Il corvo e la farfalla.

4.6K 264 53
                                    


«Sta arrivando» mi disse la ragazza che usciva con Shawn. Era bella, lunghi capelli castani che le ricadevano in boccoli ordinati intorno al viso, una carnagione leggermente olivastra e occhi color cioccolato.
Jocelyn, era così che si chiamava. Da quello che avevo capito, oltre ad essere la coinquilina di Alexandra, era anche la sua migliore amica. La guardai con aria interrogativa, invitandola a spiegarsi. Chi stava arrivando?
«Alex», spiegò, afferrando il suo giubbotto di pelle e la borsa, prima di sorridermi. «Alex sta venendo qui, Jared. Vedi di comportarti bene, non fare il coglione.»

Continuai a studiarla con aria interrogativa: ma che cavolo stava dicendo?

«Andiamo, Shawn» si rivolse al mio migliore amico, tendendogli la mano. Il mio coinquilino balzò in piedi al suo ordine e prese la mano della moretta nella sua, con un sorriso ebete stampato in viso.

Idiota! Mi chiesi se anche io avessi quell'espressione quando la piccoletta era nei paraggi. Ero ateo, ma in quel momento pregai Dio che non fosse così. A tutto c'era un limite, fare la figura dell'ebete davanti ai miei amici, era il mio.

«Salutami la piccoletta», disse il mio migliore amico.

Lo fulminai con lo sguardo. «Non chiamarla così, Shawn.»
Solo io potevo farlo: era solo la mia piccoletta.
La mora si girò ancora verso di me, e mi fulminò con il suo sguardo. «Ricordati, falla soffrire, e te la vedrai con me.»

Dalla scintilla che le brillava negli occhi, intuii che non si trattava di un semplice ammonimento: era una vera e propria minaccia.

Li guardai allontanarsi, Jocelyn davanti e Shawn dietro, che la seguiva come un cucciolo di labrador.

Mi venne da ridere, lei sì che sapeva scegliersi bene gli amici. Prima Hunter, e adesso quella lì: tutti pronti a battersi per lei.
Mi domandai se i miei avrebbero fatto lo stesso per me. Adam Baker, il mio migliore amico, l'avrebbe fatto.
Così come Shawn, Cory e Bennet, l'unico su cui avevo dei dubbi era Brent. Avevo visto il modo in cui guardava Alexandra, era probabile che una volta arrivata le saltasse addosso, come aveva fatto la volta precedente. Questa volta, non gli avrei permesso di toccarla.

Mia, grugniva la voce di un cavernicolo primordiale dentro di me. Mia, mia, mia. Se costretto, gliel'avrei strappata dalle mani con la forza.

Feci scorrere le dita sulla pelle dell'interno del mio avambraccio, sopra al disegno dei corvi che avevo tatuato dopo aver scelto il nome del gruppo. Erano sei: quello più grande rappresentava il mio migliore amico, Adam Baker. Quattro erano i membri della band e l'ultimo, e l'ultimo era per mio fratello.
Le cose più importanti della mia vita.
Avevo pensato di aggiungerne un settimo, ma mi ero fermato: lei non era un corvo.

Mi portai la bottiglia di birra alle labbra, solo per accorgermi che era finita. Quanto tempo era passato, da quando la sua amica se n'era andata? Mi ero dimenticato di guardare l'orologio. Mi scrollai Chanel di dosso, e mi alzai per recarmi al bancone.
Cole doveva seriamente iniziare a pensare di assumere qualche cameriera in più, quel posto era sempre pieno e le ragazze non riuscivano mai a completare i giri dei tavoli.
Mi feci largo tra la folla, raggiunsi il bar e lì la vidi. La mia cometa, abbagliante e luminosa come sempre. Così brillante in mezzo al buio di quel posto.

Indossava un abito nero e senza maniche, che le arrivava fino al ginocchio, con sotto un paio di scarpe eleganti. I capelli raccolti in elegante acconciatura e fermati con delle forcine trasparenti. Nonostante i tacchi, era sempre più bassa di me, di almeno quindici centimetri.

Le mie labbra si allargarono in un sorriso, che agli occhi di chi mi vide, dovette sembrare ebete proprio come quello del mio amico. Mi avvicinai a lei cercando di non far rumore. La mia piccoletta.

VastDove le storie prendono vita. Scoprilo ora