Kate
Lucenti stelle illuminavano il cielo di notte a New York. Un cielo oscuro e tenebroso, così bello da guardare e lontano da raggiungere.
Un'oscurità infinita di cui ero avvolta mi teneva prigioniera da sette mesi.
Solitudine e depressione erano diventate le mie amiche più intime.
Ero prigioniera di un mostro dal viso con lineamenti perfetti e incantevoli.
Un mostro che mi teneva come una principessa nella torre. Passavano giorni e giorni ed io speravo, sognavo che un giorno, o una notte, sarei uscita da quell'inferno. Speravo che qualcuno sarebbe venuto a prendermi, ed invece me ne stavo sempre lì, ascoltando il silenzio che mi avvolgeva pensando a quanto dovessero soffrire i miei più cari.
Pensavo che andasse bene comunque, che fosse solo un’altra notte, che avrei superato tutto, persino l’essenza della persona che più amavo. Invece sbagliavo, perchè certe cose non si superano, non si riesce neanche a liberarsi dei problemi perchè restano lì, aggrappati e fanno compagnia anche quando ormai gli occhi sono chiusi. Avevo sperato con tutta me stessa che finalmente, chiudendo gli occhi, avrei messo a tacere i pensieri e invece erano loro che mettevano a tacere me. Avevo accettato tutta quella bugia e speravo di addormentarmi il prima possibile. Stringevo le palpebre, come quando da piccola avevo paura di qualcosa e allora pensavo che bastasse chiudere gli occhi per far sparire tutto.
Ma in quel momento capii che le cose arrivavano da dentro, che i cuori si rompevano, le cicatrici non se ne andavano, le assenze erano più forti delle presenze e che non importava, perchè alla fine passava tutto, anche quando sembrava non esserci via d’uscita.
Io aspettavo la luce, in fondo a quel tunnel ma non potevo restare ferma, dovevo correre per riprendermi la mia vita, dovevo avere la forza di combattere, la forza di farcela. Il mio cuore era stato spezzato così tante volte che mi ero ritrovata a fare a pugni con i miei mostri, con i miei silenzi. Mi ero ritrovata seduta su un pavimento freddo e pensai di essere sola, di non aver nessuno. Avevo battuto i pugni e mi ero resa conto che tutte quelle persone che dicevano che non mi avrebbero fatto del male alla fine, invece, lo avevano fatto.
Mi sentivo un enorme errore, uno di quelli grandi che non dovevano essere commessi un'altra volta. La vita mi aveva messo davanti una prova per farmi capire se ero abbastanza forte per sopravvivere.
E allora avevo dimostrato che ero capace di camminare senza ricevere per forza l’aiuto di qualcuno. Avevo fatto in modo di arrivare in alto con le mie mani e con le mie forze. Avevo imparato a non avere paura di vivere, di provare, di urlare, di sbattere i piedi e di fuggire.
Però, avevo anche imparato che a volte non si vince, ma si perde.
Io avevo perso e, pur quanto avessi lottato per uscirne fuori, il mio incubo si era realizzato fin troppo presto.
Mi aveva inghiottito verso gli abissi più oscuri e mi aveva legata.
Tutta la mia vita era stata cambiata all'improvviso, senza neanche avvisarmi.
Non sapevo più chi fossi.
Sapevo solo di essere morta, lo avevo visto con i miei stessi occhi e mi venivano i brividi ogni volta che ci pensavo. Mark mi aveva trasformata in un inganno, in cui tutti ci avevano creduto. Me ne stavo da sette mesi interi a guardare sempre lo stesso paesaggio, file di grattacieli pazzeschi e strade affollate mi danzavano sotto gli occhi. L'appartamento in cui vivevo da sette mesi si trovava in un altissimo grattacielo, che permetteva di avere una visuale fantastica della città. Non uscivo mai, se non sul terrazzo o sul balcone per respirare un po' d'aria. E, quel poco d'aria che entrava nei miei polmoni, non mi faceva sentire libera.
Anzi, mi dava solo una sensazione di malinconia e mancanza. Mi mancava la mia città, la mia scuola, i miei amici, mamma, Jack...
Justin...
Chiusi gli occhi sospirando, ma li aprii di scatto quando sentii la porta aprirsi. Non mi girai, non volevo vedere quel viso bello quanto il sole, ma stronzo come un buco nero nello spazio. Lui era il diavolo che mi teneva in quella casa da sette mesi, ma aveva le sembianze di un angelo.
《Bambolina.》mi chiamò con il suo tono dolce e calmo.
Contrassi la mascella e continuai a guardare la città, ignorandolo.
Per tutto quel tempo mi aveva tenuta lì in ostaggio, imponendomi di uscire di casa, di usare cellulari o di vedere la tv. Potevo solamente mangiare, bere, dormire e leggere qualcosa.
Sentii la porta chiudersi e dei passi che si avvicinavano. Mark buttò qualcosa sul letto e si avvicinò a me.
Ormai la sua presenza non mi metteva più paura, ero abituata anche quando alzava le mani su di me.
Ormai io non ero più nessuno, non m'importava più di quello che mi faceva. La cosa che più mi sconvolse era stata quando, dopo che mi aveva portata a New York, non aveva mai osato violentarmi. Aveva persino paura a toccarmi. Solo a volte...
《Cosa hai fatto oggi?》mi chiese, dopo essersi seduto accanto a me. Mi scostai quando la sua mano sfiorò i capelli. Mi disgustava ogni cosa facesse. La maggior parte delle volte tendeva ad essere tutto dolce e sdolcinato e odiavo quel suo lato. Mi faceva pensare che potesse farmi qualcosa di brutto da un momento all'altro, come quando gli chiedevo delle spiegazioni e lui a quel punto mi picchiava.
Ignorai la sua domanda, come facevo sempre e posai lo sguardo su una chioma d'albero vicino alla casa.
《Vuoi rispondermi?》chiese di nuovo usando sempre il tono calmo.
Ma che problemi aveva?
Era da sette mesi che si comportava sempre così. Sapeva benissimo la cazzata che aveva fatto, eppure faceva finta di niente. Il suo bipolarismo non cessava mai, a volte mi dava tutto lo spazio che volevo, non mi costringeva a fare nulla e aveva anche pazienza, altre volte invece si infuriava anche per una cosa che io non c'entravo e alzava le mani su di me. Subito dopo si rendeva conto di quello che mi aveva fatto e cominciava a scusarsi ripetutamente fino a piangere.
Mi stava davvero stancando il suo comportamento. Anche se nella maggior parte del tempo mi trattava bene, io non lo volevo accanto a me. Volevo solo Justin.
《Va bene.》disse e si alzò dal pavimento. Stava per entrare nel bagno ma si fermò di nuovo.
《Ah dimenticavo...》
Mi girai di poco per guardarlo con la coda dell'occhio.
《Domani ritorniamo a Los Angeles, a casa nostra.》
Non potei credere a quello che disse. Mi girai di scatto verso di lui con il cuore che stava iniziando a battere fortemente.
Il suo viso era illuminato dalla calda luce della lampadina sul comodino.
Sul suo volto apparve un sorriso.
《Ah, ora mi calcoli?》alzò le sopracciglia. Dalla voce sembrava divertito.
Mi alzai lentamente dal parquet e lo fissai. Avevo sentito bene?
《Dove... dove andiamo?》
《Mi hai sentito bene, a Los Angeles.》
Sbattei le palpebre incredula.
Ie lo avevo chiesto un sacco di volte se avrei mai rivisto la mia famiglia e lui mi rispondeva di no.
Avevo aspettato e aspettato come un'illusa che succedesse qualcosa, ma niente. E dopo tutto quel tempo finalmente potevo rivedere la mia città.
《Dici sul serio?》avevo gli occhi lucidi. Non potevo crederci.
《Si.》mi sorrise avvicinandosi.
《M-ma io... sono morta. Cioè tutti mi credono morta.》balbettai.
Come potevo tornare lì se tutti pensavano che io fossi morta?
《Infatti non lo sapranno.》
Arrivò davanti a me, prendendomi il viso fra le mani. Io lo guardavo con la vista appannata. Non avevo mai pianto per tutti quei mesi e, sentendo le lacrime agli occhi, fu una sensazione che non provavo da tempo.
《Cosa vuoi dire?》sussurrai.
Lui mi accostò due ciocche dal viso mentre mi guardava con amore.
《Dobbiamo lasciare questa città, le cose si stanno facendo male. Staremo a Los Angeles solo per un po' di tempo.》
Aggrottai la fronte.
《Cosa?》
《Dopo ce ne andremo in un'altra città, dove potremo restare solo noi. Insieme.》sussurrò avvicinandosi ancora di più al mio viso.
《No..》mormorai levando le sue mani dal mio viso.
《No, non voglio.》indietreggiai.
Per mia sorpresa non si arrabbiò, si limitò a guardarmi supplichevole.
《Kate, non farmi arrabbiare.》disse calmo. Ma io non volevo più vivere quella vita, soffrire in quel modo.
《Mi stai dicendo che non potrò vedere mia madre, Jack?》Justin, pensai...
Lui scosse lentamente la testa.
Una delusione profonda mi attraversò il petto colpendo fortemente al cuore.
Mi mancavano così tanto...
《Mark, sono la mia famiglia, non credi che meritino di sapere la verità?》strinsi i denti.
Lui abbassò lo sguardo, sentendosi probabilmente colpevole.
《Mi dispiace.》sussurrò.
《Come puoi avere fatto una cosa simile?》urlai, sentendo la rabbia scorrermi come lava nelle vene.
Tutta la rabbia e l'ira che si erano accumulate dentro di me per tutti quei mesi stavano uscendo fuori.
Lui alzò la testa.
《Ti ho detto che mi dispiace.》mormorò indicandosi con l'indice il petto. Lo guardai incredula.
《Ti dispiace? Ti dispiace?!》urlai.
Lui indurì la mascella.
《Kate, smettila.》
Avrei voluto anche io smetterla, ma ero troppo incazzata.
《Per tutto questo tempo mi hai tenuta prigioniera, mi hai tenuta lontana dalle persone, da tutto!》
Presi un profndo respiro e guardai fuori dalla finestra. Quella bellissima città era in grado di calmarmi.
《È così che ti senti?》chiese.
Sentii il suo corpo avvicinarsi a me.
Mi rigirai e gli misi un dito contro.
《Non avvicinarti! Non osare avvicinarti!》strinsi i denti.
Lui si fermò alzando le braccia, come segno di resa.
《Sai che non voglio farti del male.》
Mi si strinse il cuore vedendo il modo in cui mi guardava. Sembrava una persona normale, come se non avesse più problemi. Scossi la testa.
《Invece l'hai fatto. Anche troppe volte.》risposi con freddezza.
Dopo tanto tempo mi stavo sfogando, avevo accumulato in me troppe cose e prima o poi la bomba avrebbe dovuto esplodere.
Lui chiuse fortemente gli occhi e si prese i capelli fra le mani, girandosi dalla parte opposta.
《Mi dispiace.》le sue spalle cominciarono a tremare.
Non mi fece pena sapendo che stava piangendo. Avevo visto quella scena un miliome di volte.
Era come se dentro di lui avesse due persone. Un demone e un angelo.
《Non voglio andare a Los Angeles.》
Mi sorpresi da sola di quello che dissi, ma era la verità.
Lui si girò guardandomi con le sopracciglia inarcate.
《Cosa?》
《Non posso farlo. Non posso.》dissi piano scuotendo la testa.
《Preferisco rimanere qui che andare nella mia città sapendo che non potrò vedere la mia famiglia e i miei amici. Tanto vale che mi uccidi, no?》urlai l'ultima frase sentendo cadermi il mondo addosso.
《Cosa? Come puoi dire una cosa simile?》sgranò gli occhi.
Ridussi la bocca in una linea sottile e abbassai lo sguardo.
《Che senso ha vivere ancora?》lo guardai.
《Tutta la gente sa che io sono morta, non voglio ritornare lì sapendo che mia madre probabilmente starà ancora piangendo sulla mia falsa tomba!》urlai di nuovo.
Negli occhi di Mark intravidi un guizzo di tristezza, delusione..
《Sei un malato.》sussurrai piano.
《Io ti amo.》sussurrò anche lui.
Con una smorfia mi girai di nuovo verso la finestra. Odiavo quelle parole.
《Mi ami a tal punto di far credere a tutti che io sia morta, imponendomi di vedere la mia famiglia e tenendomi prigioniera qui?》cercai di fargli notare tutto quello che aveva creato.
《Come puoi amarmi?》sputai acida guardandolo. Quello non era amore.
Mark sembrava un piccolo bambino che veniva sgridato dalla madre.
Se ne stava a testa bassa pensando, almeno credo, a tutti gli errori che aveva commesso.
《I-io... non volevo fare tutto questo. Non... volevo creare...》
《Sta zitto!》urlai frustrata. Ne avevo abbastanza di tutti i suoi pentimenti, se tanto alla fine faceva altri errori ancora più gravi. Non era capace di mettersi d'accordo con la sua mente, di pensare a qualcosa di buono.
Pensava solo a lui, non a me.
Voleva essere felice solo lui, a me non ci pensava.
Mark abbassò la testa e indurì la mascella. Lo avevo fatto incazzare, lo vedevo, lo sentivo. Alzò lo sguardo e i suoi occhi mi catturarono in pieno imprigionandomi nel suo inferno.
Divennero spenti come la notte e come il suo animo, oscuri da tutto quello che lo circondava. Lui non sapeva cosa fosse il vero amore, cosa fosse la felicità. Non poteva mai saperlo, se aveva fatto tutta quella cazzata.
《Io sto facendo tutto questo per noi, l'ho fatto per essere felici e lontani da tutti.》si avvicinò.
Risi amaramente e incrociai le braccia al petto guardando da un'altra parte.
《Ti sembra che io sia felice?》strinsi i denti. I suoi occi divennero ancora più scuri e il modo in cui mi guardava non prometteva nulla di buono.
《Tu mi ami, devi amarmi. Sarai felice, te lo prometto.》mi prese la mano, ma la levai come se fossi stata scottata dal fuoco.
《No, non potrò mi esserlo.》scossi la testa. Lui mi afferrò il collo all'improvviso. Sussultai e non ebbi il tempo di reagire, che mi buttò sul letto in modo violento.
Se ne andò in bagno sbattendo la porta fortemente, da far tremare i muri. Io rimasi lì senza muovere un muscolo, cercando di far ritornare il mio respiro regolare. Mi aveva spaventata quando mi aveva afferrato il collo, avevo pensato che mi avesse menata di nuovo.
Mi sdraiai su un fianco e guardai la città, e mi addormentai con i suoni della città che presto avrei lasciato e avrei rivisto quella vecchia.
Avrei mai rivisto Justin?
YOU ARE READING
Maybe is Possible || JB [SEQUEL]
FanfictionII LIBRO Continuo di "Love is Impossible || JB" Un dolore così profondo nel cuore, come una tempesta di proiettili pieni di sofferenze e dolori... Una vita cambiata e un cuore infranto... Era iniziato tutto da un semplice sguardo. Justin crede che è...
![Maybe is Possible || JB [SEQUEL]](https://img.wattpad.com/cover/59547222-64-k805801.jpg)