FREEDOM.

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Che cosa mi stai facendo, piccoletta?

Non riuscivo a smettere di pensare agli eventi della sera delle precedente.
Non riuscivo a smettere di pensare a lei, la ragazza che odiavo. Quella che amavo odiare. Mi uccideva sapere che, nel corso di quei tre anni, non avevo dimenticato niente di lei. Ricordavo tutto. Ed era anche troppo.

Vederla di nuovo, al FREEDOM, aveva fatto scattare qualcosa in me. Non avevo più capito niente. Sapere che era stato Brent ad invitarla, mi aveva fatto ribollire il sangue. Non lo volevo vicino a lei. Non volevo lei vicina a lui. Guardarla a scivolare sul sedile, con il braccio di lui intorno alle spalle, mi aveva fatto desiderare di portarla fuori da lì. Lontano da quel tavolo. Da lui. Da me.

Non la volevo lì, perché non mi piaceva il modo in cui mi faceva sentire la sua presenza. L'avevo già notato la volta precedente, Alexandra era cambiata. Non era più la ragazzina che abbassava lo sguardo quando si accorgeva della mia presenza, non piegava la testa davanti alle mie battute e, soprattutto, mi rispondeva a tono. I suoi  occhi, quelli, erano come me li ricordavo. Erano ancora del blu del cielo in tempesta, bellissimi. Dannazione, lei era bellissima. Perché non ci avevo mai fatto caso? Volevo che stesse lontana da me.

L'avevo vista ballare insieme a lui. Osservata mentre gettava la testa all'indietro per ridere, e mi ero ricordato della piccola voglia color cappuccino che aveva sotto il mento. Mi ero trovato a desiderarla accanto a me. Volevo passare una mano trai suoi capelli dorati. Stringerla a me, sentire il calore del suo corpo contro il mio.

Ancora prima di poterci riflettere, i miei piedi si erano mossi, e l'avevo raggiunta. Ed era successo, le mie dita si erano strette intorno al suo polso e l'avevo implorata di ballare con me. Per un breve istante, avevo sperato che mi rispondesse di no, ma non l'aveva fatto. Non aveva detto niente. Si era limitata a fare un passo avanti, i suoi occhi luminosi fissi nei miei, e mi aveva permesso di toccarla. Di stringerla. Di sentire il suo calore. La sua pelle era morbida e vellutata, seta a contatto con la mia. Bianca e pura, come la neve. Leggera e delicata, ma non fragile. Non più, potevo leggerlo nei suoi occhi. Non si sarebbe più tirata indietro. E io ne volevo ancora. Ne volevo di più. Avevo bisogno di sentirla più vicina.

Che cosa mi stava facendo? Hunter, lui avrebbe saputo che cosa fare.

Così mi ero svegliato ed ero andato nel suo appartamento, ma lui non c'era. Dove cavolo era? Per una volta che mi serviva.

Se conoscevo Alexandra, bene quanto credevo di conoscerla, sapevo che quella mattina si sarebbe svegliata per andare a correre e poi si sarebbe rivolta a mio fratello. Allora, perché non me ne andavo, invece di restare nel suo appartamento? Perché volevo vederla, ecco perché.

No, non si trattava di volere. Avevo bisogno di vederla. Dopo quel nostro piccolo diverbio e il calcio incassato dalla Dodge, non ero riuscito a chiudere occhio.

Sta lontana dai miei amici, le avevo ringhiato contro. Quando quello che volevo dire era, stai lontana da me.

La serratura scattò e come se l'avessi evocata, la mia piccoletta si parò davanti a miei occhi.

Mia? Che cosa stavo pensando? Non era mia. Non sarebbe mai stata mia. Non volevo che fosse mia.

«Che cosa ci fai qui, piccoletta?», le chiesi, nella speranza di irritarla.

Amavo farla irritare.

«Dov'è tuo fratello?», ignorò la mia domanda, ed entrò nella stanza.

«Non c'è, mi dispiace», la informai, rivolgendole un sorriso compiaciuto.

Già, siamo soli, piccoletta.

Stranamente, non mi sembrò agitata. Era la prima volta che la vedevo così tranquilla in mia presenza.

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