II

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Erano trascorsi quattro giorni dal primo incontro fra Sherlock ed Emily e due dall'insediamento di quest'ultima al numero 221B di Baker Street. La ragazza aveva raggiunto Londra con solo un paio di valigie al seguito, per tale motivo le era risultato piuttosto semplice abbandonare il dormitorio in cui aveva temporaneamente prenotato una stanza e trasferirsi nel suo nuovo appartamento. L'idea di convivere con un uomo non la preoccupava più di tanto, al contrario. Era eccitata al pensiero di condividere le stesse stanze di Sherlock Holmes, così come di respirare la sua stessa aria e di averlo sotto gli occhi di continuo, con l'assoluta libertà di poterlo studiare, vederlo in azione e carpire il più possibile della sua psiche.

Quel mattino, intorno alle dieci, la ragazza era accoccolata sul divano, le gambe incrociate, il portatile in braccio. Teneva sotto controllo la piccola cucina di tanto in tanto, senza smettere di ascoltare i suoni prodotti da Sherlock che, con inforcati camice e occhiali, aveva preso dominio della stanza per effettuare alcuni dei suoi esperimenti.

Era bastato poco a Emily per capire che l'uomo con cui aveva deciso di convivere non era quello che si poteva definire esattamente un "tipo convenzionale". La casa era indubbiamente sua, lo si capiva dai suoi oggetti sparsi praticamente ovunque in ogni stanza - fatta eccezione per la camera della ragazza al piano superiore - così come era evidente che per lui, avere un coinquilino, non implicasse automaticamente il fatto di dover modificare almeno in parte le proprie regole e il proprio stile di vita. Aveva dei modi di fare curiosi, notò fin da subito la ragazza, eppure le piaceva; si poteva dire che fosse unico nel suo genere, qualcuno che non si può incontrare facilmente in giro e che, e questa per lei era la parte più interessante, non fosse affatto semplice da analizzare. In soli due giorni, Emily era riuscita a capire che Sherlock Holmes non era molto ferrato nei rapporti umani e che preferiva circondarsi esclusivamente di poche persone che non lo intralciassero più del dovuto. Una volta capito questo per lei fu facile decidere come comportarsi; era comunque cresciuta con tre fratelli più grandi che erano stati tre adolescenti intrattabili e che necessitavano dei propri spazi e di non avere fra i piedi la sorella piccola, perciò sapeva come stare lontana da qualcuno facendo ugualmente parte della sua vita. Sherlock era come i suoi irascibili fratelli in piena pubertà.

Bevve un sorso di caffè dalla sua tazza - preparato in extremis prima che il detective monopolizzasse la cucina - e riprese a scrivere qualcosa sul portatile quando sentì dei passi salire lungo le scale. Sospettò si trattasse della signora Hudson, ma la velocità con cui stava percorrendo la rampa non era riconducibile alla donna. Si voltò verso l'ingresso nel momento esatto in cui questo veniva aperto, introducendo nella stanza John Watson. I secondi che seguirono quel primo momento furono notevolmente strani, per l'uomo molto più che per Emily.

«Buongiorno Dottor Watson» lo salutò infine la ragazza, sorridendo.

John la guardò basito per un momento, fece scorrere gli occhi sull'abbigliamento di lei - una normale camicetta da donna e un paio di pantaloni neri - e sollevò dubbioso la mano destra in un cenno di saluto.

Subito dopo Sherlock comparve dalla cucina, un vetrino da laboratorio in mano. Sollevò gli occhiali protettivi e osservò l'amico. «Buongiorno.»

Il medico lo guardò, mentre il detective scompariva nuovamente in cucina, dopodiché lo seguì nell'altra stanza. Lo fissò a lungo, in silenzio, indicando brevemente in direzione del soggiorno, dove Emily aveva ripreso a lavorare al pc.

«Sherlock, posso... posso parlarti un momento?» domandò infine John, riacquisendo pieno uso delle parole.

«Non ora, sono impegnato. Devo isolare questa particolare spora fungina evitando di contaminarla» replicò l'uomo, asciutto.

The young redheadDove le storie prendono vita. Scoprilo ora