tre

4.5K 344 109
                                    

Brooklyn chiuse la porta dietro di sé ed espirò tutta l'aria contenuta. Era impaziente di uscire con Luke il giorno dopo.

—Brooklyn? —sua madre apparse sulla soglia della cucina —Possiamo parlare?

Lei solo annuì con la testa e dopo aver lasciato lo zaino sul tavolo, dove in qualsiasi altra occasione Britt l'avrebbe sgridata.

—Credo che ti devo delle scuse per ieri —smise di cucinare e guardò sua figlia negli occhi —Non dovevo dirti quelle cose, so quanto tu ti sforzi. È solo che mi butta giù il fatto che tu non possa fare nulla e che io non ti possa aiutare.

—Va bene, mamma —era ancora emozionata e il tono della sua voce era un po' euforico—so quanto tutta questa merda significa per te.

—È difficile—constatò e dopo cambiò discorso, sapeva quanto Brooklyn odiasse parlare su quello—Com'è andata oggi?

—Bene —non sapeva se raccontarle cosa era successo con Luke, ma finalmente lo fece—: Un ragazzo mi ha accompagnato fino qui, domani farò un giro con lui.

Sua madre represse un sorriso e la ragazza alzò gli occhi al cielo.

—Allora, un ragazzo... Non ti è costato molto farti degli amici a scuola—scherzò.

—Da un giorno parliamo, non so se si possa considerare mio amico —e dopo una pausa aggiunse —: E c'è un problema.

—Quale?

—Ha gli occhi celesti —rispose e la sua voce si ruppe considerando questo come un conflitto.

—Oh, Brooklyn. Vieni —l'abbracciò con affetto.

Il suo pomeriggio dallo psicologo fu così demoralizzante e disastroso come quelli precedenti. Aveva perso il conto di quante volte aveva visto foto del cielo cercando di perdere almeno un po' di paura. Evidentemente, non funzionava. Uscì con il cuore che batteva a mille e respirando molto veloce. Per tutto il tragitto verso casa sua si morse il labbro per non piangere davanti a sua madre e riuscì a calmarsi sufficientemente per non farlo nella sua camera. Quello che sì fece, fu pensare come sarebbe essere un'adolescente di sedici anni normale, poter uscire da qualsiasi parte senza che portarsi dietro gli occhiali da sole, poter vedere il cielo, cercare una forma alle nuvole... Vedere i suoi occhi senza svenire. Chiuse i suoi con forza per allontanare tutto quello dalla sua mente e si addormentò. Il giorno dopo, sua madre si offrì per portarla a scuola.

—Ricordati che non ritornerò presto —le disse prima di scendere dalla macchina.

—Buona fortuna —fu la risposta di Britt.

Non si può dire che il giorno passò velocemente. Brooklyn sentiva lo sguardo di Luke fisso sulle sue spalle, ma misteriosamente, non la faceva sentire imbarazzata. Si chiedeva cosa avrebbero fatto quando sarebbero usciti da lì, era inquieta e felice allo stesso tempo.

Rimasero di nuovo soli nella classe.

—Sembra che questo stia diventando un'abitudine— disse Luke quando apparse al suo fianco con i suoi occhiali e sorrise.

—Una bella abitudine—affermò lei ridendo.

Uscirono da lì senza dirigersi da qualche posto in particolare. Conversavano di cose normali, delle loro vite, cercando di conoscersi. In qualche momento, Luke tornò a chiederle qualcosa sul suo problema.

—Mi hai detto che i trattamenti per la tua fobia non hanno alcun effetto su di te, sai perché?

—No. È da un paio di mesi che il mio psicologo cerca di mostrarmi foto che contengono il colore azzurro, a dire il vero, sono tutte sul cielo, e invece di perdere il mio timore, sento ogni volta più paura.

—E perché continua a farlo se non serve? —realmente sembrava interessato.

—Perché funziona così con tutte le persone cianofobiche —sospirò —suppongo che vuole che funzioni anche con me. Ma credo che ti sei accorto che evito il cielo costantemente, continuo a sentire una grande impotenza sapendo che si trova su di me —torse la bocca con una smorfia di disgusto.

Luke si fermò e lei lo guardò confusa.

—Brooke, ho un'idea, seguimi —esclamò emozionato, la perse dal braccio e a continuazione, uscì correndo.

Corsero fino ad arrivare ad un parco solitario che lei non aveva mai visto. Maledisse Luke perché correva veloce e tra sospiri, si avvicinarono ad un albero. Lasciarono gli zaini sotto ad esso e lui la prese di nuovo dal braccio per allontanarla dal tronco.

—Voglio che tu provi a fare una cosa, sai fare la verticale? —le chiese allegro.

—Che? No, perché me lo chiedi?

Luke ignorò le sue parole e rimase in piedi meditando per qualche minuto.

—Appoggia le tue mani sull'erba, io ti sostengo le gambe.

—Perché? —questionò Brooklyn. Lo guardò, ma non ottenne risposta. Deconcentrata, fece quello che il biondo le chiese. Sentì come il sangue si accumulava nelle sue guance quando lui strinse le sue gambe e le alzò.

A causa della fisica, i suoi occhiali caddero e vide il cielo, che adesso non si trovava sopra di sé, ma sotto. Le sue braccia tramarono e Luke la prese più forte. La sua paura era lì e cominciò a sentire delle palpitazioni, ma percepiva che il suo terrore era abbastanza controllato.

—Non mi lasciare—esclamò lei impaurita.

—Non ti farò cadere, ma tu mantieniti in equilibrio —Brooklyn si abituò a quella sensazione e sorrise chiedendosi perché si sentisse così potente.

—Perché sto facendo questo? —domandò fra le risate.

—Perché ti fa paura che il cielo si trovi sopra di te— non lo vedeva, ma intuì che stava sorridendo —. Adesso lo hai ai tuoi piedi.

Lei ritornò in piedi, si rimise gli occhiali e lo guardò. In quel momento desiderava vedere i suoi occhi più che mai. Voleva vedere l'espressione di Luke quando parlava.

—Non lasciare che qualcosa ti fermi—le disse dolcemente e si avvicinò di più a lei —. Sempre puoi affrontare le tue paure, non importa quali siano.

Rimasero la maggior parte del pomeriggio in quel parco, parlando e ridendo. Quando incominciò ad oscurarsi, Luke l'accompagnò fino a casa sua, ma questa volta non rimasero in silenzio.

—Grazie per questo pomeriggio, Luke —gli disse la ragazza— è stata molto bella.

—Grazie a te, Brooke. Sono stato molto bene con te —inconsciamente, le spostò una ciocca di capelli dal suo viso e lo mise dietro il suo orecchio. Quando si rese conto di quell'azione, le sue guance arrossirono selvaggiamente e abbassò lo sguardo. Il sorriso di Brooklyn fu un miscuglio giusto tra timidezza e tenerezza.

E quella volta, fu lei quella che depositò un bacio sulla guancia del ragazzo.



Spero che io lo stia traducendo bene, scusate per i vari errori o cose del genere. Appena avrò più tempo la correggerò tutta. Spero sia tutto chiaro, fatemi sapere.

CHI LI SHIPPA? VOGLIO LO SHIP NAME SU SU

devo scrivere per agosto una short story e non so se farla su luke o su cal. aiutoo.

cyanophobia ➳ hemmings Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora