CHAPTER THREE

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LUKE'S POV

Me ne andai subito dopo l'intervista. Prima però ero riuscito ad ottenere il numero di Calum per l'appuntamento di quella sera, così da poterlo contattare nel caso ci fossero dei cambiamenti.

Era solo una scusa per avere il suo numero di cellulare e potergli scrivere. Come se a lui importasse ancora di me.

L'intervista era andata bene. Calum non era più il bambino spaventato che avevo lasciato cinque anni prima senza spiegazioni, ma era diventato un uomo, con le sue convinzioni, un carattere ed un tono autoritario che mi aveva messo i brividi, assieme alla sua voce calda.

Mentirei se dicessi che non mi aveva eccitato. Davvero un incanto.

Ovviamente fare questi pensieri mentre ero seduto nel nostro appartamento, con il mio ragazzo seduto davanti a me e la sua mano sulla mia mentre blaterava qualcosa riguardo il mio ventitreesimo compleanno in luglio.

"...Pensi che dovremmo invitare loro due??....... In spiaggia sarebbe l'ideale......Perché non in piscina?!..."

La mia vita nelle sue mani. Le mie social relationship dipendevano dal suo sesto senso, e se avessi anche solo aperto l'argomento "Calum Thomas Hood", la puzza sotto il suo naso sarebbe riapparsa e qualche piatto sarebbe volato.

"Andata bene l'intervista, amore? Ti vedo con la testa fra le nuvole... È successo qualcosa?"

Mi aveva chiamato amore. Perché non c'erano farfalle nel mio stomaco e asini volanti in aria?

Semplice. Io stimavo Jack Falahee, ma non amavo Jack Falahee.

Ovvio che non avrei nominato neppure per sbaglio il mio incontro con Calum, né quello della mattina, né quello programmato per la sera stessa.

"Sono solo un po' stanco... Erano molte domande e la mia famiglia mi manca. Oggi li chiamerò su Skype. Non li sento da due settimane..."

Lui, abboccando all'amo, protese una mano verso di me, sistemò il ciuffo lungo che nascondeva i miei occhi e li studiò, non riuscendo a trovare ciò che cercava. Nessuna ombra di bugia.

Ero un bugiardo nato. Lo sapevo bene, ma Jack non ancora.

Mi sorrise intenerito e mi accarezzò la guancia ispida, per via della barba, con il pollice.

"Beh, avrai tempo. Io torno domani pomeriggio sul tardi. Mi passi a prendere in aeroporto alle 18.00?"

Annuii e mi infilai un pezzo di filetto fra le labbra, masticandolo. Lo buttai poi giù, ma nessun senso di colpa scese col boccone.

Nessun senso di colpa e basta. Per Calum avrei mentito anche alla mia famiglia.

Per Calum valeva la pena tentare.

-

"Sono di sotto con la macchina."

Inviai il messaggio a Calum che erano esattamente le 19.00 e scesi dalla macchina per raggiungere la portiera del passeggero, poggiandoci contro la schiena, infilando le mani nelle tasche degli skinny jeans neri che stavo indossando. Avevo addosso una camicia nera, lasciando i primi tre bottoni sbottonati, e la giacca dello stesso colore.

Di solito prendevo l'autista e ancora più spesso non uscivo di casa senza almeno una guardia del corpo. Ma quella sera era diversa, era speciale.

Era la mia ultima spiaggia. La nostra ultima spiaggia.

Sollevai lo sguardo dal messaggio di Jack ("Mi raccomando, baby, mangia qualcosa stasera e non andare a letto tardi. Mi manchi.xx") al quale non risposi, e mi ritrovai davanti una visione anche migliore di quella mattina.

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