Raggiungo la mia camera alla ricerca di un po' di privacy, di silenzio e perché no anche della conclusione di questa giornata. Magari nessuno verrà a cercarmi e finirò per addormentarmi ancora vestita sul mio letto.

«E tu chi diavolo sei?» sbotto vedendo un ragazzo girato di spalle verso la finestra spalancata. C'è chiaro odore di fumo.

«Ciao», risponde senza scomporsi minimamente. «Vuoi favorire?» chiede allungandomi la sigaretta.

«Ti ho fatto una domanda», dico.

È bello. Molto bello. Indossa un completo nero elegante come se fosse la cosa più naturale del mondo, nessuna cravatta, i primi due bottoni slacciati. I capelli sono corti e disfatti, segno che ci ha passato le mani dentro più volte o per noia o come tecnica di abbordaggio per le ragazze presenti in sala.

«Anche tu cercavi un po' di pace?» mi chiede tornando a guardare fuori. «Queste feste sono tutte uguali: un gruppo di gente che parla del niente facendo a gara a chi la spara più grossa.»

«E tu come conosci i signori Anderson?»

«Sono amici di famiglia. Mio padre ed Edward si conoscono da una vita, si sono aiutati con gli affari in più di un'occasione. Quando posso evito queste pagliacciate, Elinor è così megalomane. Hai visto quante posate c'erano a tavola?» Si volta con sguardo divertito. «E poi non si è mai sentita di una festa per la nipote al terzo anno di college. Anch'io vado al college, torno adesso da un anno all'estero, e mia madre darà una festa solo se le darò la soddisfazione di finire gli studi prima che diventi vecchia. Se fossi quella Rachel mi sarei andato a nascondere.»

«Diciamo che speravo più di andarmene a letto», lo correggo incrociando le braccia al petto.

La sua espressione si fa confusa. «Tu sei..?»

«Sono Rachel Anderson», dico senza accennare a gesti di cortesia. «Questa è la mia festa e tu sei in camera mia.»

Lancia il mozzicone oltre la finestra e infila le mani in tasca rivolgendomi uno sguardo incuriosito. «Scusa, colpa mia», dice. «Ho chiesto a mio padre di lasciarmi in pace e di impedire a tua nonna di presentarci come se dovessimo organizzare un matrimonio domani. Conosco Elinor forse più di te e se ancora non l'hai capito tutti questi party sono per trovarti marito.»

«Di che stai parlando?»

«Sei la nipotina che non hanno mai conosciuto, la conosciamo tutti questa storia, sono anni che gira nei salotti. E tua nonna ha in mente di toglierti dalla vita che i tuoi ti hanno sempre fatto fare e introdurti nella nostra. Mi capirai se non mi congratulo con te.» Fa un passo nella mia direzione. «Piacere io sono...»

«Non m'interessa come ti chiami», lo interrompo con un cenno della mano. «Forse è stato un bene che non ci hanno presentati. Ora ti pregherei di andartene e lasciarmi in pace.»

«Sai, è strano che non ci siamo mai incontrati neanche al campus. Frequentiamo la stessa università.»

«Il posto è molto grande.» Cosa gli serve per capire che lo voglio fuori dai piedi?

Lui raggiunge il mio cassettone e guarda la foto esposte in cornice. «Guardavo questa prima», dice prendendone una in mano. «Lui è il tuo ragazzo?» domanda indicando Connor.

Sento una fitta attraversarmi il petto. È una delle ultime foto che ci siamo fatti insieme, lui ha il sorriso più bello del mondo mentre io ho un'espressione buffissima. Quanto eravamo felici e neanche ce ne rendevamo conto.

«Mettila subito giù», ordino presa da un sottile attacco di rabbia mista a dolore. Chi si crede di essere per indagare nella mia vita?

«Capisco», risponde e obbediente posa la foto. «Le conosco quelle come te. Chi è? Il tuo migliore amico di cui sei innamorata da una vita ma non glielo dirai mai per non rovinare tutto mentre intanto lui va a letto con ogni ragazza che respiri?»

Prima di rendermene conto l'ho schiaffeggiato. Nel silenzio il ciaf si è sentito molto bene. Lui si porta una mano alla faccia, sgrana gli occhi, azzurro chiaro quasi grigio, e mi fissa come fossi impazzita. Per un istante devo esserlo stata altrimenti non si spiega. Anche se vorrei solo che sparisse e insieme con lui tutta la gente oltre la porta, credo di dovergli delle spiegazioni, almeno mi odierà per qualcosa di concreto.

«Era il mio ragazzo. È morto in un incidente d'auto due anni fa, la sera della consegna dei diplomi», riassumo tutto d'un fiato mentre gli occhi prendono a bruciare. Non mi metterò a piangere davanti a questo tizio.

«Mi dispiace», mormora lui prima di uscire dalla stanza e chiudersi la porta alle spalle.

Mi accascio a terra, nascondo il viso nella stoffa del vestito e comincio a piangere. 

BETWEEN (The Again Serie #3)Where stories live. Discover now