Settimana N - AMADRIADE MNEMONICA

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AMADRIADE MNEMONICA

Forse era ieri notte, o forse no.
Ho fatto un brutto sogno però; non che di solito i miei sogni siano grandiosi, solitamente non sono male, anzi nemmeno quello era male, era un brutto sogno però e c'eri tu.
Si può dire che era un sogno normalissimo, ma c'eri tu lì con me, quindi non lo fu più.
Era un sogno inconsistente come tanti, tant'è che non so come sia cominciato, o come siamo finiti lì, ma c'eravamo: entrambi e qualcun altro che non ricordo, pochi altri, volti vuoti.
Non so a che evento sportivo fossimo e per quale ragione vi prendessimo parte insieme, o perché tu abbia accettato la mia presenza lì, ma c'eri tu e c'ero io e c'erano quei pochi altri negli spogliatoi, e ci denudavamo.
Ho evitato di parlarti nel sogno, sapevo cosa ti avevo fatto, come lo sapevi tu, sapevo anche cosa ti avessi fatto dopo e te ne ricordavi anche tu.
Stupide poesie.
Ripeto non parlavo e non ti guardavo, anzi ricordo di aver evitato in ogni modo di entrare in contatto con te, tu forse altezzosa mi ignoravi di rimando: lo capivo benissimo.
Quando arrivai a togliermi le mutande mi sedetti sulla panca, non so perché ma le ho sempre tolte così; non ho mai provato a guardare quelle nudità che conoscevo così bene e che tante volte avevo sfiorato, mentre mi toglievo le mutande però tu ti sedesti accanto a me e la mia mente si perdette dietro ai perché. Ormai eri nuda anche tu e mi chiedo come mai, invece che al tuo sesso pensai alle poesie che ti avevo come un folle recapitato: pensai a quanto fossi stato stupido, a quanto ti avesse fatto male la cosa a quanto mi odiassi per l'intrusione nella tua vita privata. Pensai diamine sono un cretino fallito per lei e ora anche due volte stronzo per come mi sono comportato.
Ricordo distintamente: eri nuda anche tu; seduta accanto, alla mia destra, e dandomi le spalle scavalcasti con una gamba la panca, la tua schiena era a mezzo metro da me. Vedevo attraverso i tuoi capelli l'incavo del collo su cui tante volte avevo portato il mento liscio e pensavo alle poesie: non quelle di quando eravamo insieme, no quelle no!, non erano che artifici di stile, parole; no, pensavo a quelle venute dopo e che forse tu avevi letto prima di cancellarle dalla mente, forse piangendo rancorosa o senza espressione. Non posso saperlo.
Quindi pensavo alle poesie ed ero distratto e tu strusciasti sulle tue natiche all'indietro fino ad urtare me; senza pudore ti abbracciai con la destra, (pazzo stupido mi dissi), poggiai il mento sui tuoi capelli e tu parlasti.
Siamo chiari, non era la tua voce a parlare, non aveva le sue qualità quel che sentii, forse era la mente che comunicava alla mente, non lo so, sono sincero: sono sicuro però eri tu a parlare con me, era come anima ad anima.
Magicamente eravamo soli nello spogliatoio ormai. Nudi. Parlavamo soli! Da quanto lo desideravo...
(Ringraziai la mia mente malsana, sapevo di sognare, forse da sveglio dopo piansi pure, non ricordo.)

Comunque sia stato tu mi parlavi e io ne ero felice, cominciasti con un "Sai", poi continuasti imperterrita, e io non ti fermai almeno per una frase o due.
"Sai tra quelle poesie che mi hai mandato", e io sapevo che sorridevi arrabbiata mentre lo dicevi, sentivo una lacrima corrugarsi lungo una delle tue guance, sembrava una raspa che rovinava un viso dolcissimo, ma il tuo tono era dolce di rimprovero.
"Sai tra quelle poesie che mi hai mandato ce ne è stata una che mi ha fatto piangere", tu parlavi e io mi maledivo: 'Cavolo no, piangere no, non volevo che piangessi' pensavo!
"Sai tra quelle poesie che mi hai mandato ce ne è stata una che mi ha fatto piangere, era bellissima e l'ho odiata come non ho odiato niente nella mia vita: l'ho odiata più di quanto ho odiato te."
Piangevo: non era quello il mio intento.
Eppure lei rimaneva lì accanto a me nel sogno e continuava a parlare, sembrava anche lei volere il mio contatto e maledizione io sapevo che era un sogno e che quella era solo la mia proiezione mentale di lei, ma stavamo parlando finalmente e io non volevo svegliarmi.
Iniziai a scusarmi parlando di stupidità, follia e altre stupidaggini simili, ma lei le ignorò bloccandomi e ricominciò a parlare: "La dovresti pubblicare",  protestai non sapendo di quale poesia parlasse, poi capii senza che lei lo dicesse che tutte l'avevano fatta piangere, ma non mi disse questo, "sì, dovresti pubblicarla così potremmo parlare per davvero: non nudi su di una panca!"
Ora sarebbe bello poter dire che subito dopo mi svegliai con una idea da realizzare, così da poter parlare; non andò così purtroppo: i sogni hanno le loro leggi non scritte e vanno avanti e indietro senza continuità.
Il mio saltò direttamente ad un'altra scena e tu non c'eri più.
Un mendicante questuava al centro della piazza cittadina e si alleava con altri suoi colleghi per scacciare la strega che disturbava la loro questua: vinsero e poco dopo la maledizione della strega cadde su di loro e la Città li bandì dalla piazza al centro della città e mentre il sogno fluiva in quella direzione questo fece un nuovo salto.
Niente più mendicanti e streghe vendicative, o poliziotti con i manganelli a scacciare i primi.
Vi era un uomo che era un vampiro e si nutriva delle anime della gente. Cacciava alle mostre d'arte, nei teatri, per le strade di Parigi, per i vicoli di Roma. Vi era anche una donna, anche lei era un vampiro, quando cacciava era un drago di pezza, dai mille colori, una gigantesca bambola a forma di drago cinese: si nutriva delle emozioni della gente.
Alla fine i due vampiri si incontrarono in caccia, l'uomo mangiatore di anime attaccò la donna-dragodipezza, dai mille colori, e ne uscì vincente: prese, lui credeva, quell'anima; ma la donna fuggì via sorridente, mentre l'uomo uscì dalla mostra sconvolto e triste e maledicente.
E infine mi svegliai, finalmente dopo lo scontro il mio inconscio aveva capitolato e la mia mente mi aveva svegliato. Le guance erano fradice forse di ricordi e forse dopo piansi senza accorgermene ancora.
Ormai non conta: so che pubblicherò quella poesia in un modo o nell'altro e che lei la leggerà ancora.

QUANDO TORNÒ A PARLAREWhere stories live. Discover now