Un attimo di vera beatitudine, è forse poco per riempire la vita di un uomo?

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Come un avvoltoio, Josephine è dinanzi alla porta d'ingresso con le mani grassocce sui fianchi sporgenti, mentre mi fissa con un cipiglio accentuato dai suoi tratti duri. Mi guarda, colpisce il terreno col piede un paio di volte e poi comincia ad auto-provocarsi conati di sentenze a non finire, come un fiume.

"Tu, roito!" – urla subito. "Dove sei stato, eh? Ancora, di notte, fuori dalla tua stanza? A fare che, porco? Suppongo con Natalie, o con Chantal, o chissà, è una nuova?"

Faccio arrivare gli occhi dietro alle palpebre. "Con nessuna prostituta, Josephine" – mi stufo, pure a risponderle. "Ma che vuoi? Non ti devo spiegazioni, da venticinque anni a questa parte".

Sciocco!, mi richiama. "Tu a me devi pure la vita, che vai blaterando?" – pare una Tiade tutta eccitata al richiamo delle orge notturne, io non ero Bacco, però! Come urla, poi! Ma che fa, alla sua età? E' un tentato suicidio, questo, oppure è solo fuori di testa?

"Rettifico, sono abbastanza grande da non dover tener conto di te" – mi incrocio le braccia al petto, facendomi ancora più grosso in confronto a lei quando mi raddrizzo sulle spalle per sovrastarla d'altezza.

Josephine, ancora con le guance rosse e le mani strette in due prese forti, si zittisce e, per un momento, temo per la mia incolumità. Questa donna, per quanto minuta e all'apparenza fragile, mi spaventava. Quasi m'atterriva, cogl'occhietti da arpia, sottili sottili, neri, come l'inferno di notte, e la fronte piena di rughe.

Accidenti, se mi spaventava.

"Edward, spero tu abbia pensato a ciò che hai detto abbastanza da pentirtene. E se non l'hai fatto, vedi di provvedere".

Annuisco silenziosamente e con una mossa vergognosa, da gigante grande e grosso che sonno impaurito con i pantaloni bagnati davanti a tale vecchietta raggrinzita come dita sotto l'acqua del torrente. Mi fa entrare dentro casa, chiude la porta e mi impone di sedermi. Prudentemente – non si sa mai – faccio come dice, mi accomodo e mi guardo le mani, ancora con l'affanno.

E mi viene da ridere, tanto. Ma come faccio? Josephine mi caccerebbe da casa se solo emettessi mezzo suono simile ad un risolino, eppure non ce la faccio a trattenermi. Nel frattempo, mentre lei mi squadrava e mi dava i miei cinque minuti di riflessione, il mio membro se la dava alla pazza gioia ricordando assieme a me quante belle cose erano successe. I miei occhi guizzavano di felicità, e la mia mente tentava di ripropormi nella versione più nitida possibile la figura di tanta ingenuità tra le mie mani rozze.

Nemmeno in cent'anni campati in aria avrei pensato, nella migliore delle ipotesi, di ridere di gusto come stavo facendo, di sentirmi colpire ferocemente da quella gioia insensata dritto nel petto, a farmi sciogliere il cuore. Mi sentivo le gambe pesanti, mi facevano male i reni e pure le braccia, che pensate, due ore a stare in quel modo non erano nemmeno tanto comode. Ma quale pensiero, mai fu così inutile come quello appena espresso. Io ero stato il primo, ero stato così tremendamente spudorato da averla sognata prima, per poi rendere tale immaginazione reale come i miei polpastrelli tra le pieghe calde della sua carne.

Solo perché, com'ho detto, sono spudorato. Senza un briciolo di buon senso, non ascoltavo mai quel giusto e poco che dovevo fare, e mi fa strano parlarne al passato, come se ora fosse diverso, quando, in fondo, sono forse più immaturo di quando avevo venticinque anni. Ma si sa, generazioni e generazioni e non te ne vuole uscire uno un po' sbagliato?

Dunque, mentre Josephine era pronta con il braccio sollevato in aria – che quasi usava come mazza – a colpirmi in testa, io lottavo contro me stesso per smettere di ridere in quel modo così sguaiato. Mi guardavo i pantaloni e ridevo ancor di più, non sapevo se per ilarità o perché fossi spaventato fin troppo per volgere gli occhi verso la donna davanti a me.

"Edward, vuoi raccontarmi cos'hai fatto stanotte?" – e abbassò il braccio, mi tranquillizzai.

Mi sedetti sulla sedia in modo più educato, mettendomi una mano sotto al mento con le dita sulle labbra per nascondere il riso che tentava – con ardore, denti e gengive – di venir fuori. Josephine, con scemante pazienza, attendeva risposta.

"Ero con Rose" – mormorai, tappandomi la bocca per le risate tremanti che avevano contagiato le mie precedenti parole.

Josephine, allora, fece un verso di disappunto schiudendo le labbra. "A fare che, da Rose? Quella dolce bambina, a quell'ora, stava dormendo".

E allora, non riuscii a trattenermi più. Feci una grossa risata soffocata dalla mia testa sul tavolo, chiedendo in una supplica a Josephine di non picchiarmi, quasi stavo per volgere le mani congiunte verso il suo petto prosperoso per intonare un cantico a tale dea – da cogliere l'ironia, Josephine era brutta come una buccia di banana dopo tre settimane.

"Mi dici perché ora ridi?" – un po' ridacchiava pure lei, ma era ancora seria.

Dopo essermi ripreso, o almeno in parte, mi passai le mani sul viso. "Rose non dormiva a quell'ora, te lo garantisco".

"E perché mai?"

"La tenevo sveglia io".

Lì per lì sembrò non capire, e nemmeno dopo lo fece, anzi, quasi sembrò trasformare la mia colpa indiretta in qualcosa di poco conto e quasi senza macchia e difetto. E allora andò via.

Quando mi chiusi nella mia stanza, solo per dormire qualche ora – ardua impresa, l'eccitazione riversata poco tempo prima s'era trasformata in un fenomeno diverso, riducendomi le vene in trucioli – mi chiesi come fosse possibile tale sensazione.

Stavo ridendo, sorridevo al soffitto. E mi sentivo leggero, come sospeso nell'aria, forse con più colpe a gravare sulle mie spalle, ma mi sentivo talmente tanto bene.

Poteva un istante costruito d'urla sommesse e graffi superficiali rendere la vita d'un uomo povero tanto ricca?

Era possibile che, momento così proibito, potesse rivelarsi la chiave per aprirsi una strada verso la luce, in una stanza buia?

Come poteva Rose, così giovane e illibata, rendermi così ardente sotto al suo tocco? M'ero acceso, come lei si era avvicinata. Mi ero quasi emozionato, a sentire la sua pelle morbida colpire la mia mille e mille volte, fino a consumare la forza che tenevo negl'omeri e nelle anche. Come aveva potuto, essere così deliziosa? Perché Rose mi faceva star così bene, anche quando mi s'imprimeva nel pensiero?

Non vorrei dire qualcosa di troppo azzardato, ma quasi non ricordavo cosa ci fosse stato prima di lei. Come un punto d'origine che, appena tracciato, annulla ciò che prima di lui è accaduto. Si era presa il mio passato, solo per tenerselo per sé, in tal modo da non rendermi più partecipe anche se ne ero il protagonista.

Dunque ella fu, per non sminuire la sua importanza, fonte di giovamento per la mia persona già dalla prima notte. E ve ne racconterò ancora tante, di notti, ma non confondete questo mio avviso: non sto dicendo di certo che saprete dettagli intimi, delle notti, ma dei pensieri riservati a quattro orecchie soltanto. Alle mani, alle carezze, ai sussurri e alle mille parole soffici. Alle labbra di Rose, color ciliegia, alla sua pelle pallida, ai suoi occhi che rispecchiavano in tutto il suo affetto – in determinata circostanza – nei miei confronti.

Il suo amore troppo da tenere nel mio petto, che me l'ha fatto esplodere. E vi racconterò, quindi, la mia vita.


Ciò che scrivo, di tanto in tanto, ha l'obbiettivo di rispecchiare il meglio. 
E altre volte, ha l'intento di rispecchiare, in un modo o nell'altro, l'affetto, qualora ve ne fosse il bisogno, che nei tuoi confronti è andato crescendo.

Tissu Sale Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora