Capitolo 26

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Solo dopo tre giorni posso tornare a camminare.

Leonardo, il padre di Gaia, ha preferito tenermi al letto.

Sono sola nella stanza, nonostante lui sia il capo reparto, fa rispettare le regole anche a sua figlia e oltre l'orario di visita non la fa rimanere.

Insieme ad Angelica e mia madre, Gaia è andata via da poco, da quel che ho capito vanno a pranzo insieme da più giorni, e la cosa mi rende un poco nervosa.

Mi hanno tolto le bende alla testa e tutto il resto, compreso il catetere.

<<Hey piccola, sono venuta a cambiarti la flebo, come ti senti?>> dice la mia amica infermiera: una ragazza più o meno sui 23 anni, dagli occhi verdi e i capelli rossi carota.

<<Molto meglio, grazie Tes>>

Mentre mi sistema l'ago, Tessa si china e i suoi lunghi capelli rossi sfiorano il mio braccio spoglio, mi fanno il solletico.

<<La tua amica, Debora mi sembra si chiami...puoi andarla a vedere se vuoi >> mi dice con tono dolce.

Lo stomaco diventa pesante e la mente ritorna all'ultima scena che ricordo prima dell'incidente.

Era lei la ragazza dai capelli neri uscita dall'auto blu di mio padre.

<<Grazie, come sta?>> chiedo guardando quegli occhi verdi acido.

<<Non da segni di vita, è attaccata ai macchinari. I genitori stanno pensando di staccare la macchina>>

<<COSA? PERCHÉ?>> chiedo allarmata. Sento il cuore accellerare.

<<È una loro scelta Nora..>> risponde la ragazza.

<<Ma sono passati solo, quanti giorni? Quattro?>>

<<Sette>> pronuncia.

Mi fa un sorriso forzato e mi dice di riposare, ma Leonardo ci raggiunge con la solita cartella clinica in mano.

Tessa lo aggiorna e poi ci lascia da soli.

<<Domani puoi già uscire Eleonora, sei quasi guarita. Dovrei prendere alcuni medicinali e tornare qui ogni quattro giorni>> mi avverte scrivendo qualcosa sulla cartella.

<<Va bene>> alza lo sguardo dal foglio e mi osserva, come se stesse pensando a cosa dire.

<<Sono contento che mia figlia stia con te. Mi è sembrato di capire che sei una brava ragazza e ho visto che ci tiene a te>> mi dice accenando un sorriso paterno.

<<Tengo tantissimo a sua figlia. Io...la amo>> rispondo guardando la sua reazione.

<<Non mi intrometto nella vita privata di mia figlia, ma sono più che sicuro che ti ami anche lei>> dice.

Dopo giorni riesco a sorridere per davvero.

Prima che l'orario di visite inizi, voglio andare nella stanza di Debora.

Sono accompagnata da un infermiera del reparto di rianimazione, mi dice che posso rimanere solo qualche minuto, e poi aggiunge che mi aspetta fuori.

Mi trascino dentro con la flebo e mi siedo accanto al letto. Guardo la ragazza e inizio a piangere.

È stata la mia migliore amica, è stata come una sorella per me, e nonostante ciò che ha detto e ciò che ha fatto, vederla qui, in questo letto, attaccata ad un macchinario rumoroso quasi morta, mi dispiace terribilmente perché io le sono andata incontro.

È qui per colpa mia.

Giorni fa avrei voluto ucciderla e se i genitori decidessero di spegnere la macchina, allora l'ho uccisa.

<<Deb...so che puoi sentirmi>> dico prendendole la mano fredda e pallida << mi dispiace che tu sia qui, non voglio che tu muoia perché sei mia sorella. Anche se sei stata una stronza puttana sfasciafamiglie, voglio che tu lotti e guarisca Deb>> ormai le lacrime scendono da sole e quando sua madre entra nella stanza mi alzo, lasciandole il posto.

<<Come stai Nora?>> mi chiede la signora con un accento americano.

<<Io sto bene. Lei... Non merita di morire. Non faccia spegnere le macchine>> dico con la voce strozzata.

Mi giro e guardo la mia amica addormentata, sapendo che non la sentirò mai più parlare o ridere.

Sembra stia dormendo nella sua camicia da notte, avvolta nella coperta. Ha i capelli neri spazzolati e lisciati sul cuscino, la pelle pallida.

<<I minuti sono passati, deve uscire>> mi dice l'infermiera infilando metà corpo tozzo tra la porta.

Annusico e saluto con lo sguardo, poi esco.

Entrando in camera mi viene sonno, e delicatamente mi sdraio sul letto, abbandonandomi in un sonno senza sogni.

#ELAIA {COMPLETA}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora