16 - Era un po' che il cuore voleva

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Osservai la casetta in rovina per un tempo infinito. L'edera sui muri, le finestre sigillate, la porta cigolante... Era tutto così familiare, così nostalgico. Quel posto era stato il mio inferno e il mio paradiso. Era il luogo dove avevo sofferto e dov'ero cresciuta. Era il mio campo di battaglia, teatro della lotta alla sopravvivenza durata anni e anni, ma era anche il mio rifugio. Ci avevo impiegato un po' a farmi amica la natura, ma una volta stabilito un contatto con essa, non ero stata tradita. Potevo fidarmi delle foglie, delle rocce e del vento. Gli umani mi avevano pugnalata alle spalle, il bosco no.

Entrai in casa ed era ancora tutto lì: il tavolo di legno nella cucina, le armi appese al muro, gli armadi pieni di vestiti rubati. Impugnai l'arco, mio fedele compagno di caccia, e mi diede una scarica d'adrenalina. Sembrava che fossero passati secoli dall'ultima volta che avevo incoccato una freccia.

La vita alla villa era molto più comoda, certo, ma non mi dava la stessa sicurezza della casetta nel bosco. Evidentemente per Ryan non era lo stesso.

Allungai la mano verso la faretra e ne estrassi una freccia dalla punta affilatissima. Incoccai e tesi l'arco, mirando verso la soglia di casa. Derek era lì, con la schiena dritta e la postura impeccabile come sempre. Aveva corso per raggiungermi, ne ero certa: i capelli erano scompigliati, i pantaloni sgualciti e la camicia in disordine. Se non fosse stato per quei dettagli, però, non si sarebbe mai detto che avesse appena percorso tutto il bosco correndo. Non aveva il fiatone né era sudato, non appariva minimamente stanco. Un altro superpotere di Derek Scott: la perfezione assoluta in ogni situazione.

Puntai alla sua testa e lui si avvicinò incurante del pericolo. Tra di noi, solo il tavolo.

-Déjà-vu.- disse incollando il suo sguardo su di me.

Questa volta non c'erano i suoi scagnozzi a difenderlo. Bastava scoccare la freccia e puf, la fonte dei miei problemi cadeva bell'e stecchito sul pavimento.

Abbassai l'arco. Sapevo bene che Derek Scott non era la vera fonte dei miei problemi. Forse la sua comparsa nella mia vita era stata un'aggravante, ma mi aveva permesso di far luce sul mio passato.

-Hai davvero vissuto in questo posto?- domandai. La sua stanza a Zelum era grande quanto tutta la casa del bosco, forse di più. Non ce lo vedevo a vivere lì.

-Sì. Quando ero bambino passavo spesso l'estate in questa casetta coi miei nonni materni. Erano persone semplici e umili e, anche se mio padre aveva comprato loro una casa a Zelum, tornavano qui ogni anno.- Stare a sentire i racconti dell'infanzia di Derek era... strano, solo strano. Facevo fatica a immaginare un pinguino in miniatura trotterellare a piedi scalzi tra le pareti ammuffite della casupola.

-Tuo padre non ha sposato una nobile?-

-No, mia madre era la figlia di due contadini di Cockscomb. I miei nonni hanno risparmiato abbastanza soldi per pagare i suoi studi a Zelum e lì ha conosciuto mio padre.-

Poggiò la schiena al muro -addio camicia bianca- e assunse la stessa espressione che aveva nei rari momenti di condivisione.

-Qualcosa non torna. Se tuo padre ha sposato una ragazza normale, perché voleva che tu sposassi una nobile?- Più mi addentravo nella mente contorta dei ricchi e meno capivo!

-Suppongo che ai tempi non era ancora entrato nella logica subdola del mondo degli affari. D'altronde quando si sposò non aveva nulla da temere.-

-Che intendi dire?-

-La famiglia Scott e quella dei Molloy, come sai, sono sempre state rivali. Mandavano avanti una lotta al potere essenzialmente innocua, dove il massimo del rischio consisteva nel perdere un carico di merci straniere. In quel periodo a nessuno importava chi sposasse chi. Ma poi Richard Molloy prese le redini dell'impero della sua famiglia e tutto cambiò. Avere il popolo dalla propria parte divenne più importante che mai ed è risaputo che i matrimoni creano alleanze. E le alleanze aumentano il potere. Per questo motivo mio padre desiderava che io prendessi in moglie qualcuna come Emily Gentry.-

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