Un appuntamento alla Warbler

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Ormai il cellulare era diventato il prolungamento del mio braccio.
Io e Kurt ci mandavamo così tanti messaggi che dopo nemmeno mezza giornata fummo costretti a fare un abbonamento speciale che ci permetteva messaggi e chiamate verso l'altro numero ad un prezzo notevolmente più basso.
Ogni tanto gli mandavo qualche foto, come quella del mio banco, dove avevo scritto "miss you" nell'angolo che lo collegava al suo, con una faccina triste e qualche cuoricino spezzato. Notai con disappunto che non sapevo per niente disegnare: i miei cuori sembravano piuttosto delle mele spappolate, al contrario dei suoi, che potevo ammirare dal mio ormai più caro quaderno di algebra. E poi un giorno, dopo avergli inviato la solita dedica mattutina, mi inviò un disegno a dir poco splendido, a tutta pagina, rappresentando un perfetto Pavarotti con cravatta degli Warblers, e sotto di esso, una versione sintetica di io e lui che ci tenevamo per mano, cantando le note di Somewhere Only We Know. A quanto pare gli piaceva tanto, quella canzone. O meglio, era diventata la sua suoneria, sveglia e avviso di sms da quando gliel'avevo cantata di fronte a tutta la scuola. Con mio grande orgoglio e soddisfazione, aggiungerei.
Adoravo sorprendere Kurt con delle cose mozzafiato. Amavo vedere il suo volto impallidire per lo stupore, per poi tingersi di un rosso acceso, mentre veniva illuminato da un sorriso radioso e da degli occhi man mano sempre più lucidi. Per me. Il mio cuore si scaldava al solo pensiero.
Ed era per questo che avevo in mente un'altra cosa speciale, per il nostro mesiversario.
Lui aveva categoricamente vietato regali di qualsiasi sorta: non che gli dispiacessero, ma sapeva benissimo che mi sarei fatto prendere la mano, dal momento che avevo già puntato un occhio su una borsa esageratamente cara di Louis Vitton che stava letteralmente per rubare, un giorno, quando l'aveva vista miracolosamente esposta in uno stockhouse di Westerville; sembrava aver visto un'apparizione divina. In effetti, mi aveva detto di essere ateo; probabilmente, allora, l'alta moda era ciò che si avvicinava di più al suo credo personale.
Parlando di credi... non avevo mai visto così tanti santini raccolti in una volta sola.
Colin li stava ponendo con cura sopra al suo banco, soffermandosi ad osservarli uno ad uno, partendo da San Giovanni, protettore degli studenti, a Santa Rita, protettrice dei casi impossibili.
"Come il mio", specificò, abbandonando la testa contro il banco con un tonfo sordo.
"Non sapevo tu fossi cattolico." Commentai, mentre prendevo posto nel banco dietro di lui.
"Io sotto esami divento necessariamente politeista, -Esordì Nick, a pochi passi da noi- mi appello a tutte le divinità, pure a Odino. Qualcuno, lassù, ascolterà le mie preghiere e mi farà prendere la sufficienza a quest'esame."
"Blasfemo" borbottò l'altro ragazzo.
"Inutile. -sentenziò Ed, arrivando insieme a Flint- Io non ho bisogno di rivolgermi a essenze superiori. Tutto ciò che mi serve è a portata di mano...anzi, di naso." E mostrò il suo fantomatico fazzolettino, tutto pieno di formule minuscole appena accennate con il lapis.
L'aveva fatto sul serio. Così come Flint si era preparato l'ipod con le tracce audio, o meglio...
"Una mia registrazione su tutti gli argomenti del programma!? Ma quando diavolo l'hai fatta!?"
"Blaine, Blaine. -cantilenò, sospirante- Sono il tuo compagno di stanza, ricordi? Non è stato difficile lasciare acceso il registratore mentre eri tutto solo soletto a ripetere. A proposito, speravo di intercettare una chiamata piccante a Kurt -affermò, rivolgendosi ai miei amici esaltati-, ma tutto ciò che ho ottenuto è stato un noioso e sfarfallino dai Kurt, devo andare. No riattacca tu. No, tu! Eccetera eccetera."
"Non è vero!" Arrossii fino alla punta delle orecchie. "Oh andiamo, non siamo così smielati!"
E in quel momento ricevetti quattro paia di occhiate scettiche.
"...Lo siamo?"
Fortunatamente la professoressa Pitsbury irruppe nella stanza prima che potessi ricevere una risposta.
"Lasciate sul banco un foglio e una penna. Avete un'ora e mezza a partire da...adesso. Ah. Se scopro qualcuno di voi a copiare.."
"Finirà in prigione senza passare dal via?"
"Verranno tolti cinquanta punti a Grifondoro?"
"Atwood. Morrison. Tenete il vostro umorismo per quando vi boccerò."
E fu così che iniziò il nostro test di fine semestre.
Erano le domande più difficili che avessi mai visto. Perfino io faticavo a rispondere, talvolta, soffermandomi troppo su una domanda e non avendo tempo per farne un'altra.
E se quella era la mia situazione, sperai davvero che i sotterfugi dei miei amici stessero funzionando; iniziai a preoccuparmi quando udii un'imprecazione di Flint, poco distante da me, che iniziava ad inveire contro la batteria del suo Ipod, che lo aveva appena abbandonato.
E così Nick si rese conto di non aver affatto caricato i dati sul suo orologio, oppure, semplicemente, questo si era bloccato e tutto ciò che mostrava era una banalissima ora che iniziava a pendere sulla sua testa, decretando la sua imminente sconfitta.
La cartucciera di Colin, invece, era inservibile: la professoressa era esattamente davanti a lui e non poteva semplicemente alzarsi il blazer per estrarre un bigliettino, leggerlo e poi riporlo accuratamente al suo posto.
Ironia della sorte: l'unico stratagemma che sembrava funzionare era proprio il fazzoletto-bigliettino di Ed. La vita ti pone di fronte a scenari davvero insoliti.
Stavo per espormi un poco dal banco con l'intenzione di passare il compito ad uno dei tre in difficoltà, o almeno, quello che ero riuscito a fare, quando la voce della Pitsbury mi fece sobbalzare all'indietro, la fronte grondante di freddo sudore e gli occhi spalancati per la paura.
Eppure, era strano: la sua faccia rugosa, non era indirizzata verso di me, ma sul banco dietro.
"Chase Edlund.... stavi copiando."
Il ragazzo alzò la testa di scatto, affermando il contrario con fare piuttosto accigliato.
"Non negare, ragazzo, ti ho visto benissimo. Stavi per chiedere qualcosa ad Anderson."
Ecco. Sarà che non mi metteva in mezzo, quella dannata strega!?
"Professoressa - ribattei io, interrompendo il loro scambio di gelide occhiate - glielo assicuro, sarei l'ultima persona a cui chiederebbe una mano."
"Confermo." Fece lui, sembrando piuttosto sorpreso del mio commento sincero.
La cosa finì lì, con grande rammarico della professoressa, e io tornai a concentrarmi sul compito.
Non mi stupii di trovarmi davanti a Chase, non appena fui uscito dalla stanza, il suo volto oscurato da un'espressione titubante.
"Perché lo hai fatto?" Mi chiese infatti il ragazzo, ignorando la disperazione dei miei amici che mi stavano strattonando a destra e a sinistra, completamente immersi nel panico e nell'ansia di confrontare le loro risposte con le mie.
Mi strinsi nelle spalle, non sapendo bene cosa dire: "Non lo so. Perché non avrei dovuto farlo? Dopotutto, ho soltanto detto la verità."
"Appunto, perché mi hai difeso? Era l'occasione perfetta per vendicarti."
"Vendicarmi?"
Oh, in effetti, avrei potuto. Avrei potuto fargliela pagare per tutte quelle volte che mi aveva schernito, preso in giro e paragonato a qualsiasi essere vivente con altezza inferiore ad un metro. Avrei potuto riscattarmi da quel giorno in cui, chiamando a raccolta Pitsbury e Preside, aveva quasi fatto espellere me e Kurt per la lotta violenta tra Pavarotti e Pannocchia. Avrei potuto semplicemente dire "sì" alla Pitsbury, fare un cenno, perfino un silenzio sarebbe stato sufficiente, e lui sarebbe stato automaticamente bocciato; e io nemmeno me n'ero reso conto.
Oh, beh, poco male. Non sarei mai riuscito a fare una cosa così meschina, nemmeno volendo.
E poi, nonostante il nostro astio reciproco, Chase rimaneva comunque l'ex-compagno di stanza di Kurt, con il quale si era comportato da buon amico.
E pensando a quelle cose le mie labbra si incurvarono in un sorriso, mentre quelle di Chase si stavano increspando sempre di più in una smorfia di puro terrore.



"E poi gli ho augurato buona fortuna per il test di francese di domani, e sono andato via. Mi è sembrato piuttosto scandalizzato. Probabilmente si stava chiedendo che razza di piano diabolico avessi in mente."
Kurt rimase qualche secondo a fissarmi da dietro il suo latte macchiato scremato.
"Non riusciresti ad ideare piani diabolici nemmeno se ne avessi davvero l'intenzione. Probabilmente saresti assalito dai rimorsi di coscienza ancor prima di metterli in atto."
"Così sembro un buono a nulla..."mormorai ironico, e lui scosse velocemente la testa.
"Tutt'altro: sei la persona più buona che io conosca. E sono convinto che lo capirà anche Chase."
Sorrisi, morendo dalla voglia di allontanare quel bicchiere dalla sua bocca, per permettere alla mia di baciarlo con passione. Ma non potevo farlo, o ci saremmo ritrovati un migliaio di clienti sconvolti e l'esilio a vita dalla caffetteria.
"Allora, -riprese lui- com'è andato l'esame?"
"Un disastro." Commentò Colin, seccato, mentre si accasciava su una sedia accanto alla mia.
Io e Kurt sussultammo all'unisono.
"Io ho risposto a tutto -fece Ed, sornione- lo avevo detto io che il metodo fazzolettino è infallibile."
Guardai il mio ragazzo, interdetto quanto me.
"Ragazzi...che ci fate qui?"
Anche se Starbucsk era un luogo pubblico e avevano tutto il diritto di sedersi al tavolo con noi, non ci aspettavamo di certo quell'intromissione.
"Dobbiamo parlarvi.
"Di donne."
"...Come!?"
"Sì, so che non è esattamente il vostro argomento di conversazione preferito. Ma abbiamo bisogno di un vostro consiglio."
"In effetti, abbiamo bisogno soprattutto del consiglio di Kurt. Senza offesa, Blaine, ma lui ci sa davvero fare quando si tratta di look."
Il mio ragazzo sorrise compiaciuto. Beh, di certo, sapevano come arruffianarselo per bene.
"Sono tutt'orecchi."
"Domani sera abbiamo appuntamento con due ragazze."
"Si chiamano Ann e Mary, le abbiamo conosciute qualche giorno fa quando ci siamo infiltrati di soppiatto alla Crawford."
"Ci hanno chiesto loro di uscire... e quindi partiamo già in svantaggio. Ma il ristorante lo scegliamo noi."
"Non usciamo con delle ragazze da...beh, molto tempo. E l'ultima volta non è andata molto bene."
"No, direi di no."
Deglutii, sviando lo sguardo. Di quella serata mi ricordavo soltanto le loro facce arrossate da due grossi schiaffi pulsanti. Vedendo quelli, non avevo avuto il coraggio di chiedere altro.
"Insomma, ci chiedevamo se...insomma, se potessi darci una mano. Sai, con il vestiario, e tutto il resto."
Non c'era nemmeno bisogno di attendere una sua risposta verbale.
I suoi occhi azzurri cominciarono a illuminarsi estasiati, e assicurò tutto il suo supporto con un battito delle mani. Kurt adorava le storie d'amore. E, soprattutto, adorava rivoluzionare il guardaroba delle persone.



Ero seduto sul cofano della macchina, giocherellando svogliatamente con le chiavi.
Come sempre, Kurt era in ritardo, ma non era un grande problema: ormai mi ero totalmente abituato al suo quarto d'ora accademico; e poi, ogni volta che lo vedevo affrettarsi verso di me, con un completo diverso, sempre più splendido, io pensavo immediatamente che sì, valeva davvero la pena aspettare qualche minuto di più.
"Allora? Che te ne pare?" Domandò una volta arrivato; fece cenno a qualcosa posta dietro di lui, ma la mia attenzione era già stata completamente catturata dalla sua camicia aderente, dal papillon blu oltremare che richiamava i suoi occhi, e da quei pantaloni...oh, quei pantaloni, stretti, con un taglio che risaltava i suoi fianchi longilinei... erano così...così...
"Perfetti", sussurrai tutto d'un fiato, avanzando lentamente verso di lui. Questo capì immediatamente a cosa mi stessi riferendo.
"Blaine! -Protestò, imbarazzato e, doveva ammetterlo, anche un po' lusingato- Mi stavo riferendo a Ed e Colin!"
E finalmente capii che cosa stesse indicando la sua mano: i due ragazzi stavano camminando verso la propria macchina, indossando dei vestiti eleganti e dei cravattini colorati.
"Oh! -Esclamai, cambiando completamente espressione - hem...sì, davvero perfetti."
"Per forza, li ho vestiti io." Cinguettò, e poi si lasciò avvolgere dalle mie calde braccia, sporgendosi quanto bastava per far scontrare le sue labbra con le mie.
Si staccò dopo qualche secondo, con mio grande dispiacere.
"Coraggio, non dobbiamo perderli di vista!"
Montammo velocemente in macchina; era la prima volta che pedinavo qualcuno, ed ero piuttosto emozionato.
Proprio così: avremmo pedinato Ed e Colin. Onestamente, non riuscivo nemmeno a ricordare come avessero fatto Flint e Nick a convincerci. Immagino che in parte fu merito dell'estrema curiosità del mio ragazzo, che voleva vedere l'esito del suo lavoro, in parte, il mio fervido desiderio di essere finalmente io quello che avrebbe spiato i miei amici, e non il contrario.
Le ragazze arrivarono nel luogo prefissato qualche minuto dopo, vestite di tutto punto, e grazie a Kurt seppi che indossavano un Gucci e un Armani della collezione appena passata, e che, sempre a detta del mio ragazzo, calzavano a pennello per i loro fisici risaltando i pregi e nascondendo i difetti. E io rimanevo semplicemente incantato dalla sua abilità nel riconoscere l'autore di un abito semplicemente osservandone il taglio, o i colori, ed individuarne subito i minimi dettagli.
Il ristorante che avevano scelto per l'appuntamento era molto bello: esageratamente di lusso, come ci si poteva aspettare da due facoltosi ragazzi della Dalton, e comprendeva sia cucina francese che italiana. Kurt era senza parole. Forse, però, si era ammutolito una volta che aveva letto il prezzo delle portate. Nonostante l'atmosfera boriosa, e il netto disagio suscitato dal suo portafogli, ben presto riuscii a metterlo a suo agio, descrivendogli nel dettaglio l'esame di quella mattina, le scenate della Pitsbury verso un malcapitato ragazzino e i tentativi di Chase di scoprire i miei misteriosi piani diabolici, nonostante gli avessi ripetuto più e più volte che non esistessero.
Lui, invece, mi raccontò dell'esibizione Born this Way, della quale era rimasto estremamente entusiasta, e mi aggiornò su tutte le news della sua scuola, il Glee Club e le Nazionali. Il preside aveva dato loro tutto il budget delle Cheerios, dal momento che la coach Sylvester aveva perso clamorosamente la competizione nazionale delle cheerleaders. E ora che finalmente poteva assaporare l'idea di andare a New York come una cosa concreta, e non uno dei suoi sogni notturni, Kurt sembrava felice come non mai: cominciò a fantasticare su Broadway, Central Park e Patti Lupone, perché dentro al suo cuore sapeva di incontrarla, e io non ho voluto dirgli che c'erano più possibilità di essere schiacciati da un meteorite, che di incontrare quella cantante nel bel mezzo della più grande e caotica città d'America.
Parlammo a lungo di tutte quelle cose, dimenticandoci temporaneamente del perché ci trovassimo lì: quando me ne ricordai, mi resi conto di non aver ancora visto Flint e Nick, nascosti chissà dove.
E, infatti, dopo qualche minuto, vidi una sottospecie di cameriere arrancare verso i tavoli, cercando in tutti i modi di non far cadere quei piatti terribilmente in bilico sulle sue braccia.
"Volete ordinare, signori?"
Kurt sbiancò di colpo non appena si accorse che quel ragazzo era proprio Flint.
"Ho fatto servizio catering la scorsa estate. Poi mi hanno licenziato perché passavo più tempo a mangiare che a servire ai tavoli...ma questa è un'altra storia."
"Come sta andando?" domandai, guardando con la coda dell'occhio le due coppiette.
"Non tanto bene. Le ragazze sono piuttosto carine, ma Ed e Colin hanno la reattività di un bradipo. Continuano ad annuire e a parlare a monosillabi."
Ci guardammo tutti e tre con una sorta di ansia negli occhi, e poi Flint tornò al suo pseudo-lavoro.
Dopo di lui, però, comparve un vero cameriere, e ne approfittammo per ordinare due piatti di pasta fatta in casa e un'insalata mista. Kurt si pentì quasi subito di averlo fatto, non appena lesse il prezzo della sua ordinazione, e dentro di sé cominciò a fare dei rapidi calcoli finanziari per razionare la paghetta di suo padre, restando profondamente amareggiato quando si rese conto che non si sarebbe più potuto comprare quelle scarpe di camoscio che aveva visto su ebay.
"Blaine? -Fece ad un tratto, inarcando un sopracciglio- Penso di aver trovato Nick. Sempre se non sono diventato improvvisamente cieco da non riconoscere degli osceni baffi finti e un parrucchino spettinato."
"Come?"
"HOLA, AMIGOS!"
Sgranai gli occhi. Nick era diventato una sottospecie di texano di mezza età, con tanto di cappello da cowboy, e stava dando delle forti pacche sulle spalle ad Ed e Colin.
"Edward! Come sta la genitrice? Porgile i miei più caldi saluti. Spero che sia riuscita a trovare il lubrificante per il timone del suo yacht. E...Colin? Ma sei cresciuto tantissimo!" Esclamò, cominciando a stritolare le guance del ragazzo, e lui era semplicemente troppo allibito, troppo incredulo, per poter reagire in qualsiasi modo.
"Le piantagioni di ananas stanno bene? Ma sì che stanno bene, ci scommetterei la mia gamba di legno! Ma vedo che siete in dolce compagnia...chiquititas, buenas dias" baciò le mani di entrambe le signorine, e per poco non ci lasciò il paio di baffi sul dorso di una delle due.
"State uscendo con dei veri bocconcini. I migliori del branco. Ah, ai miei tempi...! Le donne venivano selezionate come dei puledri di razza. Ma sono troppo vecchio, per queste cose. Vi lascio da soli. GARCON! .-Flint si voltò di scatto, riacchiappando al volo un piatto di calamari- Preparami una bella bistecca di bisonte. Al sangue!"
Ci fu un attimo di silenzio. Le ragazze si scambiarono un'occhiata piuttosto strana, Flint guardò Nick, Ed fissò Colin, e Colin si accorse soltanto in quel momento della nostra presenza, perché eravamo, in linea d'aria, nella stessa direzione di Nick.
E noi, rimasti ad osservare la scena in sconcertato silenzio, non sapevamo bene se ridere a crepapelle, o e pagare il conto e dileguarci all'istante.
Da quella scenetta a dir poco inverosimile, però, ne uscì qualcosa di buono: i due ragazzi si sciolsero completamente, e cominciarono a parlare in modo disinvolto, con nostro grandissimo sollievo.
"Forse non è ancora finita", bisbigliò Kurt.
E aveva anche ragione: se da quel momento in poi si fossero comportati in modo esemplare, magari, sarebbero riusciti a salvarsi in calcio d'angolo.
Kurt mandò velocemente un sms a Colin. Dopo qualche secondo il ragazzo si rivolse ad Ann, cercando di recitare a memoria il testo appena letto sul display.
"Hem...hai...hai un bel vestito. Quella Redi-gote fa pendente con le tue splendide de-collant."
"Ma che diavolo...?" La ragazza ci mise qualche secondo a tradurre la frase.
"Volevi forse dire...che la mia redingote fa pendant con le mie decolletè?"
"...E io che ho detto!?"
"Kurt..." esordii, lanciandogli un'occhiata eloquente.
"Che c'è!? Io cercavo di essere utile!"
"Certo, lo so questo, ma... la prossima volta... usa termini meno gay."
"Non sono termini gay. -borbottò, stizzito- Oh, beh, forse un po' lo sono. Ma tutti dovrebbero conoscere la differenza tra delle parigine e un paio di tacchi a spillo!"
Afferrai il mio Iphone e inviai velocemente un sms a Ed.
Raccontale qualcosa. Un aneddoto simpatico. Falla ridere!
Ed ci rimuginò qualche secondo, e poi lo vidi illuminarsi. Che avesse trovato la storia perfetta?
"Sai.., -fece lui, il tono calmo, lo sguardo da saccente - ho letto che in certi ristoranti c'è un grosso contenitore di mentine da prendere all'uscita, e molti vanno in bagno e non si lavano le mani. Poi tutti uscendo prendono la mentina; ecco, è provato che sulle mentine ci sono tracce di urina. Sono...sono menturine." (*)
"Oh." Commentò Mary, smettendo improvvisamente di mangiare. "Io le prendo sempre."
E, stavolta, fu Ed a dire "oh".
Kurt mi guardò cinico. E io rimisi accuratamente il cellulare in borsa, con l'intenzione di non usarlo mai più.



"Non penso che usciremo più", disse Colin, una volta che fummo tutti riuniti - Flint e Nick con ancora i costumi di scena -. Eppure, avevano ammesso di essersi divertiti molto, e tutto grazie a noi.
"All'inizio quando vi abbiamo visti abbiamo seriamente pensato all'omicidio di massa...-affermò Ed, scrocchiandosi minacciosamente le nocche -ma devo ammettere che mi sono sentito subito meglio, sapendo che eravate al nostro fianco."
"Un Warbler non canta mai da solo", sentenziai, e i miei amici mi guardarono sognanti.
"Questo vuol dire che acconsenti a farci leggere tutti i tuoi sms e spiare tutti i tuoi appuntamenti con Kurt?"
"Ovviamente no."
"Comunque sia, se la mettiamo in questi termini, -aggiunse Nick, con fare spavaldo- un Warbler non beve mai da solo! E questi baffi finti mi hanno fatto venire sete. Voglio vedere se con questo travestimento riesco a farmi spacciare per un ventunenne. Andiamo in qualche pub?"
"Mi dispiace, devo accompagnare Kurt a casa."
I ragazzi si guardarono uno ad uno, con i loro immancabili sorrisetti.
"Certo, come no. A casa."
"Ma prima della casa, c'è la macchina."
"Una bellissima, comoda, con i sedili reclinabili, macchina."
"Quando Kurt sarà arrivato veramente a casa come minimo dovrà comprarsi una lingua nuova."
Una parte di me stava per controbattere indignata. Un'altra, però, cominciò a valutare con un certo entusiasmo quell'idea.
Quando lo vidi tornare dal bagno cercai con tutto me stesso di darmi un contegno, ed eliminare qualsiasi pensiero ritenuto decisamente inopportuno. Tanto per cominciare, avrei potuto evitare di squadrarlo da capo a piedi. Ma sembrava un'impresa impossibile.
Eppure, tutto il mio entusiasmo fu mozzato in un attimo.
Kurt era arrabbiato.


"Eccoci arrivati. Ti chiamo domani?"
Kurt non rispose alla mia domanda, continuando ad abbottonarsi il trench. Se l'era presa a morte perché avevo pagato tutto il conto mentre lui era andato in bagno, come facevo praticamente sempre e come mi ripeteva continuamente di non fare o, come minimo, di pagare una volta per uno; ma perché negargli quelle scarpe di ebay, quando io avevo una carta di credito a disposizione e il grasso stipendio di mio padre?
Ma lui, senza sentire ragioni, era montato in macchina con tanto di cintura allacciata.
Sospirai, e a malincuore fui costretto a mettere in moto e dirigermi verso casa sua.
"Andiamo, Kurt, hai intenzione di tenermi il broncio per tutta la sera?" Mormorai, facendomi un poco più vicino e cercando di catturare i suoi occhi, ma invano. Erano incollati al suo cappotto e non avevano intenzione di muoversi.
"E va bene! Mi dispiace. Vorrà dire che la prossima volta andremo nel nuovo ristorante giapponese extra-lusso e offrirai tutto tu."
E, finalmente, rialzò la testa.
"Ci conto."
E non riuscii a non intenerirmi per quel suo adorabile orgoglio.
Mi avvicinai a lui, accarezzando lentamente il suo dolcissimo broncio, e lo guardai con i miei occhioni da cucciolone dispiaciuto, che avevo imparato a mostrare in casi come quelli.
"Mi dispiace." Ripetei, la voce calma, e con grande soddisfazione sentii le sue labbra incurvarsi all'insù.
"Oh, accidenti. -Borbottò, per poi stringermi la mano libera- non riesco nemmeno ad arrabbiarmi come si deve per più di cinque minuti."
Ridacchiai, facendo scorrere le mie dita dalla bocca al lobo dell'orecchio, per poi intrecciarle nei suoi morbidi capelli.
"Beh, -esordii, la voce con un tono più basso del solito- mi piace quando ti arrabbi. O meglio, mi piace quando facciamo pace."
Il suo sorriso si allargò ancora di più, e poi si scontrò contro il mio, delicatamente, e finalmente le nostre bocche si dischiusero, cominciando a studiarsi scrupolosamente, e in poco tempo le cinture di sicurezza erano diventate incredibilmente scomode.
Con un gesto secco le togliemmo di mezzo, facendo delle buffe acrobazie con le braccia e la testa per interrompere il meno possibile quel contatto.
La sua mano libera andò a posizionarsi sulla mia spalla, quasi aggrappandosi ad essa, i baci si facevano sempre più umidi e i respiri più caldi.
Non era un semplice bacio della buonanotte. Non erano le tipiche coccole che ci facevamo di solito. Era qualcosa di più, qualcosa di meglio, qualcosa dettato dal nostro istinto e l'incredibile mancanza che provavamo l'uno per l'altro, perché dopo quel saluto saremmo tornati alle nostre scuole, ai nostri messaggi nostalgici e alle nostre telefonate telegrafiche.
Perché Kurt mi mancava da morire, e in quel preciso momento, capii che anche io mancavo a lui.
Mi sporsi un po' di più, sovrastando praticamente il suo sedile, e ci mancava poco che scavalcassi quel fastidioso cambio automatico e mi inginocchiassi sopra di lui, per approfondire quel momento di pura passione. Dopotutto, lui era lì: era bellissimo, incredibilmente pazzo di me e non mi stava respingendo per via di imbarazzi o studi necessari. Lui era lì, e la sua lingua stava analizzando ogni centimetro della mia bocca con una scrupolosità che mi costrinse ad allontanare la mano dal suo collo per aggrapparmi al suo poggiatesta, colto da un'improvvisa vertigine.
Non era mai stato così intraprendente. E, francamente, la cosa mi eccitava tantissimo.
Così tanto che, per un momento, completamente in balia dei miei sentimenti, pensai di poter fare qualcosa di più.
Sciogliendo le nostre due mani intrecciate, iniziai a far scorrere le dita lungo il suo collo, poi il pomo d'Adamo, fino a giungere a quella camicia aderente che, a distanza ravvicinata, mi mozzava il fiato.
E stavo già assaporando con il pensiero l'azione di slacciargli un bottone, poi due, per poi accarezzare caldamente le splendide fattezze di quella pelle fresca e morbida...ma qualcosa andò storto. O meglio, il mio gomito andò storto: urtò contro il volante e attivò il clacson, che fece uno strillo lancinante e mi fece balzare immediatamente in piedi, con tanto di clamorosa testata contro il tettuccio.
E in quel momento fu come se io e Kurt ci fossimo svegliati all'istante: lui guardò l'orologio, poi me, e accennando a qualcosa circa l'orario e suo padre saettò fuori dalla macchina, ma non prima di avermi dato un ultimo bacio a stampo e avermi augurato buona notte.
E io?
Beh...io dovetti stare seduto diversi secondi, prima di poter accendere di nuovo la macchina e tornare a casa.

*********

(*) La frase l'ho presa da Gilmore Gilrs, la puntata 4x15 (mi pare), quando Rory ha il suo primo vero appuntamento. Che grande donna!

Blame it on BlaineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora