cinque

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Un paziente uscì e Archie fece un segno a Brooklyn affinché entrasse nel consultorio.

-Pronta per vedere foto del cielo? -gli chiese amorevolmente.

Lei annuì, ma prima che il suo psicologo potesse prendere la sua cartella con le foto, gli spiegò come due giorni prima aveva visto il cielo reale e come Luke l'aveva aiutata ad essere coraggiosa.

-Quindi un ragazzo è riuscito ad ottenere in un giorno ciò che io non sono riuscito a realizzare in alcuni mesi, a cosa si deve questo? -scherzò e le fece l'occhiolino.

- È... È un mio amico -balbettò Brooklyn vergognata.

-Lo so -Archie rise -bene, iniziamo.

In genere, i sessanta minuti che lei passava lì erano interminabili e angoscianti, ma quel giorno non fu così. Riuscì a guardare una foto per cinque secondi prima di avere le vertigini e questo, nella sua vita, era un grande passo in avanti. Uscì da lì emozionata perché questa volta non avrebbe dovuto mentire a sua madre, ma si sorprese vedendo Luke fuori.

-Ciao-disse un po' contenuta. Si sentiva incomoda sapendo che lui l'avesse cercata giustamente lì -come hai saputo dov'ero?

«Non mi ricordo avergli menzionato l'indirizzo.»

-Ciao, Brooke -sorrise -Ho parlato con Eva e... Stai bene?

-Non mi piace che tu venga qui.

Quando le guance del ragazzo si tinsero di rosso, Brooklyn desiderò ritirare quello che aveva detto.

-Mi dispiace, davvero, non pensavo che ti desse fastidio - la sua voce era un sussurro.

-Va bene, è solo che sono uscita dallo psicologo, Luke -abbassò lo sguardo e sussurrò -: È un po' strano.

-Ma io non ti giudicherei mai -sospirò. Sembrava deluso -dovresti saperlo.

Brooklyn annuì con la testa incapace di formulare qualsiasi frase e per una volta nella vita ringraziò non poter vedere i suoi occhi. Aveva una vaga idea di quello che riflettevano e si sentiva male solo immaginandolo. Non seppe se fu per impulso al guardalo in quel modo o solo volle farlo, ma circondò i fianchi e lo attrasse verso di lei. Lui corrispose l'abbraccio e in questa maniera la loro amicizia divenne ufficiale. Perché tutti sappiano che non c'è nessun altro modo per iniziare un'amicizia, se non con un abbraccio.

-Mi accompagni a casa? -chiuse Luke -voglio farti vedere una cosa.

-Ma... Mia madre...

-Ho già parlato con lei, mi ha detto che puoi venire -la interruppe facendola sorridere per quella considerazione.

-Allora, d'accordo. Andiamo -incominciò a camminare, ma Luke le prese il braccio e la fece ritornare indietro- Cosa succede?

-Due cose, la prima, la mia casa è dall'altra parte -rise.

-E la seconda? -indagò Brooklyn. Lui si avvicinò e le tolse gli occhiali da sole -Che fai?!

-C'è un bellissimo tramonto, il cielo è arancione e io porto i miei così non vedi i miei occhi-e con un sorriso aggiunse -: Non hai scuse, Brooke -facendo sì che il rossore del viso della ragazza combinasse con l'arancione del cielo.

La casa di Luke era così come Brooklyn se la immaginava, non troppo grande, ma sembrava accogliente.

-Allora è qui che vivi -disse perché sentì che doveva fare un commento.

-Qui vivo -affermò Luke -ma oggi non entriamo.

La ragazzo lo guardò esterrefatta. «È uno scrigno di sorprese» pensò.

-Cosa? Mi hai portato a casa tua, ma non entreremo? Perché?

-Sei molto curiosa -rispose lui evadendo dalle sue domande -Non abbiamo molto tempo prima che diventi scuro e io debba portarti a casa. Seguimi.

Passarono dal lato della casa e arrivarono al piazzale posteriore. La prima cosa che Brooklyn vide fu la piscina celeste, ciò che le fece distogliere lo sguardo velocemente per posarlo sull'albero dove Luke era appoggiato in quel momento.

-Vieni -la chiamò -Sali prima tu.

-Salire? -chiese lei deconcentrata, ma quando si trovò al suo fianco comprese a cosa si riferiva -Hai una casetta sull'albero?

Luke arrossì.

-È di quando io e i miei fratelli eravamo piccoli -spiegò velocemente e le fece un segno affinché Brooklyn salisse.

Lei incominciò a salire, ma ogni qualvolta si elevava sentiva che sarebbe caduta. A causa di ciò rimase paralizzata sulla metà dell'albero. Luke frenò sotto di lei e la prese dai fianchi.

-Continua a salire, io ti sostengo -le disse dolcemente.

Lo stomaco di Brooklyn si rivoltò e sentì le sue guance ardere sentendo le mani del ragazzo sostenendola con fermezza.

-Ti senti bene? -questionò lui analizzando la sua faccia quando finalmente arrivarono. La casa non era molto grande e per questo doveva stare in ginocchia. Lei annuì ispezionando il posto, non c'era niente, ma si rese conto che le mura era tutte scritte con pennarelli di diversi colori e a semplice vista sembravano i testi di qualche canzone.

-Voglio che tu scriva il tuo nome -disse lui tendendole un pennarello azzurro, facendo sì che lei trattenesse il respiro.

-Io...

-Sí, Brooke. Tu puoi -vedendo che lei non reagiva, le prese la mano e aprì le sue dita lasciando il pennarello nel suo palmo e, insieme ad esso, un caldo solletico che si esteso per tutto il suo braccio.

Lei rimase a guardare l'oggetto per qualche secondo, agitata.

-Hai le vertigini?

-Un po' -mormorò.

Luke si avvicinò a lei, la fece girare, presa la sua mano avvicinandola al muro e cominciarono a tracciare delle lettere. Scrissero insieme "Brook" e lasciò che lei terminasse.

Dopo che completò il suo nome, la mora si girò con le lacrime agli occhi e tornò ad abbracciare Luke.

-Grazie -singhiozzò. Ancora aveva il pennarello in mano e lo stringeva con forza -non sai quanto significhi questo per me.

-Sì, lo so e per questo voglio aiutarti -concluse lui, soddisfatto con ciò che aveva conseguito.

Rimasero lì, pittando i muri di azzurro fino a quando non divenne scuro. O forse un po' più tardi. Nessuno dei due lo seppe. A nessuno dei due importava. Luke stava rendendo felice Brooklyn. E questo era quello di cui lei aveva bisogno.



DOVE POSSO TROVARE UN LUKE DEL GENERE?

#BRUKE



cyanophobia ➳ hemmings Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora