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Nella stanza ventitre del Dorchester Philippe Valois preparava i bagagli. Il suo soggiorno a Londra era durato meno del previsto. Infilò rapidamente gli abiti smessi nella valigia e alcuni vestiti disfatti poco prima. Sul comodino una Napoleon quasi vuota, sullo scrittoio un bicchiere di cognac, in un angolo della scrivania invece un posacenere in cui si ammassavano cicche e mozziconi di sigaretta. Il soffocante odore di fumo si confondeva con l'aria viziata di una camera rimasta chiusa a lungo. Il letto era disfatto, nel bagno un accappatoio bagnato appeso a un gancio e diversi asciugamani riversi per terra. Aveva chiesto al personale di sospendere il servizio in camera fino alla sua partenza. Poteva fare a meno di asciugamani caldi, essenze alla lavanda e caramelle sul comodino. Quei "servizi inutili" gli avrebbero dato l'impressione di essere in giro per affari. Il televisore, senz'audio, era tuttavia sintonizzato su un canale di economia e finanza, e il telecomando avvolto tra le lenzuola bianche del letto a due piazze.

Afferrò il bicchiere di cognac e affondò pesantemente su una poltrona accanto alla scrivania, versando del liquore sui tessuti e sul pavimento. Prese un mozzicone ancora acceso dal posacenere e aspirò a fondo, poi lo schiacciò violentemente a terra, rovinando la moquette in velluto blu.

Era ubriaco, il torpore della sbronza cominciava a farsi sentire, appesantendo le sue palpebre e i suoi gesti.

Sbarrò gli occhi, non era un sogno: tre tonfi pesanti avevano tuonato alla porta della sua camera. Non era il personale di servizio e inoltre aveva dato ordine di non far salire alcun pacco o lettera urgente che fosse e dalla reception non avevano annunciato nessuno.

«Chi è?» urlò con voce rauca, ma dall'esterno nessuna risposta. Si trascinò barcollando fino alla porta. Si aggrappò alla maniglia e tirò con tutto il peso del suo corpo. Era una donna.

«Che diavolo vuoi?». Aveva l'alito maleodorante di alcol e fumo. Indossava una camicia sdrucita e dei pantaloni stropicciati, probabilmente vi aveva dormito. Quella veste informale non era certo l'elegante mise ufficiale del Conte Philippe Valois.

La donna entrò, facendosi largo nella camera in penombra: il forte odore di sigaretta e chiuso la nauseò.

«Chi ti ha detto di entrare?» domandò Philippe Valois con voce impastata.

«Mi hai seguito?» le domandò.

La donna eclissava il suo sguardo dietro grandi occhiali da sole scuri e aveva i capelli raccolti sotto un foulard bianco.

«Niente scenate. Non cambierò idea sul divorzio» disse scuotendo la bottiglia di cognac ormai vuota. «Maledizione!» imprecò. Alzò la cornetta del telefono per ordinare dell'altro liquore.

«Non sono qui per il divorzio» disse la donna dagli occhiali scuri.

«Ah, no? E che diavolo vuoi allora?». Dalla cornetta si udiva la voce della centralinista: «Sì, vorrei una bottiglia di Napoleon» ordinò Philippe Valois con arroganza.

«Non ti sembra di aver bevuto abbastanza?» domandò la donna.

«Vuoi farmi da madre adesso?».

Del Conte Philippe Valois, l'uomo composto tutto di un pezzo, non era rimasto nulla. Era bastato qualche bicchiere di troppo e qualche sigaretta per trasformare il Dottor Valois nel famigerato Mister Hide: rozzo, disordinato, maleodorante, era incredibile pensare che quell'uomo dirigesse una banca e fosse uno degli uomini più ricchi della Francia settentrionale.

«Che hai da guardare?».

«Niente» disse la donna, storcendo il naso disgustata.

La luce che entrava dalla porta feriva il buio della camera. La donna restò immersa nell'ombra, immobile con le braccia rigide lungo i fianchi. In una mano stringeva una borsetta, l'altra stringeva semplicemente il pugno nervosamente. Fissava quell'uomo con lo sguardo impietrito, oscurato dai grandi Gucci scuri.

Travolti dal destinoWhere stories live. Discover now