Strani incontri, quelli di notte.

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Non che ne fossi affascinata, ma il Tamigi era sempre meta di visitatori di passaggio, e mi chiedevo il motivo. Forse per i battelli su cui si poteva fare un piccolo viaggio, o la bellezza delle case del mare, dove solitari avevano trovato il loro rifugio, o forse proprio il colore dell'acqua. Non ne avevo e non ne ho idea, ma sicuramente un motivo c'era.

Era notte fonda, faceva un gran freddo. Il mio alito non faceva in tempo nemmeno a sfuggire dalle mie labbra che si cristallizzava e poi spariva. Ma volevo uscire, non me ne curai abbastanza. Mi infilai i guanti, il giaccone, il cappello e uno scialle, correndo lungo il ponte come una bambina, ascoltando il suono dei miei passi sulle tavole di legno.

Beata nella mia solitudine e nel mio stato abbastanza angosciato non mi curavo nemmeno dei diversi rumori che, alle mie spalle, spezzavano il silenzio.  Lasciai correre, e continuai ad osservare il paesaggio notturno, con i gomiti poggiati su di una ringhiera in ferro battuto, le mani a trattenere la testa sospesa.

Dolce e bel silenzio. 

Dunque, sulla ringhiera del Tamigi ero sola, o almeno, lo credevo. Borbottii, un suono di stivaletti e un paio di spalle imponenti si facevano spazio nel buio. Mi girai a guardarlo, stringeva sotto le braccia lunghi rotoli di quella che sembrava stoffa dai colori appariscenti - messi in risalto dalla luce dei lampioni sul viale. Mi soffermai a guardare i suoi capelli, lunghi e dall'aspetto poco curato.

Tra i denti stringeva un mazzo di chiavi in metallo, camminava velocemente verso una baracca poco più grande di uno sgabuzzino. Fece cadere i rotoli di stoffa sul suolo in pietra e smanacciò con la serratura della porta un po', la spalancò, raccolse i suoi diversi oggetti e si richiuse nel mobilificio, appendendo la torcia all'esterno.

Ero tremendamente incuriosita da quel bizzarro uomo dalle movenze evidentemente alterate e poco garbate. Mi liberai della mantellina e la abbandonai sulla stessa ringhiera su cui mi ero appoggiata, muovendo qualche timido passo verso il piccolo casale. Mi afferrai la gonna tra le mani, e con grande piacere scoprii che la porta non era stata chiusa affatto ma che, anzi, fosse socchiusa. Mi permisi di spingere con una mano il legno vecchio e scricchiolante della porta, misi un piede dentro l'abitazione scoprendo, non del tutto sorpresa, che era tutto in disordine. Un camino era accesso al centro della stanza e nel complesso l'arredamento era ben assortito: vi erano due sedie di legno d'acero, un tavolo da caffè basso anch'esso in legno ed un bel vaso poggiato sopra, contenente dei tulipani secchi dal colore simile a quello della corteccia di un albero bagnato.

Mi girai attorno varie volte, scovando poi delle scale che scendevano. Strano, pensai. Che il mio nuovo sconosciuto si trovasse lì?

Facendo attenzione a non far rumore e tenendomi salda alla gonna, come per farmi forza,  poggiai uno alla volta i piedi sui diversi scalini, ritrovandomi in una stanza illuminata da un'ennesima torcia e il rumore di legno che batteva risuonare nell'aria. Mi sporsi quel tanto che bastò per farmi intravedere le spalle enormi dello strano sconosciuto, coperte solo da una canotta - tutto fuorché pulita come dovrebbe - e i capelli sciolti, troppo lunghi.

Rimasi a lungo a guardare come i muscoli della sua schiena guizzassero sotto la sua pelle color ambra, o come le ossa si muovessero ogni volta che tirasse il telaio verso l'alto. Mi divertii a sentire come fischiettava, o come diverse volte imprecasse quando un filo gli sfuggiva dalle mani.

Poi, si fermò.

Appoggiò le mani sul telaio, e alzò la testa. "Chi diamine sei?", esclamò, facendomi sussultare. Non si girò nemmeno, lo fece solo quel tanto necessario a guardarmi in volto, prima che io potessi alzarmi e scappare via per le scale. Lo sentii mentre cercava di seguirmi, ma ormai ero già all'esterno, l'aria fredda a pungermi il viso mentre correvo col fiato corto e il cuore impazzito nel petto.

Ripensai velocemente a ciò che avevo visto, sentito e alla sensazione di euforia provata nella fuga. Che cosa mi era saltato in mente? Dopo svariati minuti di corsa senza sosta mi fermai, mi voltai per controllare che nessuno mi avesse seguito. Sospirai, prendendo fiato.

Strani incontri, quelli di notte.





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