darmi un passaggio fino alla città più vicina. Ma oggi torno a casa, a New York, sperando di trovare un autobus.—

—Oh!— Jenna mi lasciò la mano, all'apparenza delusa. —Speravo ti saresti fermata un po' di più... —
Schiusi le labbra, colpita da tanta gentilezza.

—Vorrei, davvero, ma non ho nessun conoscente qui, signora. Tutta la mia vita è a New York. La mia migliore amica, i miei amici, mia… madre, sono tutti lì. Devo per forza tornare a casa, altrimenti si preoccuperanno.—

In realtà non sarei mancata a nessuno e nessuno si sarebbe nemmeno accorto che io fossi sparita, eccetto per Roxi, forse. Sempre che non mi avesse già sostituita con qualcuna meno complicata e frivola di me. Mi sentivo talmente sola in quel momento che avrei voluto cadere in ginocchio sul pavimento e dare sfogo a tutto il tormento che provavo nel cuore, ma avevo ancora una dignità e non lo avrei fatto, non davanti a degli sconosciuti. Ero certa che anche loro, come tutti quelli che avevo incontrato nella mia vita, mi avrebbero derisa costringendomi a tessere la mia corazza strafottente ancora una volta.

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