Capitolo 2 - Lavoro

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Aprii gli occhi di scatto, sudata e ancora ansimante

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Aprii gli occhi di scatto, sudata e ancora ansimante. Guardai il soffitto bianco sul quale la sveglia a laser rifletteva in rosso l'ora.

Le sette del mattino.

Un momento.

Ero nella mia stanza?

Toccai le coperte, il viso, il collo e mi tirai a sedere di scatto. Troppo di scatto. La testa cominciò a girarmi.

<<Oh Dio>> mi sentivo stanchissima, come se non dormissi da secoli.

Dovevo alzarmi, vestirmi e andare in facoltà. Non potevo assolutamente perdere la lezione.

Mi tirai pesantemente fuori dal letto e infilai i piedi nelle mie pantofole unicorno. Sorrisi. Le avevo comprate appositamente per farmi quell'effetto la mattina appena sveglia. Quando un unicorno ti fissa con i suoi occhietti strabici non puoi non ridere.

Mi ero dovuta trasferire a causa dell'università, così adesso vivevo sola, in una città che conoscevo non ancora molto bene, ma in compenso avevo fatto amicizia con alcune ragazze. La casa era troppo silenziosa, così accesi il computer e misi su un po' di musica, mentre gironzolavo per casa canticchiando. Mi vestii in fretta, un filo di mascara e matita e via.

Uscii di casa e corsi a prendere l'autobus. Lo vidi arrivare e cominciai a correre più veloce. C'ero quasi...

L'autobus si fermò alla fermata giusto due secondi, poi ripartì in velocità, ignorando le mie urla di aspettarmi.

Fanculo.

Sbuffai e scalciai una lattina che era a terra.

Che stronzo! Ero sicura che l'autista del bus mi avesse visto. Sospirai e guardai l'insegna di una caffetteria là vicino. Era già tardi, l'altro autobus sarebbe passato tra venti minuti, così decisi che rilassarsi davanti un caffè non sarebbe stato tanto male. Non avevo nemmeno fatto colazione.

Mi sedetti al tavolo e subito una cameriera, alta almeno due metri, dalla pelle color ebano e bellissima con i suoi riccissimi capelli neri, mi si avvicinò per prendere le ordinazioni.

Guardai il locale. Era davvero carino. Molto romantico, con le pareti violetto, i mobili bianchi e delle simpatiche tende ricche di merletti che decoravano le grosse finestre. Shabby chic.

Guardai fuori la gente passare. Per lo più erano ragazzini che andavano a scuola o pendolari che usavano i mezzi.

Sobbalzai.

Sul marciapiede di fronte, con dei jeans attillati e una camicetta a quadri, incurante del vento e del freddo, un ragazzo dall'aria familiare stava camminando con le mani in tasca.

Lo guardai perplessa. Non capivo perché ma ero sicura di averlo già visto.

Lui si voltò, come se avesse capito di essere osservato e prese a fissarmi, senza smettere di camminare. Ci fissammo finché non girò l'angolo.

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