Non aprite quella porta

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Non può essere. La casa è disabitata e inagibile, soprattutto dopo l’incendio. Devo essermi sognata tutto. Avevo chiuso gli occhi, li riapro lentamente e sbircio verso la finestra; la ragazza è ancora lì, e continua a fissarmi. Oddio, in realtà anche io sto facendo la stessa cosa con lei, quindi devo risultare altrettanto inquietante; piccolo particolare, io mi trovo in un posto dove non è strano che ci sia qualcuno, a differenza sua. E poi, non sono così pallida: magari ho gli occhi un po’ segnati, lo ammetto, per via della stanchezza, magari non ho una bella cera, ma di certo non sono inquietante come quella lì.

Cosa faccio? Ma è ovvio: vado a vedere che sta succedendo. Se fossi la protagonista di un film, probabilmente qualcuno al di là dello schermo mi insulterebbe dandomi della cretina, lo faccio sempre anche io: come si fa ad esser così stupidi da andare a cercar rogne – da soli, per di più, magari anche disarmati – in una casa abbandonata e infestata? Invece eccomi qui, da sola, disarmata, pronta ad entrare nella palazzina degli orrori come se stessi andando a fare una gita. Però ho preso una torcia, almeno.

Per strada non c’è nessuno, dietro la finestra nemmeno: la ragazza sembra scomparsa non appena sono uscita dalla casa di Eileen; la porta di ingresso dell’edificio è solamente accostata, con i nastri della polizia a sbarrare virtualmente il passaggio; dovrei chiamare quel Donnie, il collega di Liam. Già. Dovrei proprio, invece di rompere i sigilli e entrare come sto in realtà facendo. La luce dei lampioni illumina solo una piccola porzione di pavimento oltre il portone, poi si piomba nel buio; l’odore di bruciato è ancora intenso.

Non voglio accendere la torcia: non voglio segnalare la mia presenza. La stringo nella mano pronta ad usarla in caso di bisogno, ma preferisco muovermi al buio, il più silenziosamente possibile; aspetto che i miei occhi si abituino all’oscurità e poi mi dirigo verso la stanza nella quale credo si trovasse quella ragazza. Tendo l’orecchio per cercar di cogliere qualche eventuale rumore, ma tutto quello che sento è il battito del mio cuore. La porta della stanza penzola appesa a un cardine. Sbircio dentro. Niente. Entro, pochi passi cauti oltre la soglia. Dalla finestra – quella finestra – entra un po’ di luce, pochissima, ma abbastanza per permettermi di perlustrare la stanza con lo sguardo. Non c’è nessuno, lo sapevo. Come ho potuto lasciarmi suggestionare così? Mi conviene uscire di qui, prima che mi arrestino; tornerò domani, con la luce del giorno, ad indagare come si deve. Faccio dietrofront. Magari non era una ragazza, forse era solo un riflesso, una sagoma che la mia immaginazione ha trasformato in un essere vivente.

Proprio mentre sto per tornare nell’atrio, con la coda dell’occhio percepisco un movimento, rapido, alla mia destra, come se qualcuno corresse silenziosamente fuori dalla stanza superandomi. Stringo maggiormente la presa sulla torcia. All’occorrenza potrebbe essere un’ottima arma contundente; certo, non se avrò a che fare con un fant…. Ma che dico. I fantasmi non esistono.

– C’è qualcuno? – la mia voce trema. E poi, che domande stupide faccio? Se anche ci fosse qualcuno, visto che non si è palesato fino ad ora e anzi ho avuto l’impressione che volesse sfuggirmi, di certo non salterà fuori adesso dicendomi “Sì, scusa se non mi sono presentata prima, io sono Piripicchia de’ Piripicchis e sono qui perché mi annoiavo”

Silenzio. Ma i miei occhi colgono un altro movimento, proprio nell’androne. Va bene, è giunto il momento di accendere la torcia. Ma la torcia non si accende. Dannazione. Eileen deve aver scordato di metter le pile. Ah! Ma io fumo! Sì, sì, mi farete più tardi la morale su questa cosa, ma ora converrete con me che avere un accendino in tasca può tornar utile in occasioni del genere…

Lo piazzo davanti alla mia faccia e lo accendo.

Il volto della ragazza, sfigurato dalle ustioni, è a pochi centimetri dal mio.

ShadowsWhere stories live. Discover now