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«Edward? Edward mi ascolti?» domandava Richardson spazientito. Ma Anderson non poteva fare a meno di ripensare a quei giorni in cui la sua vita, inevitabilmente e inaspettatamente, cambiò. Ripensò alla sua Sapphire, all'America, a quell'ultimo giorno sul molo, a quel suo sguardo triste, alla partenza per Sumatra. Era costretto nuovamente a partire, forse quella sarebbe stata la volta buona, verso quella stessa isola, che adesso prepotentemente ritornava nella sua vita, la stessa dove imparò a vivere senza di lei, poi, come destatosi da un lungo sogno ad occhi aperti, trasalì.

«Sì, ti ascolto». Sorseggiò del liquore, era stanco, aveva combattuto tutta la vita e quando credeva che la guerra fosse finita, una nuova battaglia lo attendeva all'orizzonte.

«Hai sentito quello che ti ho detto?»

«Sì, ho sentito. Che cosa dobbiamo fare?» fissava inerte la parete che aveva di fronte; in un solo istante nella sua mente echeggiavano spettri che credeva di aver scacciato per sempre; tutto quello per cui aveva lottato rischiava di andare perduto, era disperato, un attimo prima si sentiva il re del mondo, e adesso, invece, si sentiva come uno schiavo in catene di Amistad, prigioniero su di una nave che lo portava al fallimento.

«Dobbiamo partire, Edward, valutare la situazione, i danni, poi decideremo.» Richardson era profondamente rammaricato. Collaborava da anni con Anderson, insieme avevano costruito un florido impero, poi la svolta: realizzare a Sumatra il più importante complesso turistico-alberghiero.

«Signore, una lettera per lei, sembra importante» irruppe Charles nella camera con la sua voce nasale.

«Grazie Charles. Poggiala sul tavolo, più tardi le darò un'occhiata».

Il maggiordomo poggiò il plico tra i liquori ed il posacenere, poi si congedò, dileguandosi nei meandri della villa.

Furente, Edward schiacciò con violenza il suo cubano nel posacenere, quando vide il mittente di quel plico:

Miss Annabelle Miller

Countess Sapphire Valois

Strinse il plico tra le mani: «Contessa...»

«Che diavolo dici?» domandò Richardson, storcendo il naso.

«Niente, lascia perdere!» rispose Edward gettando il plico sul tavolo riluttante.

«Cos'è questo?»

«Uno stupido invito.»

«Invito? Per cosa?» chiese incuriosito Richardson, aprendo il plico vinto dalla curiosità.

«"Una serata di beneficenza per le vittime del Sud-Est Asiatico"» leggeva l'avvocato. «Come se non mi avesse già rovinato abbastanza!» ribadì Edward, divenuto nuovamente cinico e sprezzante.

Nello sguardo di Richardson, tuttavia, traspariva un riflesso di speranza. "Aspetta" disse tra sé "forse non è tutto perduto". «Credo che tu debba accettare l'invito» disse con voce ferma.

«Accettare? Sei impazzito? Prima mi dici che stiamo affondando e poi vuoi che getti dei soldi per salvare un mucchio di sfollati?».

«Non dobbiamo mostrare la nostra preoccupazione e le nostre debolezze. La stampa ci andrebbe a nozze, siamo troppo in vista con questo progetto e non possiamo permetterci un passo falso. Bisogna ostentare sicurezza. Andrai alla serata, sarà l'occasione buona per parlare con la stampa e non destare sospetti».

«Scordatelo. È assolutamente fuori discussione.».

«Perché?» domandò furibondo Richardson. Non comprendeva il motivo di tanta riluttanza.

«È inutile, non capiresti» Edward probabilmente avrebbe voluto raccontare tutto all'amico, ma a che cosa sarebbe valso, per Richardson un motivo valido sarebbe stato o una grave malattia o la morte, non aveva mai lasciato che i sentimenti mandassero in fumo un buon affare o una buona occasione per mettersi in prima linea quando occorresse. "i sentimenti sono una debolezza" diceva sempre. Aveva passato la sua vita a sfuggire l'amore, lasciando al suo posto una lunga scia di donnine insipide che riempivano il suo letto ma non il suo cuore. Anche Edward sembrava essersi convinto di quella teoria, il matrimonio era visto come un contratto, un buon affare che entrambe le parti fanno, con il compromesso di vivere insieme, ma leggere quel nome su quell'invito gli aveva fatto comprendere che in fondo a quella cinica filosofia non aveva mai creduto.

Era incredibile quanto dolore provasse ancora dopo così tanto tempo.

«Almeno provaci...» gli diceva Richardson, esortando l'amico a sbottonarsi.

«È per Sapphire» sintetizzò Anderson, pronunciando quel nome tra i denti, quasi a volerlo trattenere, quasi a non volerlo pronunciare.

« Sapphire, Sapphire, Sapphire... aspetta questo nome mi dice qualcosa... Contessa Sapphire Valois....».

«È quella Sapphire» aggiunse Edward.

Richardson non poteva credere che una storiella estiva vecchia di vent'anni mettesse in ginocchio l'affarista senza scrupoli Edward Anderson.

«Non mi dirai che manderai tutto a puttane per una scopata? Perdonami il gioco di parole, ma ...»

«Non ti permetto di parlare in quel modo di Sapphire» quando sentì il sangue ribollire nelle vene, comprese che forse quel sentimento non era mai passato, gli sembrava di esser ritornato indietro di almeno vent'anni: senza soldi, costretto a ripartire per Sumatra, costretto ad affrontare quel sentimento che per tanto tempo aveva soffocato.

«O sì invece, io ne parlo così e come... siamo nella merda fino al collo e tu ti concedi il lusso di fare il "romantico" per una troietta da quattro soldi?».

Nell'udire quegli insulti, quel cinismo dinanzi alla sua sincerità, Edward si sentì di impazzire. Scattò in piedi all'improvviso e colpì con violenza il volto di Richardson. Sentì un forte dolore alla mano destra e si guardò intorno come spaesato. Erano anni che non faceva a pugni con qualcuno.

«Fottiti!».

«Aspetta, Andrew, mi dispiace». Ma l'uomo nonvoleva udire quelle parole e, senza voltarsi, se ne andò.ri��k�"�

Travolti dal destinoKde žijí příběhy. Začni objevovat