Primo appuntamento.

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«Un cane?» mi chiese la voce ancora impastata dal sonno del mio migliore amico. «Le hai preso un cane?»

Posai il mio sguardo sulla cucciola che avevo deciso di regalare ad Alexandra quella sera, ed annuii; anche se lui non poteva vedermi. «Uno Yorkshire Terrier.» precisai, allungando una mano per scompigliarle il pelo.

«Perché, Jared? Perché le hai preso un cane?» volle sapere Adam, con uno sbuffo.

Perché un cane rappresentava un impegno. Cookie simboleggiava la mia intenzione d'impegnarmi seriamente con la piccoletta; mi sarei preso cura di entrambe.

«Ne ha sempre voluto uno.» replicai, stringendomi nelle spalle.

Silenzio. Me lo immaginai mentre si stropicciava il viso con una mano, alla ricerca di un significato più profondo dietro le mie parole. Uno che sarebbe riuscito a cogliere solo lui, perché solo lui poteva capire.

«Credo che le piacerà.» sentenziò, dopo qualche minuto. «Adesso torno a dormire. Buona giornata, coglione.»

Non mi diede nemmeno il tempo di replicare, chiuse la chiamata e mi lasciò solo. Mi alzai dal divano, e riposi il cellulare nella tasca posteriore dei jeans. Recuperai giacca e portafoglio, ed uscii per andare a fare la spesa.

Era passato un po' di tempo dal mio ultimo appuntamento con una ragazza – di solito non le invitavo ad uscire –, ed avevo deciso che il nostro sarebbe stato speciale. Invece di portarla a cena in un qualsiasi ristorate di New York, sarei stato io cucinare la cena e le avrei preparato tutti i suoi piatti preferiti.

Mi recai in un supermercato poco distante dall'edificio in cui vivevo e presi un carello. Quel lunedì pomeriggio, quando ero tornato a casa – dopo averle dato il più bel bacio di tutta la sua vita –, avevo stilato una lista di tutto il necessario. I gusti di Alexandra erano semplici, e i suoi piatti preferiti tutti poco complicati. Chiunque sarebbe riuscito a prepararli senza il minimo sforzo, tranne lei.

Spostandomi lungo le varie corsie raccolsi tutto il necessario, ed aggiunsi un paio di cose che mi ero dimenticato e mi servivano.

Quando mi fermai davanti al banco della carne, presi il numero e mi misi infila dietro agli altri clienti. All'improvviso, il cellulare squillò. Quando riconobbi la suoneria personalizzata che avevo abbinato al suo contatto; le mie labbra s'incurvarono spontaneamente in un sorriso.

Lo sfilai dalla tasca dei jeans e me lo portai all'orecchio, prima di rispondere.

«Buongiorno, piccoletta» la salutai.

«Ti odio!» esclamò lei, irritata.

Intanto, era giunto il mio turno. L'uomo al bancone mi chiese che cosa volevo ed ordinai un pezzo d'arrosto, indicandoglielo. Distolsi lo sguardo, e tornai a concentrarmi sulla telefonata.

«Incominciamo bene» commentai, scoppiando a ridere. «Che cos'ho fatto per meritarmi il tuo odio?»

Ero piuttosto certo di non aver fatto nulla di male, quindi non riuscivo a comprendere perché fosse arrabbiata con me. Mi ritrovai ad avere paura. Avevo paura di conoscere la sua risposta, temevo che avesse cambiato idea e non fosse più interessata a darmi un'opportunità. Invece di esternare con lei i miei timori, attesi.

«Mi hai chiesto di uscire, ecco che cos'hai fatto!» sbuffò, inacidita. «E adesso devo comprare un vestito.»

Il suo sfogo mi suscitò un'altra risata, che non cercai nemmeno di mascherare. Ero sollevato. Non ero io la fonte della sua irritazione, non avevo fatto nulla per meritarmi il suo odio. Non mi odiava, non davvero.

«Non è necessario che tu metta un vestito» replicai, una volta tornato serio. «Anzi, penso che tu possa anche farne a meno.»

Ai miei occhi Alexandra era sempre bellissima, qualunque cosa indossasse. Era splendida anche con quel ridicolo pigiama con sopra le scimmiette, e la mia maglia sopra. Anzi, soprattutto con quella.

VastWhere stories live. Discover now