Primavera: cambiamenti?

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"Sarei onorato di risolvere il tuo problema."

Non ci potevo credere che fosse già passata una settimana da quando gli avevo detto quella frase.
Ci stavamo baciando sul mio letto della Dalton, le gambe intrecciate e i respiri fusi in uno solo, e le mie mani stavano scorrendo lungo tutto il corpo di Kurt, finalmente libere di poterlo fare.
Quella era stata la settimana più breve della mia vita: il tempo era volato in un attimo, e le ore erano fluite via senza che né io né Kurt ce ne fossimo veramente accorti, principalmente perché avevamo passato gran parte delle giornate analizzando minuziosamente l'uno ogni centimetro dell'altro, soffermandosi in particolare sui nostri corpi, dal momento che conoscevamo già a memoria le fattezze dei reciproci volti.
Non avremmo mai immaginato che potesse risultare così emozionante, così bello...e perfino divertente: sì, perché Kurt soffriva il solletico. L'avevo scoperto a sue spese quando, con una delicatezza quasi tremolante, sfiorai accidentalmente la pelle dei suoi fianchi, e lo vidi sobbalzare trattenendo a stento un gridolino. Da quel momento ovviamente non passò un singolo minuto senza che minacciassi un attacco, e tutte le volte lui supplicava inutilmente pietà, sotto alle mie espressioni affettuosamente divertite, per poi soccombere di risate ancora prima che mi fossi realmente avvicinato al suo bacino.
Devo ammettere che in alcuni momenti, quando il contatto diventava quasi eccessivo, e il mio autocontrollo vacillava senza ritegno, il mio istinto cercò puntualmente di mandare all'aria tutti i buoni principi e il discorso che gli avevo fatto quel pomeriggio di una settimana prima: avevo promesso a Kurt che sarebbe dipeso solo e unicamente da lui, se farlo e quando farlo, passare alla fase successiva, scoprire un nuovo lato della nostra relazione. Perché Kurt aveva un blocco, questo era chiaro: era meno chiaro, però, come avrebbe fatto a superarlo. Quindi l'unica idea che mi venne in mente fu di procedere per gradi: prima di fare qualsiasi cosa doveva acquisire familiarità con il suo corpo, ma soprattutto con il mio. Certo, non nego di essere rimasto piacevolmente sorpreso quando notai di essere stato preso in parola: un giorno, con uno slancio di audacia, lo sentii infilare una mano sotto alla camicia della mia divisa, e indugiare sui miei addominali in rilievo. Lo scontro tra la sua mano fredda e il mio petto caldo provocò a entrambi una fitta di piacere, che incrementò la pressione dei nostri baci e la stretta delle nostre mani intrecciate.
Ma cosa ancora più grande, non avrei immaginato di rimanere così folgorato dal suo corpo. Vivendo in una scuola maschile ero stato da sempre a stretto contatto con corpi maschili e avevo dovuto imparare presto ad abituarmici. Ma avere Kurt, seminudo, avvolto nelle mie braccia, era tutta un'altra cosa.
Grazie ai suoi completi attillati mi ero sognato tante volte il suo torace, e in diversi modi anche; ma la fantasia non fu minimamente paragonabile alla realtà, al momento in cui, con delicatezza, e dopo aver ottenuto una conferma dal suo sguardo, avevo cominciato a sbottonare la sua camicia rosso sgargiante, assaporando con baci sempre più umidi il petto, l'ombelico, i fianchi, gli addominali appena accennati, ma estremamente piacevoli.
Kurt era bellissimo. E non lo pensavo soltanto perché era il mio ragazzo. Era davvero l'essere più bello che avessi mai visto in vita mia. Se non l'avessi conosciuto bene, avrei potuto scambiarlo per un angelo, o qualcosa di etereo. Ma non era un angelo, no. I pochi e chiari peli che lambivano l'addome non facevano altro che ricordarmi quanto umanamente eccitante fosse, dal momento che scendevano maliziosamente in basso, per poi nascondersi sotto all'eventuale cintura firmata. Ma le mie mani si fermavano sempre prima, perché non volevo affrettare i tempi, era già tanto che avesse fatto quel passo avanti e sinceramente non riuscivo ancora a crederci.
E così, man mano che passarono i giorni, i nostri baci cominciarono a diventare più disinibiti, le nostre carezze meno discrete, e non c'era più imbarazzo nei nostri occhi, semplicemente, la voglia di scoprire, di assaggiare il sapore dell'altro, e a dirla tutta, quello di Kurt era talmente buono che talvolta ero io a lasciare dei marchi sulla sua pelle, piuttosto che il contrario. E scoppiai fragorosamente a ridere quando ammise di essere contento di quei succhiotti, perché così aveva una scusa in più per indossare tutte quelle sciarpe che amava tanto.
Kurt era migliorato tantissimo in solo una settimana. Eravamo passati da tranquilli pomeriggi di baci a interessanti pomiciate senza maglietta. Un momento mi stava baciando appassionatamente e il momento dopo si ricordava di dovermi dire qualche novità riguardo al Glee Club, con una tranquillità tale da stupire entrambi. Non era cambiato nulla, nel nostro rapporto. Anzi, ad essere sinceri, era notevolmente migliorato. Baciarci in quel modo, e poi parlare del più e del meno: era bello. Dava una confortevole sensazione di normalità.
Adesso ci stavamo concedendo una riposante "pausa" da studio, sdraiati sul mio letto, e con le rispettive magliette posate a terra. Ed era fantastico.
"Blaine..." esordì il mio ragazzo, tra un sospiro e l'altro, mentre io succhiavo la vena accanto al suo pomo d'Adamo.
"Blaine, se continuiamo così, dovrò comprarmi un altro burro cacao. E questo è nuovo." Specificò, mordicchiando appena il lobo del mio orecchio, abbandonando la presa dalla mia mano per posarla sui capelli ormai scompigliati.
A giudicare dal su granché, quindi ignorai quel commento e continuai a dedicarmi al suo collo, lasciando una scia di baci umidi che si diressero sempre più velocemente verso il suo petto.
Lui gemette a quel tocco, e inarcò un poco la schiena permettendo di cingergli il fianco con un braccio e tirarlo verso di me, mentre l'altra mano passò lungo i suoi capezzoli, per poi fermarsi placidamente sopra al suo stomaco. Ma ecco che, di nuovo, una vocina nella mia testa mi urlò di continuare.
Rallentai il ritmo, ascoltando la voce della ragione piuttosto che quella del sentimento, ed emisi un lungo respiro carico di emozioni, abbracciandolo completamente, e lasciai che si accoccolasse al mio petto caldo, appoggiando la testa sotto al mio mento, inspirando intensamente il profumo del dopobarba.
Il silenzio che si era creato intorno a noi era interrotto soltanto da lievi respiri e dall'ondeggiare dei nostri petti. Si muovevano in perfetta sincronia, come accordi di una melodia che conoscevamo a memoria. Solo noi due.
"Blaine."
I miei occhi nocciola fissarono immediatamente i suoi, limpidi, cristallini.
"Io...volevo dirti soltanto che sono felice. Non so nemmeno perché, so solo che sentivo il bisogno di dirtelo. E' da stupidi?"
Ridacchiai soffusamente, dicendogli semplicemente che non era affatto da stupidi, anzi, era una cosa bellissima.
"Sono così felice che ho paura di svegliarmi e di scoprire che è stato tutto un sogno. Che tutto questo non è mai esistito, e io sono ancora al McKingley senza sapere cosa fare della mia vita...da solo."
Appoggiai delicatamente la mia fronte sulla sua, per guardarlo dritto negli occhi. Erano velati da una sorta di insicurezza, o di paura. Ma durò soltanto un secondo, perché io accarezzai la sua guancia e dissi: "Succede spesso anche a me. E sai che cosa faccio?"
Scosse un attimo la testa, curioso.
"Penso a tutti i momenti che abbiamo passato insieme. E mi rendo conto che sono reali. Che siamo reali. Perché neanche nei miei sogni più belli ho immaginato una cosa simile."
Sorrisi, in un modo talmente dolce da risultare disarmante.
"Sei il mio sogno, Kurt."
E lui si sporse in un abbraccio, strizzando gli occhi per la felicità.
"E tu sei il mio." Sussurrò alle mie labbra, per poi eliminare quell'ultima minuscola distanza che le separava dalle sue.
Ed era tutto perfetto.




La Dalton era in fermento. Dopo due anni che vivevo in quella scuola dovevo aspettarmelo: il festival di Primavera era l'evento più importante di tutto l'anno, le lezioni venivano sospese e la scuola veniva aperta al pubblico per fare orientamento a future matricole, e le ragazze della Crawford ne approfittavano per intrufolarsi e fare conoscenza di tutti i facoltosi e seducenti studenti.
E poi, ovviamente, c'era il Glee Club: ogni anno gli Warblers si esibivano in una sorta di spettacolo, uno show di due o tre canzoni, ed erano l'attrazione principale della giornata.
E dopo aver riaccolto tutti i ragazzi precedentemente bocciati, ci sentivamo ancora più motivati e volevamo dare il meglio di noi stessi; avevamo selezionato un tris di canzoni alla moda e travolgenti, che avrebbero mandato in visibilio la folla. I ragazzi erano felici come non mai, e non smettevano di ringraziarmi per tutte le ripetizioni che avevo dato loro, e io ero sinceramente contento di riavere il gruppo come prima.
Restava soltanto un'ultima cosa da fare: c'era ancora un ragazzo che non era ritornato negli Warblers.
Wes David e io bussammo sonoramente alla porta di Chase, assumendo un'espressione professionale. In verità, io ero leggermente scocciato. Non mi piaceva granché quell'idea.
Il ragazzo aprì la porta, e il suo sguardo gelido ci scrutò dall'alto verso il basso, uno per volta.
"Oh." Si fece più avanti, a braccia conserte. "Un asiatico, un nero ed un gay. Sembra l'inizio di una barzelletta infelice."
"Dobbiamo parlarti." Disse il primo, con un sorrisetto compiaciuto.
"E di cosa? Mi sembra di aver saldato il mio debito con Anderson, no? Lasciatemi in pace."
"Chase." Lo chiamai, e questo, inaspettatamente, si voltò verso di me. Forse era rimasto stupito dal mio tono di voce, o dal mio sguardo seccato.
"Tu amavi gli Warblers. Fingi che non ti interessi nulla, ma ti abbiamo visto ad ogni esibizione, e ho visto come cantavi quando hai fatto quello show con gli Eagles. Ti piace. E sei bravo. L'unica cosa che ti impedisce di tornare sono io."
"No. -Fece lui, secco- Non credere di avere così tanta importanza, puffo."
"Anche se non lo vuoi ammettere, è la verità. Non sopporti l'idea di cantare sotto di me."
Non rispose. Sapeva che avevo ragione. E io sapevo che non aveva mai accettato il modo con cui avevo "spodestato" Ethan; il suo migliore amico umiliato da un ragazzino appena arrivato. Ma era successo tanto tempo fa. Eravamo entrambi persone diverse, l'avevo capito dopo aver passato tutte quelle ore assieme a lui nel dare ripetizioni agli altri ragazzi. Chase era freddo, scontroso e scorbutico, aveva la lingua tagliente e a volte sentivo che poteva uccidermi soltanto con un'occhiata, ma dovevo ammettere che era un ragazzo d'onore. Nessuno avrebbe perso tanto tempo con dei ragazzi di cui non gliene importava niente, solo per riscattare uno stupido favore.
E quando i miei amici proposero di farlo tornare negli Warblers dovetti accantonare il mio astio nei suoi confronti, e seguire le volontà del gruppo.
"E allora? -Incalzò lui, inarcando un sopracciglio- Cosa volete da me? Siete venuti a raccontarmi la barzelletta infelice?"
"Vogliamo che tu torni." Sentenziò David, quasi implorante.
"Preferivo la barzelletta."
"Andiamo, Chase. Abbiamo bisogno della tua voce."
"Davvero? Non vi basta la vostra gallina dalle uova d'oro?" E mi guardò torvo.
Sospirai. "Non smetterai mai di odiarmi, vero?"
Ci fu un attimo di esitazione, nella quale la sua espressione mutò da seccato a pensieroso.
"Io non ti odio."
"Come?" Ero rimasto davvero sbalordito. Mi sarei aspettato qualsiasi risposta, tranne quella.
Fu come se si fosse accorto della frase appena detta. Scrollò la testa impercettibilmente, e riassunse il solito tono freddo.
"Intendevo dire che non vali nemmeno la pena di essere odiato."
Ah, ecco.
Ma in quel momento i due del consiglio si illuminarono.
"In effetti! -Esclamò Wes, posando una mano sulla mia spalla- Lo sai che Blaine non voleva assolutamente che tu tornassi?"
Beh, non potevo proprio negarlo.
"Non ne dubito." Commentò lui, aggrottando le sopracciglia.
"E quindi...-seguitò David, con un sorriso a trentadue denti- ragiona: quale sarebbe il modo migliore per fargli un dispetto?"
"Rubargli tutti gli assoli..."
"Stonare appositamente per mandarlo fuori armonia..."
"Spintonarlo accidentalmente nel bel mezzo di una coreografia..."
"Ti immagini? E tutto ciò che devi fare è..."
"Tornare." Conclusero in coro, neanche stessero recitando un copione. Un attimo, forse sì: mi voltai di scatto a fissarli, e notai una leggera luce nei loro occhi. Ma allora era per quello che mi avevano costretto ad accompagnarli! Avevano progettato quel teatrino sin da subito!
E la cosa peggiore fu che Chase valutò seriamente quell'idea.
Si accarezzò il mento lentamente, squadrandomi dall'alto verso il basso, e io stringevo i pugni, offeso e innervosito.
E questo, ovviamente, non sfuggì alle attenzioni del ragazzo di fronte a me.
"Potrebbe essere divertente."
Wes e David esultarono. E io ero senza parole.



"Insomma, per uno strano scherzo del destino, Chase adesso è negli Warblers grazie a me."
Eravamo nel bel mezzo del festival, di fronte al palcoscenico sopra al quale ci saremmo esibiti, e io avevo appena raccontato la scena di quella mattina a Ed, Colin, Nick, Flint e Kurt, che adesso mi guardavano allibiti.
"Il colmo per Blaine Anderson." Commentò il più alto, dandomi delle sonore pacche sulle spalle.
"Non ci pensare, amico. Chase è uno in gamba, in fondo!"
"Certo. La fate facile voi. Non proverà a sabotare ogni vostra singola cosa."
"Okay okay non entrare nel panico adesso -Kurt si avvicinò a me, sfoggiando un sorriso rassicurante- andrà tutto bene, tu sarai fantastico, e Chase resterà talmente ammaliato dalla tua voce da non riuscire a muovere un muscolo."
Forse Kurt aveva ragione, ma dentro di me si celava ancora l'ansia di fare una figuraccia di fronte a centinaia di persone.
Alzai lo sguardo, incontrando con incertezza il suo: "Mi guarderai, vero?"
Senza riuscire a trattenersi oltre mi strinse in un abbraccio, che ricambiai immediatamente aggrappandomi alle sue spalle.
"Sarò il ragazzo carino in prima fila."
Gli altri mimarono il gesto di sciogliersi al sole, e noi ridacchiammo sommessamente, sciogliendo l'abbraccio, ma rimanendo comunque molto vicini.
Dopo un po' che ci stavamo guardando quasi incantati Colin ci strattonò per le maniche, borbottando qualcosa e trascinandoci verso lo stand più vicino. Il concerto sarebbe iniziato più tardi, quindi avevamo tutto il tempo per fare un giro.
Il festival quell'anno aveva superato se stesso: era pieno di ragazzi, striscioni colorati e palloncini svolazzanti, i ragazzi addetti all'orientamento stavano facendo vedere i laboratori a dei futuri Daltoniani e Colin ne approfittò per presentare Mortimer, lo scheletro umano che usavamo per studiare anatomia.
Ovviamente, la reazione fu una folla di ragazzini urlanti e imploranti la mamma.
Era incredibile quante persone si avvicinassero allo stand degli Warblers per chiedere informazioni. Potevo vedere i loro volti illuminarsi quando Thad gli raccontava delle Provinciali e delle Regionali, forse esagerando qualche dettaglio -non ricordo di aver visto Pink complimentarsi con noi per l'ottima esibizione-, spiegando tutti i flash-mob e il codice d'onore di uno Warbler.
E mentre io stavo ammirando i futuri membri, Kurt aveva passato in rassegna tutti i capi di abbigliamento delle loro madri esageratamente ricche. Kurt non aveva mai apprezzato la pomposità della Dalton. Non che fosse invidioso dei loro portafogli. Beh, più che altro, era invidioso dei loro capi d'abbigliamento. Tra cui una costosissima borsa di Valentino che una signora stava indossando come se fosse "uno straccetto qualunque".
"Cioè, ma guardala! La sta agitando a mezz'aria! La sta sciupando tutta! Se non le piace allora la regalasse a me, che diavolo! Costerà quanto tutti i miei abiti messi insieme! Oh, ma...ma l'ha abbinata con delle Jimmy Choo VIOLA!? No, è troppo. Non posso vedere."
Si nascose dietro la mia spalla. Io stavo ancora cercando di capire se stava parlando della borsa, o di una scena horror che mi ero perso.
Ancora confuso, notai soltanto in quel momento il preside Morris, assieme alla Pitsbury e ad altri professori. Sfoggiavano tutti i loro abiti migliori, per far bella figura sulle matricole. Tipico.
"Blaine? Andiamo, per favore? Sento che sto per andare ad uccidere quella donna fatta di silicone."
Sviai lo sguardo al cielo, ma sotto sotto ero divertito. Lo presi per mano senza nemmeno pensarci, e proposi di andare a vedere se la caffetteria era ancora in funzione.
"Non ci giurare. Sarà assalita da un branco di donne di mezza età in crisi d'astinenza. Ho letto che il caffè è la nuova dipendenza dell'anno."
"Ah sì, l'ho letto anche io. Noi due allora dovremmo farci ricoverare in qualche clinica."
"Già." Commentò, e scoppiammo a ridere entrambi.
E, qualche secondo dopo, una voce mi chiamò. Una voce che conoscevo bene.
"Eccolo mamma l'ho trovato!"
Una ragazzina sui tredici anni, con i capelli neri raccolti in delle code basse, e dei grandissimi occhi castani, identici ai miei, stava saltellando sul posto con l'indice rivolto verso di me.
Dietro di lei si mostrò una signora alta, la carnagione olivastra e il portamento elegante, che indossava un raffinato tailleur beige, e non appena mi vide sul suo volto perfettamente truccato si dipinse un'espressione di stupore mista a gioia.
Ignorando i suoi tacchi a spillo corse verso di me, raggiante, per poi stringermi in un forte abbraccio che quasi mi spezzò il fiato.
Non mi ero nemmeno accorto di aver lasciato la mano di Kurt.
"Blaine! Oh, Blaine! Mi sei mancato così tanto!"
La sua voce era spezzata, come se stesse per piangere da un momento all'altro. E io ero troppo pietrificato per poter ricambiare l'abbraccio. Anche se una piccola parte di me avrebbe tanto voluto farlo.
Non sapevo davvero cosa dire, di fronte a quella donna che non vedevo da quasi un anno, che non sembrava invecchiata di una virgola, e che mi stava fissando come se fossi la cosa più bella che avesse mai visto.
"Mamma..."
Lei mi abbracciò un'altra volta, quasi non mi volesse lasciare andare.
"Mi sei mancato così tanto, tesoro."
"...Anche tu." Ammisi, ritraendo in dietro le lacrime.
E poi, entusiasticamente, la bambina si fece avanti, prendendomi le mani.
"Fratellone! Come stai?"
Timidamente, mi chinai verso Catherine. Mia sorella. Francamente, stentavo a riconoscerla.
"Hey, Kitty. Io sto alla grande. Sei cresciuta parecchio."
"Lo so! Diventerò sicuramente più alta di te!"
Feci una smorfia. Beh, almeno quello non era cambiato.
Soltanto in quel momento mi resi conto che mia madre aveva puntato lo sguardo su Kurt, e quest'ultimo sembrò esitare un attimo prima di tenderle una mano con un sorriso.
"Signora Anderson! E' un vero piacere conoscerla. Mi chiamo Kurt Hummel."
"Susanne Cooper. E' un piacere mio." Affermò lei, stringendo calorosamente la sua mano. "Sei un amico di Blaine?"
Trasalii. Kurt mi guardò rapidamente con la coda dell'occhio.
"...Sì. Siamo amici." Rispose, con tono sospeso e vago.
Sviai lo sguardo a terra. Era come se si fosse posato un macigno all'altezza del cuore. Avrei dovuto essere io a fare le presentazioni. Avrei dovuto essere io a mentire. E invece Kurt aveva capito tutto al volo, e mi aveva aiutato.
Ma questo non mi faceva sentire meglio.
"Oh Blaine, non ci vediamo da così tanto tempo... sei diventato ancora più bello." Commentò mia madre, quasi commossa. Io abbozzai un sorriso, ma si vedeva che era tirato.
Mia sorella stava puntando l'indice contro al petto: "Come mai non sei venuto a casa per le vacanze di Natale?"
"Avevo...hem, avevo da fare. Tanto studio e pochissimo tempo libero. Mi dispiace."
"Tua sorella è voluta venire qui a tutti i costi, - spiegò mia madre, melliflua- ci mancavi davvero troppo."
"Sì...l'ho capito." L'avevano detto tipo trenta volte in mezzo minuto. Sembrava quasi che lo ripetessero a loro stessi, piuttosto che a me.
"Oh, abbiamo così tante cose da raccontarci! Perché non prendiamo un caffè e parliamo un po'?"
"...Okay." Ma non riuscivo a fare un passo. Kurt, nel vedermi in quel modo, mi prese per le spalle, e poté sentire quanto fossero rigide.
"E' preoccupatissimo per l'esibizione -mentì alle due donne, vedendole perplesse- deve cantare tre canzoni di fila di fronte a tutte queste persone!"
"Non sapevo cantassi ancora! E' sempre andato pazzo per la musica. Da piccolo ha voluto a tutti i costi che gli regalassi una chitarra, anche se non riusciva nemmeno a tenerla in mano."
Kurt e mia madre risero all'unisono, e io cacciai una smorfia, ma non per Kurt.
"Sto imparando a suonare il piano!" Esclamò Kitty, congiungendo entrambe le mani.
"Così un giorno canterò anche io come il mio fratellone e sarò bravissima come lui!"
Arrossii, un poco rinfrancato. Le scompigliai i capelli, come mi era sempre piaciuto fare. Perché era Kitty, la mia innocente sorellina. Le volevo un bene dell'anima.
"Andiamo, piccola Elton John, ti offro una bella tazza di latte caldo."
Sfoggiò un sorriso incantevole.
"Hai una sorella adorabile." Mi sussurrò Kurt all'orecchio, mentre ci dirigevamo alla caffetteria. "Preferisco tralasciare il fatto che tu non me ne abbia mai parlato."
Abbassai lo sguardo. "Scusami."
"Non importa. Dimmi solo come mi devo comportare."
E in quel momento mi fermai di scatto, guardandolo inerme.
"Oh, Kurt...tu non ti devi comportare in nessun modo... è colpa mia. Non ti ho mai spiegato a dovere come stanno le cose con la mia famiglia... ma non devi fingere per me, Kurt. Ti prego. Io voglio che tu sia te stesso."
"Potrei dirti la stessa cosa. -Ribatté, facendosi un poco più vicino- Tua madre sembra sinceramente felice di vederti. Perché sei così teso?"
"E'...complicato."
"Quanto complicato?"
"Non ti saprei dire, Kurt. Non la vedevo da un anno, e adesso sbuca qui, e pretende di giocare alla famiglia felice...non è così facile."
Rimase un secondo in silenzio, osservando i miei occhi velarsi sempre più di una sorta di tristezza, o rabbia.
"Senti Blaine, non so cosa sia successo tra te e lei, ma perché non le dai una possibilità? E' tua madre. Ti vuole bene. E mi distrugge vederti così afflitto. Prova a parlare con lei."
Annuii. Avrei potuto farlo. Parlare con mia madre, mettere le cose a posto. Mi erano mancate terribilmente, durante quell'ultimo anno, e sapevo bene che mi volevano bene, me lo avevano sempre dimostrato, attraverso telefonate alle quali rispondevo di rado, e messaggi in segreteria riascoltati più volte.
Dopotutto, il fatto che fossero lì, che fossero venute a trovarmi, era la prova lampante che ci tenevano a me.
E non erano loro il motivo per cui avevo interrotto tutti i contatti.
Non erano loro ad avermi trattato male, quando avevo dichiarato di essere gay.
Quindi, con tanta pazienza e un po' di coraggio, provai a essere me stesso. A non indossare la maschera del figlio perfetto, etero e intelligente.
E devo dire che passammo una bellissima ora.
Mia madre sorrideva in modo spontaneo e ascoltava con attenzione tutto quello che le dicevamo. E Kurt era semplicemente fantastico, naturale ed educato, e per tutta la durata del caffè continuarono a parlare e a scherzare, mia madre raccontava tutte le sue imprese con la sua boutique di gioielleria e Kurt per poco non aveva avuto un infarto quando scoprì che la sua ditta aveva confezionato i gioielli per Beyoncè, nel suo ultimo tour.
E, pian piano, cominciai a raccontare anche io, dell'ultimo anno di scuola, delle tragedie greche fatte dalla Pitsbury, delle pazzie in cui ci avevano convolto Nick e gli altri, e poi narrai delle regionali, di come avevamo perso, e di tutte le cose successe fino ad allora.
Alla fine del mio ultimo discorso mia madre sospirò, afferrandomi dolcemente la mano.
"Sono così felice per te, Blaine."
La guardai. Lo era davvero? Dai suoi occhi non trapelava il minimo dubbio. Potevo ancora ricordarmi quegli stessi occhi che mi supplicavano di andare alla Dalton, perché non sopportava più di vedermi soffrire in quel modo.
E volevo dirle che, finalmente, ero felice.
Ma non feci in tempo. Perché mio padre si avvicinò al nostro tavolo, e lei smise immediatamente di parlare.
In effetti ero stato proprio stupido. Quando lo vidi avanzare verso di noi, con il suo impeccabile completo firmato, i suoi occhi scuri e imperscrutabili, pensai dovesi aspettarmelo, che avesse accompagnato mia madre e mia sorella. Era la cosa più scontata del mondo.
No, forse una parte di me lo sapeva. Ma non avevo voluto ascoltarla.
"Papà."
Non c'era commozione, nella mia voce. Non fu come quando abbracciai la mamma o Kitty. Ci salutammo come due perfetti sconosciuti. Come se quindici anni passati insieme non significassero nulla.
Forse, ai suoi occhi, era proprio così.
"Ciao, Blaine. Ti vedo in forma."
"La Dalton mi tratta bene."
Mi voltai verso Kurt, e feci piccolo cenno con la mano.
"Ti presento Kurt Hummel. Lui è...un mio amico. Kurt, questo è mio padre."
"Molto piacere." Ma la sua mano non fu afferrata.
Non fu degnato nemmeno di uno sguardo.
E io cercai in tutti i modi di trattenere il mio disprezzo.
"Ho parlato con Philip, il preside -seguitò mio padre- mi ha detto che ti dai da fare."
"Sì. E' molto gentile con me."
No, non feci menzione di tutti i favori che mi fece. E nemmeno del fatto che li fece perché ero suo figlio. Non potevo dargli la soddisfazione di sentirsi superiore a me.
"Richard. Hai visto che bella divisa? Gli sta benissimo, non trovi?" Domandò mia madre, cercando di attirare la sua attenzione. Ma non ci riuscì.
"Hai preso ottantotto, agli esami di metà anno."
Aggrottai le sopracciglia. Non mi piaceva il suo tono di voce.
"E' troppo poco, Blaine. Yale o Harvard non accetteranno mai un ragazzo che passa con ottantotto. Hai smesso di studiare."
"Non è così." Ma che lo dicevo a fare? Lui mi aveva già giudicato. Aveva già trovato un'altra cosa di me che non tollerava. L'ennesima. Le mie unghie stavano affondando la carne delle mie mani da quanto stavo stringendo forte i pugni.
Un'altra pausa. E poi il suo viso mutò espressione.
"So che tra poco dovrai esibirti assieme al gruppo di canto della scuola."
Serrai la mascella. Quante altre cose gli aveva detto, quel preside!?
"Mi sembra un'ottima cosa. Così mentre i tuoi amici canteranno tu potrai ballare con Priscilla. L'ho incontrata prima, e le ho detto che non vedevi l'ora di ballare con lei. E' inutile dirti che devi comportarti in modo rispettoso nei suoi confronti, non è vero?"
Non poteva veramente averlo detto. Non poteva veramente averlo fatto.
Mi alzai in piedi, non riuscendo a sopportare oltre, e mi diressi a grandi passi verso l'uscita.
Kurt chiamò il mio nome, ma non mi voltai. Volevo soltanto andarmene via. Volevo soltanto tornare al giorno prima, quando tutto era perfetto e non c'era niente che andasse male.
Dagli altoparlanti del palcoscenico si levava una musica di sottofondo, piacevole e di atmosfera.
E davanti a me mi trovai Priscilla, il sorrisetto compiaciuto, il vestito che sembrava uscita dalla casa delle bambole.
"Ciao, Blaine! Mi sei mancato." E mi diede uno schioccante bacio sulla guancia. Kurt, che mi aveva seguito in silenzio per tutto quel tempo, si fermò di colpo non appena vide quel gesto.
"Coraggio, andiamo." Mi prese per mano conducendomi al centro del cortile, esattamente davanti al palcoscenico. Io ero troppo devastato dagli eventi per opporre resistenza. Non mi ero nemmeno accorto che i miei amici si stavano riscaldando: tra poco avrei dovuto cantare assieme a loro.
Mio padre era a pochi metri da me. Accanto a lui Kitty e mia madre sembravano quasi interdette, e poi Kurt, che fissava la scena inespressivo. Non gli avevo mai presentato Priscilla. In effetti, era da prima di Natale che non la vedevo, e di certo non mi sarei aspettato di ritrovarla in una situazione simile. Ma non potevo prendermela con lei: sapevo bene che c'era mio padre, dietro a tutto quello.
Cercai di discolparmi, dicendole che non potevo ballare con lei, ma non accettò spiegazioni. Pretese di ballare. E io non sapevo come liberarmi dalla sua presa, che sembrava quasi una morsa di un granchio.
"Richard è un uomo meraviglioso." Commentò, dopo aver posato una mano sulla mia spalla e aver afferrato saldamente l'altra.
Mormorai qualcosa, senza darle veramente ascolto. Adesso stavo guardando solamente Kurt.
Sapevo che avrebbe capito. Sapevo che potevo fidarmi, bastava che leggesse nei miei occhi tutti i miei pensieri. Bastava che mi guardasse negli occhi.
Ma non lo fece. Invece, lo vidi scambiare qualche parola con mio padre.
La musica diminuì. I ragazzi mi fecero cenno di alzarmi e andare da loro.
Priscilla mi prese per mano, cercando in tutti i modi di attirare la mia attenzione.
E poi vidi il volto di Kurt incresparsi in una smorfia, e voltarsi dall'altra parte, dirigendosi verso l'uscita della scuola.
Mi staccai da lei.
La mia corsa fu interrotta da mio padre, che mi afferrò per un braccio così forte da farmi male.
"Torna a ballare con quella ragazza."
Lo guardai dritto negli occhi.
"Te lo puoi scordare."
Andai da Kurt.
"Blaine?" Inaspettatamente il mio corpo si scontrò contro quello di Chase, facendo barcollare entrambi.
"Dove stai andando? Adesso devi cantare."
Sembrava davvero sorpreso. Ma non avevo tempo per quello.
"Canta tu."
Detto quello, sotto al suo sguardo allibito, ripresi a correre.
"Kurt!"
Finalmente scorsi il mio ragazzo al cancello, appoggiato ad una grata.
"Ti stavo aspettando." La sua voce era stranamente atona.
"Perché sei andato via?"
Si morse il labbro inferiore, sviando lo sguardo.
"Tuo padre...mi ha detto che quella ragazza è la figlia di uomini importanti, amici di famiglia. E mi ha detto anche che progettavano il vostro matrimonio da una vita. Affari di lavoro, cose del genere. Io gli ho detto che non poteva decidere della tua vita, con chi dovessi stare, che non siamo più nel Medioevo. E lui...-i suoi occhi vacillarono un attimo, assieme alla sua voce- lui ha detto che un ragazzo come me non può capire."
Non riuscivo a credere alle mie orecchie.
Temevo una cosa del genere. No: avevo paura che potesse accadere.
E adesso il mio ragazzo era lì, ferito e avvilito, e mi fissava come se nei miei occhi cercasse la motivazione a tutto quello. E io non sapevo cosa dire. Cosa avrei potuto dirgli? Suo padre era sempre stato buono con lui. Lo amava, aveva accettato la sua sessualità. Era ovvio che non riuscisse a comprendere gli atteggiamenti del mio, freddo e meschino, che aveva trattato male me e osato offendere lui.
Lo abbracciai forte. Lui ricambiò il gesto, affondando il volto nell'incavo del mio collo.
"Mi dispiace, Kurt. Mi dispiace."
Lo sussurrai un centinaio di volte, mentre prendevo a baciargli il collo, la fronte, gli occhi limpidi, poi le labbra, e non appena lo feci, sentii il suo corpo aggrapparsi bisognoso al mio, e prese a baciarmi con passione, afferrando la testa tra le sue mani, cercando di farmi più vicino possibile a lui.
Dopo qualche secondo si staccò, ricordandosi improvvisamente di una cosa: "E la canzone? L'esibizione?"
"Sta cantando Chase."
"Che cosa? Ma così...rischi di venire sopraffatto. Lo sai quanto sia determinato Chase, e se lo farai cantare al festival di Primavera rischi perfino di perdere il ruolo da solist-"
"Non mi interessa." La mia interruzione lo fece sussultare.
"Non c'è niente che mi interessi, Kurt. Il canto, Priscilla, la mia famiglia...non mi importa niente. L'unica persona di cui mi importa sei tu."
Lo presi per mano, ma sentii una piccola resistenza.
"Che vuoi fare?" Mi chiese, allarmato.
"Voglio andare da mio padre. Voglio dirgli che può farmi ballare con tutte le Priscilla che vuole, ma io rimarrò gay. E voglio dirgli che sto con te."
I suoi occhi si spalancarono, mentre io spingevo entrambi verso il cortile del Festival.
"No, Blaine, non farlo. Non ti devi preoccupare per me, io capisco...non devi dirglielo per forza. Non devi dirglielo in questo modo."
"No."
Si ammutolì. Non mi aveva mai visto così determinato e, allo stesso tempo, arrabbiato.
"Glielo devo dire. Glielo voglio dire."
Ormai eravamo a pochi metri.
"Papà."
Si voltò. Non si aspettava un nostro ritorno così in fretta. Non si aspettava di vederci con le mani intrecciate, avvinghiate, quasi come se l'una stesse ottenendo sostentamento dall'altra.
"Ti presento Kurt Hummel. Lui non è soltanto un mio amico. E' il mio ragazzo."
La mamma si sollevò una mano alla bocca.
Quella fu la prima volta che mio padre posò lo sguardo sul mio ragazzo.
Dopodiché, con un'amara smorfia in volto, se ne andò.

Blame it on BlaineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora