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Ventuno novembre. Giovedì. E diciannove anni. I miei.

Mi guardo: osservo il riflesso nello specchio esattamente di fronte a me. Non faccio nulla, non mi avvicino e non mi allontano. Non sorrido, non piego le labbra in nessun modo e nessuna espressione contorna il mio volto. Continuo a guardarmi.

Mi guardo e vedo più di quanto vorrei. Più di quanto dovrei.

Mi guardo e vedo la forma del mio viso, il colore chiaro della mia pelle, i capelli lunghi sciolti sulle spalle e sul petto. Guardo i miei occhi, poi inizio a vedermi.

Mi vedo e non ci sono soltanto io, non c'è più questo bagno, quello di casa mia. Non c'è più questa luce bianca che odio, non c'è più questo silenzio ma non c'è neanche rumore. Non sento niente, eppure sento tutto allo stesso tempo. È davvero possibile? Voglio davvero non sentire più niente?

A volte è più semplice. A volte devi farci l'abitudine, altre volte ne sei costretto. Quelle volte devi farlo e basta, non è vero che hai una seconda possibilità, che c'è sempre una scelta. A volte semplicemente non puoi scegliere.

Poi chiudo gli occhi. Ci sono ancora io, insieme a Nina che non mi guarda neanche per errore, che si porta dietro il rancore e l'orgoglio che ci accomuna. Insieme a mia madre e alle sue lacrime, a mio padre e al suo silenzio e a mio fratello e al suo dolore.

Io invece sono solo io. Mia.

Amo e odio il mio nome, e amo e odio che pensi sempre così dannatamente tanto, che abbia sempre pensieri che si scontrano nella mente che fanno rumore e che mi tengono sveglia, ma che non sono abbastanza da tenermi in vita.

Diciannove anni. Cristo.

Diciannove anni e non so neanche come ci sono arrivata qui, perché quello che ho fatto è stato soltanto arrivarci. Non ho fatto niente per cui ne valesse la pena, niente che mi porti ad essere orgogliosa e niente che porti gli altri ad esserlo di quella che sono per essere arrivata dove sono ora.

Diciannove anni. Buon compleanno a me.

Non li ho mai amati i compleanni. Non ho mai amato stare in mezzo alla gente e non ho neanche mai amato le sorprese, ma forse perché nessuno si è mai messo in gioco in questo modo per me.

Poi ci sono le piccole cose, e c'è che mi odio per esserne così fottutamente legata quando non dovrei, quando fingo di non esserlo.

Fingere mi sta riuscendo meglio di quanto credessi, e persino mia madre non si rende conto di niente.

Proprio lei, che le bastava uno sguardo per leggermi dentro. Forse si è arresa davvero, forse neanche per lei ne vale più tanto la pena.

Interrompo il contatto con me stessa per recuperare l'elastico nero; lo allargo tra le mani e mi raccolgo i capelli, perché odio anche loro. Li odio ma non trovo il coraggio per tagliarli, perché so che se tagliassi tutta quella parte che vorrei eliminare allora se ne andrebbe anche tutto quello che mi porto dietro, quello che sento pesarmi sulle spalle e che mi preme dentro, ma che non riesce a lasciarmi andare.

Guardarmi non mi piace. Vedo esattamente tutto quello che sono e che non vorrei essere. Tutti gli anni vissuti e le esperienze fatte, che non sono niente rispetto a quello che non sono riuscita a vivere in tempo e che mi sono fatta scappare.

Cambierei così tanto, eppure ne sono terrorizzata. E odio anche questo.

Cambierei il mio corpo in ogni singolo centimetro e il colore della mia pelle. Cambierei la forma delle mie sopracciglia e quella dei miei fianchi, delle mie gambe e delle mie caviglie. Cambierei il colore dei miei occhi, la curva e la grandezza del mio naso, le mie spalle troppo larghe e le braccia.

C'è soltanto una cosa che non cambierei, che terrei con me per sempre, perché è l'unica imperfezione che mi sporca e che mi ricorda chi sono. Chi sono stata e quello che ho perso.

Sollevo il braccio e l'inchiostro nero si rivela e si mostra i miei occhi, sicuro e in contrasto con la mia vulnerabilità. Traccio i contorni con le dita. Finisco la prima, poi passo alla seconda, e infine alla terza.

Tre.

Nessuno lo sa davvero, e non lo sapevo neanche io fino al momento in cui ho deciso di imprimerle sulla mia pelle.

Tre volte.

Le volte in cui ho capito che ne valeva ancora la pena, che ho ancora troppo da perdere anche se mi sembra di non avere niente. Tre volte dove c'ero soltanto io, e dove soltanto io ho deciso che quella non doveva ancora essere la fine di qualcosa che non è neanche iniziato.

A/N

Se ad alcune di voi sembra familiare, è perchè ho ripescato la vecchia Human dalle bozze e ho cambiato un po' di cose, a partire dal titolo alla trama in sè. Rientra nella categoria fanfiction, ma non sarà una fanfiction vera e propria, perchè non sono ancora sicura di tutti i volti che userò.
Cercherò di fare meno spazi del genere possibili e spero davvero vi piaccia perchè ci tengo proprio tanto, è qualcosa di più complesso e sentito rispetto a tutto quello che ho scritto fino ad ora.

Sempre con voi,
september199six.

𝐔𝐓𝐎𝐏𝐈𝐀 [𝐇𝐚𝐫𝐫𝐲 𝐒𝐭𝐲𝐥𝐞𝐬]Where stories live. Discover now