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Da quando era atterrata a Sumatra, Sapphire Johnson aveva abbracciato uno stile di vita più ortodosso, anche la sua immagine appariva dimessa e meno curata, lontana da lustrini e paillettes, senza scalfire tuttavia la sua algida bellezza. Scorgeva, in quelle genti che stava aiutando, un misterioso sorriso, una voglia di andare avanti malgrado tutto, come se la felicità fosse una perla rara racchiusa nella semplicità delle cose, un diamante grezzo troppo spesso ignorato alla ricerca di ben altri tesori. Eppure bastava così poco per essere felici: un sorriso, l'ottimismo e la fede in un futuro migliore, in un riscatto terreno, e se questo non fosse arrivato, allora si sperava sempre nella misericordia divina.

I giorni si consumavano in fretta nell'affannata corsa per soccorrere il maggior numero di persone, ma la donna non avvertiva la stanchezza, soddisfatta di essere d'aiuto a qualcuno. La superficiale esuberanza di Annabelle Miller non era del tutto fuori luogo, portando un po' di spensierata allegria nelle calde serate di gennaio. Quant'era bello osservare quei ragazzini intorno al fuoco raccontarsi storie, dimenticando di essere soli al mondo, almeno fino a quando il fuoco non si fosse spento. Quei momenti di serenità e gioia, da soli, valevano la pena di esserci, pensava ieratica Sapphire, alla vista di quelle faccine divertite.

Quella spedizione si stava trasformando in un progetto più concreto: con il denaro della raccolta di beneficenza Sapphire voleva fondare un Centro di Accoglienza per gli orfani di Sumatra, un orfanotrofio, ma che somigliasse più a una grande famiglia, piuttosto che a un freddo istituto con rigide regole, che aiutasse a fermare quel vergognoso traffico di bambini e desse loro una famiglia ed una seconda chanche, affinché non pagassero le conseguenze di quella catastrofe per tutto il resto della loro vita. "È un'idea fantastica!" disse Annabelle Miller, entusiasta della piega che prendeva quella missione.

La crocerossina Amanda Clark raggiunse la tenda dove c'erano Annabelle e Sapphire, poi, rivolgendosi a quest'ultima disse: «Sapphire, Kabir ...».

«C'è qualche problema con i punti di sutura?»

Amanda Clark scosse il capo tra le lacrime. «Stava giocando con gli altri ragazzini, ha avvertito un forte strappo alla gamba, è caduto ed ha battuto la testa. Non so altro».

«Dov'è adesso?»

«Lo stanno portando al Rumah Sakit Gleneagles»

Sapphire era arrabbiata, non avrebbero dovuto permettere a Kabir di alzarsi dal letto. «Vado da lui» disse, avvicinandosi ad una grossa Jeep verde.

«Ehi, aspetta! Mi lasci qui sola?» domandò Annabelle Miller.

«Kabir ha bisogno di qualcuno che gli stia vicino» rispose Sapphire. Girò la chiave, mise in moto, veloce, verso l'ospedale. Teneva molto a quel bambino, che le aveva insegnato a mettersi in gioco in situazioni tanto difficili e dare tutta se stessa.

Kabir aveva tre anni e mezzo, non conoscevano il suo cognome, il violento maremoto l'aveva disperso, nessuna notizia dei suoi genitori e non aveva altri parenti, né amici che lo conoscessero. Parlava poco, storpiava ancora nomi e parole ed era goffo, ma erano proprio tutte queste caratteristiche che ne facevano un bambino speciale. Era molto tenero, e da subito Sapphire provò per lui un profondo affetto.

Il bambino era stato accolto nel pronto soccorso dell'ospedale di Medan, un'infermiera disse a Sapphire di attendere, nel frattempo che il medico visitasse il bambino. "Non si preoccupi, vedrà che tutto si risolverà" le aveva detto.

Sapphire Johnson sedette nella sala d'attesa preoccupata. Per un po' andò su e giù nella saletta, poi inserì delle monetine in un distributore automatico e schiacciò il pulsante per un caffè, il display a cristalli liquidi, retroilluminato in verde annunciò:

PREPARAZIONE

Infilò una mano in tasca alla ricerca del cellulare. "L'avrò lasciato in tenda" pensò, al suo posto ritrovò il ciondolo di Edward. Dopo vent'anni l'aveva di nuovo lei. "Se solo fossi ritornato prima" pensava, rimpiangendo di non aver lottato abbastanza "Tutto sarebbe diverso ora".

PRELEVARE

diceva il display del distributore, annunciando con un beep il caffè bollente.

«Signora Johnson, Kabir è in Trauma Center adesso».

«Sta bene?»

«Certo. Gli abbiamo fatto una Tac per sicurezza, ma non c'è nulla di cui preoccuparsi. Adesso dorme, gli abbiamo somministrato un calmante».

«Posso vederlo?»

L'infermiera era titubante: «Non si potrebbe» disse. «Solo pochi minuti» aggiunse, avvertendo lo stato d'animo della donna.

«Grazie infinite» Sapphire sospirò, e corse subito da Kabir, sollevata che tutto era andato per il meglio.

C'era molta confusione nel reparto di Trauma Center, un andirivieni di pazienti, parenti, infermieri e dottori. In mezzo a tutte quelle persone Sapphire avvertì come una presenza accanto a sé, come se qualcuno la stesse osservando. Si guardò intorno, alla ricerca di colui o colei che la fissava, ma non trovò nessuno.

Nascosto dietro un divisorio, Edward Anderson, incredulo, aveva visto la sua Sapphire. Cosa faceva in quel posto, in quell'ospedale? Provò una forte gioia, le parche tessevano il destino incrociando di nuovo le loro strade, forse questa volta per sempre.

La donna entrò nella camera di Kabir: il bambino dormiva supino nel letto, il volto sereno, le braccia distese lungo i fianchi; nel sonno muoveva il labbro un po' imbronciato. "Come sta?" domandò a un medico che era ancora in piedi accanto a lui.

«Se la caverà. È un bambino molto forte. La contusione non ha causato traumi. Ho dovuto dare qualche altro punto di sutura alla gamba: non avrebbe dovuto alzarsi dal letto».

Sapphire annuì rammaricata: «Quando pensa di dimetterlo?»

«Se non ci sono ulteriori complicazioni, anche domattina. Lo terrei qualche altro giorno in osservazione, ma la penuria di posti m'impone di dare priorità a casi più gravi».

«Certo. Comunque non c'è problema, anch'io sono un medico, sono il caposquadra del gruppo di missionarie della croce rossa francese. Mi occuperò io di Kabir».

«In tal caso lo lascio uscire con minor rimorso» disse il dottore sorridendo, al pensiero che la donna avrebbe assistito il bambino. «Adesso vada, la chiamerò appena si sveglia» aggiunse il medico, accompagnando Sapphire nelle corsia.

Mentre la donna sfilava con disinvoltura nel corridoio dell'ospedale, levenne incontro Edward Anderson. Sapphire lo guardò attonita, in silenzio, comese stesse osservando una visione mistica. Avrebbe voluto salutarlo, parlargli, manon ne ebbe il coraggio, così provò a sorridergli. Anche Edward non rispose, mala fissò con quel suo sguardo intenso, pensando che forse il destino stavadavvero facendo incrociare ancora le loro strade.oc-1uT


Travolti dal destinoWhere stories live. Discover now